Quando i camion e i fuoristrada hanno cominciato a entrare nel cortile di Chepo Gonzales, un pomeriggio di marzo, le ombre erano lunghe e il vento sulle pianure era impetuoso. “Hai messo i doppi calzini?”, ha detto scherzando Gonzales a uno dei nuovi arrivati, che durante il giro di pattuglia della sera prima si era lamentato di avere freddo ai piedi. Un altro uomo si è affacciato dal finestrino di un camion e ha fatto un commento più serio: “C’è molta acqua là fuori, ma scorre verso nord”.

L’acqua in effetti era tanta che in tutto lo stato stava uscendo dal letto dei fiumi e rompendo gli argini. Da più di una settimana, Gonzales e i suoi vicini uscivano tre o quattro volte al giorno per individuare le situazioni a rischio lungo i vari ruscelli e canali che circondano Allensworth, un paesino fatto di case, roulotte e fienili nascosto tra le vaste, piatte distese della San Joaquín valley, nella California centrale. Avevano ricevuto l’ordine di lasciare le loro case – le strade per entrare in paese erano ufficialmente chiuse – ma avevano deciso di rimanere. “Resterò qui fino al giorno della mia morte”, ha detto Gonzales. Amava gli spazi aperti e silenziosi. Se il livello dell’acqua fosse diventato troppo alto, ha detto ridendo, si sarebbe trasferito sul tetto di casa con una tenda, un frigorifero e una griglia.

Contea di Los Angeles, settembre 2018 (Kevin Cooley, Redux/Contrasto)

Allensworth sorge su quella che era stata la riva di un enorme lago chiamato Tulare, per via delle “tule”, le canne che ci crescevano intorno. Il lago, in passato il più grande a ovest del Mississippi, era da molto tempo un lontano ricordo. Fu prosciugato alla fine dell’ottocento per far posto a campi di grano, frutteti e fattorie. Da quel momento le tempeste di polvere cominciarono a essere un problema. Lo sfruttamento intensivo dell’acqua causò la scomparsa anche delle falde acquifere sotto il letto storico del lago, facendo sprofondare il terreno, in alcuni punti di quasi dieci metri. Mentre le falde si prosciugavano, il pozzo della cittadina attingeva acqua inquinata dagli scarti delle attività agricole, e il comune consigliava agli abitanti di farla bollire prima di usarla.

Sulle mappe i torrenti erano tracciati in blu, ma dal vivo sembravano solo dei fossati polverosi, mi ha raccontato Chepito, il figlio di Gonzales. Fino a pochi mesi fa per lui, che ha 21 anni, quei posti erano solo piste su cui correre con gli amici sui quad. Ma l’ultimo inverno ha cambiato il punto di vista delle persone su molte cose.

Dal 1 gennaio la California è stata colpita da una serie di tormente che hanno portato quantità enormi di acqua e neve. Come ha sempre fatto, l’acqua è scesa nel fondovalle, scorrendo attraverso corsi d’acqua limitati da argini di terra che, durante gli anni di siccità, si erano seccati e indeboliti. Oggi sono pieni di tane di scoiattoli. In alcune parti del fondovalle non c’era niente che contenesse l’acqua. Deanna Jackson, la direttrice dell’agenzia che gestisce le acque sotterranee della regione del lago Tulare, descrive l’inondazione come “una serie di flussi selvaggi” che attraversa il paesaggio, quasi impossibile da gestire. Case, fattorie e caseifici si sono allagati e gli abitanti hanno usato gli escavatori per costruire frettolosamente fossati intorno alle proprietà. Quelli intorno alle case e ai piccoli allevamenti erano profondi pochi metri. Altri, costruiti per proteggere le terre delle aziende agricole più grandi e ricche, erano imponenti e si estendevano per chilometri. A volte queste fortificazioni facevano defluire l’acqua sui terreni circostanti, causando screzi tra i vicini. In una valle dove i grandi interessi si sono a lungo scontrati per l’accesso all’acqua, all’improvviso si è cominciato a discutere su chi dovesse pagare le conseguenze dell’alluvione.

Mammoth Lakes, California, marzo 2023 (Mario Tama, Getty)

Pochi giorni prima di quel pomeriggio di marzo, un muro del canale lungo la ferrovia a nord di Allensworth, visibile dal cortile di Gonzales, aveva cominciato a sgretolarsi. L’acqua piovana marrone e schiumosa aveva preso a fluire verso le case. I vicini avevano preso le pale e si erano precipitati sul posto. Gonzales e suo figlio avevano portato i macchinari che di solito usano per pulire i recinti degli animali. Quando erano finiti i sacchi di sabbia, Ruben Guerrero, un vicino dei Gonzales, era arrivato di corsa dalla scuola elementare dove lavora. Aveva avuto un’idea: si poteva rafforzare il muro del canale con il rotolo di telo di plastica che aveva comprato per imbiancare casa.

Alla fine gli uomini erano riusciti a bloccare l’acqua e avevano festeggiato. Ma poi era scoppiato un altro conflitto d’interessi: una compagnia ferroviaria sosteneva che l’opera messa in piedi dalle due famiglie per difendersi dall’acqua minacciasse i terreni di sua proprietà, quindi l’aveva smantellata. Così i Guerrero e i Gonzales avevano deciso di cominciare a pattugliare l’argine giorno e notte.

Poco dopo in città era arrivato un nuovo allarme: un altro argine, stavolta sul torrente Deer, aveva ceduto. L’acqua stava di nuovo scorrendo verso Allensworth. Ma prima si era riversata su una coltivazione di pistacchi, rischiando di sradicare gli alberi e annegarli nei sedimenti. Un video aveva catturato la reazione dell’agricoltore: era andato con due camion in cima all’argine, aveva riempito i pianali di terra per appesantirli, quindi aveva acceso i motori e aveva spinto i camion direttamente nella falla allagata dove prima c’era il muro dell’argine.

Macchine pesanti ed elicotteri del vigili del fuoco carichi di sacchi di sabbia avevano completato il lavoro, ma circolavano voci su come si fosse aperta quella falla. Secondo Jack Mitchell, capo del distretto locale per il controllo delle inondazioni, l’apertura sembrava fosse stata fatta con un macchinario. Forse qualcuno l’aveva creata intenzionalmente per salvare la propria fattoria. “Come possono un albero, un prodotto, un ortaggio essere più importanti della vita delle persone”, mi ha chiesto Guerrero scuotendo la testa. “I pomodori non sono l’unica cosa che conta. Anche le nostre vite contano”.

In giro per la città le case erano contrassegnate da quelle che a prima vista sembravano piccole stelle filanti, ma che erano in realtà strisce di nastro adesivo piazzate da una squadra di soccorso per indicare quali abitazioni erano ancora occupate: rosso per quelle vuote, giallo se c’era qualcuno. “È raro vedere strisce rosse”, mi ha detto Kiara Rendon, abitante di Allensworth. La sua macchina era piena di provviste per sé e per i fratelli più piccoli di cui si prende cura, ma doveva ancora partire: “Molte persone sono rimaste perché questo posto è tutto quello che hanno”. Denise Kadara, un’attivista locale, mi ha detto la stessa cosa.

Pioggia e neve

Allensworth è stata la prima città della California a essere fondata dagli afroamericani. Prende il nome dal colonnello Allen Allensworth, che evitò la schiavitù rifugiandosi dietro le linee dell’unione e poi entrò nella marina, prima di dirigersi verso la California. In seguito la città accolse contadini e persone che non potevano permettersi di vivere altrove. Kadara era sicura che se gli abitanti se ne fossero andati, Allensworth sarebbe stata sacrificata per salvare altri posti considerati più preziosi.

Giorni prima Rendon era tornata a casa e aveva trovato la sorella, sola, incinta di cinque mesi e con un bambino di tre anni, che spalava fango mentre l’acqua saliva nel campo dietro casa sua. Mi ha portato a vedere il punto in cui una squadra di vigili del fuoco ha aiutato la famiglia a creare un piccolo canale di scolo per far fluire l’acqua lontano dalla proprietà. Il suo sguardo continuava a vagare verso est, dove l’altra eredità delle tormente, un manto nevoso da record, alto fino a quindici metri, luccicava bianco sulle montagne lontane. Tutta quell’acqua, Rendon lo sapeva, sarebbe arrivata a valle. E a quel punto sarebbe stato difficile fare previsioni. “Molti dicono che viviamo nel deserto”, ha detto la donna pensierosa mentre l’acqua scorreva sotto i suoi piedi. “Ma guarda in che situazione siamo adesso”.

Negli ultimi anni la California ha fatto notizia soprattutto per la siccità: bacini idrici che si riducono fin quasi a scomparire, mandorli secchi per la scarsa irrigazione, incendi catastrofici che imperversano nelle foreste e nelle città. Allargando la prospettiva, però, i problemi idrici dello stato riguardano le alluvioni tanto quanto la siccità. Altre parti degli Stati Uniti possono contare su precipitazioni discrete e costanti, ma la California è sempre stata diversa, in bilico tra inverni piovosi ed estati roventi, tra anni umidi e periodi aridi, costantemente in lotta per cercare di controllare un flusso d’acqua che oscilla, a volte selvaggiamente, tra troppo e troppo poco.

Mi sono trovata a guidare sotto una pioggia accecante e raffiche di rami

Ora che sappiamo meglio come gli esseri umani stanno modificando i sistemi climatici del pianeta, queste oscillazioni diventano più pronunciate. Gli esperti si chiedono come farà la California ad affrontare un futuro in bilico tra umido e secco. Riuscirà a trovare il modo di gestire – perfino di controllare – il flusso d’acqua travolgente quando arriverà? E quelle misure saranno sufficienti per resistere alle stagioni secche? Queste domande valgono non solo per la California e per chi ci vive, ma per chiunque mangi gli alimenti prodotti dallo stato, sia influenzato dalle fluttuazioni della sua economia o in generale debba fare i conti con gli effetti di un clima sempre più estremo.

La prima indagine biologica sulla California, risalente al 1861, fu un viaggio tra due eccessi. Un botanico di quella spedizione raccontò di aver lottato con nuvole di polvere e di aver avuto difficoltà a trovare acqua per abbeverare i muli. Poi, alla vigilia di Natale, cominciò a piovere e non smise per 43 giorni. Le inondazioni e le frane spazzarono via tante strade e causarono la morte di migliaia di persone (e di centinaia di migliaia di mucche). L’acqua coprì la Central valley per quasi cinquecento chilometri. Sacramento, la capitale dello stato, finì sotto tre metri d’acqua fangosa, e il nuovo governatore dovette arrivare in barca a remi alla cerimonia d’insediamento. Poco dopo il parlamento fu costretto a trasferirsi sulla costa per sei mesi, in attesa che Sacramento si asciugasse. Ci volle un altro anno prima che lo stato, finito in bancarotta, fosse in grado di pagare nuovamente i suoi dipendenti.

Questa storia si rivelò profetica. Il passaggio dall’abbondanza di acqua alla siccità era spesso così esagerato che molte persone si convinsero di poter vivere in una realtà come se l’altra non esistesse. “Anche quando la geologia cambia a intervalli così straordinariamente brevi, le persone hanno tutto il tempo per dimenticarsene”, scriveva nel 1988 il saggista John McPhee, commentando il fatto che a Los Angeles i ricchi continuavano a costruire sui fianchi delle montagne case che rischiavano di crollare ogni volta che pioveva molto. John Steinbeck notò un’amnesia simile tra i contadini della Salinas valley, dove a volte “la terra si gonfiava di erba” e altre volte si frantumava coprendosi di cicatrici e le mucche morivano di fame. “Capitava regolarmente che durante gli anni asciutti le persone si dimenticassero degli anni umidi, e durante gli anni umidi perdessero ogni memoria degli anni asciutti. Era sempre così”.

Ma l’agricoltura e le città hanno bisogno di prevedibilità. Così, mentre la popolazione e le industrie crescevano, la California cercò di prendere il controllo del proprio destino. Le autorità decisero di realizzare un vasto sistema idraulico – sotto forma di dighe, bacini, canali, acquedotti, argini e stazioni di pompaggio – in grado di raccogliere l’acqua e spostarla, tenendola lontana dai luoghi dove non serviva e portandola dove ce n’era bisogno. Il sistema si sforzava di adattarsi a ciò che la natura offriva ed era tutt’altro che equo, con i poveri dello stato che soffrivano di più sia durante le inondazioni sia durante la siccità.

Gli elicotteri ronzavano su di noi, lanciando sacchi sulle brecce degli argini

Conto in esaurimento

Negli anni piovosi c’erano alluvioni così abbondanti da sfondare gli argini, obbligando le persone a mettersi in salvo da una risorsa che all’improvviso diventava un pericolo. Negli anni di siccità si litigava su quanta acqua lasciar scorrere fino al delta dei fiumi Sacramento e San Joaquín. Lì i pesci e altre specie animali ne avevano un disperato bisogno, ma per alcuni agricoltori era uno spreco. Anno dopo anno la California ha preso in prestito molta acqua dal suo futuro, pompandola dalle falde sotterranee come se prelevasse da un conto bancario destinato a esaurirsi, e questo ha causato nuovi problemi. L’acqua che rimaneva era sempre più pericolosa da bere. E quando il terreno sopra le falde acquifere sprofondava, l’elaborata infrastruttura di canali cedeva e non riusciva più a fare il suo lavoro. Quando le acque sotterranee si sono esaurite vicino alla costa, il mare è entrato verso l’interno, trasformando l’acqua dolce in salmastra.

Tuttavia il sistema funzionava abbastanza bene da far crescere a grandi ritmi la popolazione e il numero di fattorie, e da permettere a qualcuno di guadagnare cavalcando gli sbalzi tra umido e secco.

Negli anni novanta gli scienziati che creavano modelli sull’impatto futuro del cambiamento climatico prevedevano che in California si sarebbero intensificate condizioni atmosferiche già estreme: un futuro di oscillazioni sempre più selvagge tra siccità più gravi e alluvioni più pericolose. Non ci volle molto per capire che il cambiamento era già in corso. Le precipitazioni medie rimanevano abbastanza costanti, ma mascheravano importanti variazioni nel modo in cui arrivava l’acqua: ne cadeva meno sotto forma di neve, il che era un problema perché il manto nevoso che si scioglieva lentamente fungeva da serbatoio naturale ed era molto più capiente di qualsiasi cosa lo stato potesse costruire per sostituirlo; l’acqua arrivava meno spesso, quindi le piante, gli animali, il suolo e gli agricoltori dovevano soffrire la siccità per periodi più lunghi; e quando arrivava lo faceva all’improvviso (e i paesaggi aridi erano meno pronti ad assorbirla), in modo più intenso (causando inondazioni e rompendo gli argini) e in quantità enormi (tanto che i gestori del sistema idrico non avevano più posti sicuri in cui conservarla).

Negli anni dieci del duemila, un periodo che la climatologa Kate Marvel ha definito “il decennio in cui capimmo di avere ragione”, la California stava già cominciando a sembrare uno stato diverso. O, meglio, stava tornando a essere se stessa. Il quadriennio più secco da quando lo stato aveva cominciato a registrare cambiamenti climatici aveva ucciso più di cento milioni di alberi, alimentato incendi devastanti e lasciato i rubinetti asciutti, per poi cedere il posto, nel 2017, al secondo anno più piovoso della storia dello stato. E poi è arrivato l’ennesimo colpo di frusta: il ritorno del secco.

La velocità e la gravità di questi passaggi a volte sono state vertiginose. Paradise, la città in cui nel 2018 ottantacinque persone sono morte in un incendio alimentato dalla siccità, si trova a meno di trenta chilometri dalla diga che aveva quasi ceduto durante il diluvio dell’anno precedente. E poche settimane dopo l’incendio, alcuni sfollati hanno dovuto spostarsi di nuovo: una pioggia intensa stava coprendo le cicatrici del fuoco e il campo in cui si erano trasferiti era sul percorso delle inondazioni.

Acqua mai vista

Le tempeste che hanno colpito lo stato nel 2017 sono arrivate, come gran parte delle piogge in California, sotto forma di fiumi atmosferici, grandi correnti di vapore acqueo che si formano sopra i tropici e si muovono in cielo, trasformandosi spesso in pioggia e vento quando arrivano sulla terraferma. Secondo la National oceanic and atmospheric administration, un fiume atmosferico trasporta in media la stessa quantità di acqua del fiume Mississippi alla sua foce, ma quelli più grandi possono portarne fino a quindici volte di più. In alcuni casi arrivano uno dopo l’altro, colpendo a ripetizione come onde su una spiaggia. È quello che successe nel 1862. Da allora si stima che gli eventi di questo tipo capitino ogni cento o duecento anni: vuol dire che in un dato anno si verificano con una probabilità dallo 0,5 all’1 per cento, abbastanza raramente da permettere alle persone di dimenticare i rischi, come i contadini di Steinbeck, ma non abbastanza da poterlo fare sul serio.

Ma ormai le serie storiche sono sempre meno rilevanti. Nel 2011 un gruppo di circa cento scienziati, ingegneri e altri esperti ha realizzato, per conto dello Us geological survey, un modello per capire cosa succederebbe se un evento di quel tipo si verificasse ora che la California è molto più popolosa e ha infrastrutture più estese e vulnerabili. Gli scienziati hanno previsto centinaia di frane, milioni di sfollati e danni economici tre volte superiori a quelli che potrebbe causare un grave terremoto.

La Quinta, California, luglio 2022 (Mario Tama, Getty)

Ma quella valutazione teneva conto solo del potenziale impatto di una tempesta di portata storica. Il cambiamento climatico non solo rende più probabile eventi come la catastrofe del 1862, ma sta anche creando le condizioni per tempeste che faranno sembrare l’alluvione del 1862 una piccola cosa. I due fiumi atmosferici che hanno quasi creato una catastrofe a Oroville trasportavano dall’11 al 15 per cento di pioggia in più rispetto a quanto sarebbe stato possibile se gli esseri umani non avessero alterato il clima. E i fiumi atmosferici del futuro saranno ancora più grandi, dureranno più a lungo e trasporteranno acqua con una densità molto più elevata. Saranno anche più frequenti.

Secondo i climatologi Xingying Huang e Daniel Swain, le tempeste saranno in grado di inondare lo stato con un carico d’acqua superiore del 45 per cento rispetto a qualsiasi quantità stimata in base ai dati del passato. Visto che le precipitazioni cadranno rapidamente e tenderanno a diventare pioggia piuttosto che neve, il paesaggio sarà invaso da molta più acqua di quella portata dalle grandi alluvioni del passato.

I risultati di questo studio sono stati pubblicati nell’agosto 2022, quando la California era alle prese con una grave siccità. I mesi seguenti hanno mostrato che lo stato è impreparato ad affrontare anche eventi molto meno gravi. Fino a fine marzo 31 tempeste fluviali atmosferiche, di cui sei classificate come gravi e una come estrema, hanno colpito la costa occidentale. Vicino a Sacramento il fiume Cosumnes è uscito dagli argini. Tre persone sono morte e le autorità hanno dovuto revocare l’ordine di evacuazione quando le inondazioni hanno reso le strade troppo pericolose per la fuga. Un torrente è esondato vicino Planada, distruggendo case e automobili. Nella zona di San Francisco i forti venti hanno frantumato i vetri dei palazzi, facendo precipitare un divano da un grattacielo. Cinque persone sono morte in un giorno. I tornado sono arrivati alle porte di Los Angeles e la neve è caduta anche sull’insegna di Hollywood. Sulle montagne di San Bernardino i cumuli di neve sono diventati così alti che i tetti delle case sono crollati, le tubature del gas hanno cominciato a spaccarsi, sono scoppiati incendi e il dipartimento di polizia ha dovuto portare in aereo le razioni alle persone bloccate.

Proprietà da proteggere

Viaggiando sulle montagne lungo la costa, durante uno dei fiumi atmosferici più deboli di questa primavera, mi sono trovata a guidare sotto una pioggia accecante e raffiche di rami. Stavo andando a Pajaro, una cittadina a sud di Santa Cruz. Quasi due settimane prima, una notte il fiume Pajaro aveva sfondato un argine, costringendo gli 8.500 abitanti, molti dei quali lavoravano nelle aziende per la coltivazione di piccoli frutti e insalate, a lasciare in fretta le loro case. Le famiglie dormivano ancora in auto, in albergo o in rifugi di fortuna nelle fiere della contea, accumulando debiti mentre i campi erano allagati.

Ogni giorno le persone si radunavano al bordo del ponte chiuso che portava in città, mentre sotto il fiume scorreva ancora alto e scuro, per chiedere quando avrebbero potuto riprendere la loro vita. Quando hanno potuto rientrare in città, quasi due settimane dopo l’alluvione, ho visto i negozianti ripulire gli edifici e i residenti portare a casa bottiglie d’acqua messe a disposizione dal comune. Il sistema idrico era ancora inutilizzabile.

Andrew Fisher, che insegna all’università della California a Santa Cruz, sostiene che il fiume Pajaro è un microcosmo dei problemi e delle possibilità idriche dello stato. Si sapeva da decenni che gli argini del fiume erano obsoleti, progettati in un periodo in cui il clima era più moderato. Quando nel 2023 ci sono state le inondazioni, erano in grado di sostenere solo “un’alluvione di otto anni”, cioè con circa il 12 per cento di possibilità di verificarsi in un determinato anno. I paesi della valle non sono ricchi e non hanno mai avuto i fondi per pagare la loro quota per la sostituzione degli argini. Le decisioni sul tema vengono prese in parte in base al valore della proprietà da proteggere, quindi le aree con redditi più bassi vengono spesso trascurate. Per proteggere queste comunità, gli esperti idrici stanno facendo pressioni sulle autorità statali per stabilire standard minimi molto più rigorosi per tutti gli argini. Ma ci vorrebbero miliardi di dollari e la volontà politica di spenderli.

Visto che i comuni della valle del Pajaro hanno risorse limitate, gli agricoltori e i gestori del sistema idrico stanno imparando a fare delle scelte difficili che altre zone dello stato stanno rimandando. La conservazione delle falde sotterranee in tutto lo stato è obbligatoria per legge solo dal 2014. La valle continua a prelevare acqua, ma in misura inferiore rispetto al passato, grazie al recupero delle acque reflue, alle misure di conservazione e agli sforzi per ricaricare le falde. I prelievi dalle acque sotterranee della valle sono tracciati, cosa che non succede nella maggior parte degli altri posti, e sono molto costosi. Fisher pensa che si possa fare molto di più per applicare queste norme anche altrove, ma aggiunge che qualsiasi soluzione duratura richiede una comprensione più approfondita di quelli che lui chiama servizi idrologici: il modo in cui le diverse parti di un bacino idrografico sano possono rendere l’intero bacino più resiliente.

Prima che la California si sviluppasse, i fiumi che scendevano dalle montagne rallentavano quando raggiungevano il fondovalle, poi serpeggiavano attraverso un paesaggio ricco di lanche e zone umide stagionali. Lì si era creato l’habitat per pesci e altri animali. Microbi, mitili e artropodi eliminavano le sostanze inquinanti dall’acqua, che poi raggiungeva le falde, ricaricandole. Gran parte del terreno era poroso, coperto di piante autoctone invece che di lastricati e campi agricoli cotti dal sole, quindi poteva assorbire più acqua (quando i ricercatori hanno costruito un modello della valle del Pajaro, immaginando com’era prima dello sviluppo, e ci hanno fatto piovere sopra, hanno scoperto che il terreno risucchiava molta più acqua, riducendo la portata delle alluvioni). Il livello dell’acqua era abbastanza alto da permetterle di scorrere avanti e indietro tra fiumi e falde acquifere. Questo contribuiva a regolare la temperatura dei fiumi e impediva alle falde di riempirsi di sali e sostanze inquinanti. Oggi questo scambio è in gran parte interrotto.

In un futuro in cui il manto nevoso sulle montagne si ridurrà e i laghi artificiali delle dighe saranno già al massimo della capienza, il posto migliore per accumulare l’acqua sarà il sottosuolo. Il potenziale è enorme. Anche se i bacini idrici della California possono contenere circa 49 milioni di metri cubi d’acqua, lo stato ha già estratto tre volte quella quantità dalle sue riserve sotterranee. Ma prima l’acqua deve poter penetrare in quelle riserve. Non tutti i terreni sono adatti per la ricarica delle falde acquifere. Servono aree con depositi di ghiaia e terreno sabbioso invece che argilloso. Poiché i fiumi rilasciano diverse quantità di sedimenti a seconda della velocità con cui si muovono, per trovare queste aree bisogna riscoprire l’idrologia storica sotto la superficie della California.

Fisher mi ha mostrato delle mappe prodotte dall’indagine elettromagnetica che rivelano la composizione del suolo. I posti che voleva usare per la ricarica delle falde spiccavano in scuro, serpeggianti come le curve di fiumi dimenticati da tempo, che è esattamente quello che sono. “Si tratta in un certo senso di ripristinare il sistema idrico della California per il clima del futuro”, mi ha detto Julie
Rentner, che dirige River partners, un’organizzazione non profit che si occupa di conservazione idrica.

Quando l’ho incontrata, vicino alla città di Modesto, era una giornata fredda e luminosa. Rentner mi ha mostrato alcune fattorie che un tempo erano tipiche della Central valley, con campi livellati seminati a erba medica e grano. Ma quel giorno la terra somigliava di più alla valle di un paio di secoli fa. I fiumi San Joaquin e Tuolumne avevano rotto gli argini e inondato i campi, che sembravano boschetti di alberi piantati con cura e di altre piante autoctone immerse nell’acqua per più di un metro. Ovunque c’erano uccelli. Una lontra di fiume si muoveva veloce in cima a un argine.

Quella terra si era già allagata in precedenza, in particolare nel 1997, quando gli argini crollarono in diciassette punti. In seguito River partners comprò il terreno agricolo dai suoi proprietari disperati, sperando di trasformarlo in un habitat per le specie autoctone minacciate. Ma ben presto, ha raccontato Rentner, il gruppo cominciò a parlare con persone che si occupavano della gestione delle inondazioni e del ripristino delle falde acquifere, entusiaste dei diversi benefici che una versione reinventata della proprietà avrebbe potuto offrire allo stato e ai residenti, che avevano scarso accesso agli spazi naturali. Il progetto di ripristino alla confluenza dei due fiumi, nota come Dos Rios, sembra un modello di ciò che si potrebbe fare per gestire meglio l’acqua. Il posto diventerà un nuovo parco statale.

Le fattorie di una volta

A Grayson, una città vicino a Modesto che a gennaio aveva rischiato di essere inondata, un gruppo di residenti ha esplorato un’altra pianura alluvionale vicina che River partners sta contribuendo a ripristinare. John Mataka, che vive a Grayson da quasi cinquant’anni, mi ha detto che per lui il progetto è “una forma di risarcimento alla comunità”. Prima che fosse trasformato dalle dighe e dall’agricoltura, il fiume San Joaquin era pieno di salmoni. Oggi Grayson dipende dall’acqua della falda, che però è così piena di scarti agricoli da richiedere un trattamento per soddisfare gli standard di sicurezza. Mataka spera che il progetto di River partners permetta di avere acqua più abbondante e più pulita. È convinto che abbia già protetto la sua casa dalle recenti alluvioni.

Nel settembre 2022, mesi prima che l’argine fosse travolto nel cuore della notte, il piano per migliorare il controllo delle inondazioni sul fiume Pajaro riceveva finalmente i fondi necessari. Gli interventi sono arrivati troppo tardi per gli sfollati, ma Fisher e altri esperti li considerano un’opportunità per ripensare il modo in cui l’acqua scorrerà nella valle e nella California del futuro. Invece di contenere il fiume in barriere strette, il nuovo piano lascia all’acqua lo spazio per serpeggiare e diffondersi come in passato. Il gruppo sta progettando aree che possono essere allagate quando le acque sono alte, diventare habitat per la fauna selvatica, e punti in cui l’acqua può essere riassorbita nel terreno.

Inoltre Fisher sta collaborando con i proprietari terrieri della regione per creare bacini sperimentali di raccolta e infiltrazione, per ricaricare le acque sotterranee. Un agricoltore ha chiamato Fisher dopo aver sentito un suo discorso: voleva essere sicuro che la valle avesse ancora acque sotterranee quando a coltivare ci sarebbero stati i suoi nipoti.

Nella Central valley Helen Dahlke, un’idrologa dell’università della California, sta collaborando con gli agricoltori per sperimentare la deviazione delle acque alluvionali verso i loro vigneti, campi e frutteti. Dove penetra meglio? Quali colture sono più capaci di sfruttarla? Mi ha detto che quando arrivò per la prima volta in California, dieci anni fa, l’obiettivo era liberarsi delle acque alluvionali: confinarle in canali stretti, allontanarle dal paesaggio il più rapidamente possibile. Quando cercava di convincere gli agricoltori a trattenere le acque alluvionali sui loro terreni in modo che potessero ricaricare le falde acquifere, la maggior parte di loro la prendeva per pazza. Ma i cicli di inondazioni e siccità del decennio successivo hanno portato molte persone a pensare che le acque alluvionali possono essere una risorsa. Ora gli agricoltori sembrano più aperti al progetto.

Piani simili, che usano inondazioni e acque reflue per ricostituire i bacini idrici sotterranei, si stanno diffondendo in altre zone, ma sono ancora pochi rispetto alle esigenze future dello stato. Per affermarsi dovranno affrontare vari ostacoli normativi, a cominciare dal complicato sistema di diritti idrici della California, e trovare un modo per spostare l’acqua dove dovrebbe andare. I progettisti e i politici dovranno anche riflettere sugli aspetti del rischio climatico che possiamo ancora controllare, per esempio se è il caso di continuare a costruire nei posti più pericolosi o a coltivare prodotti che richiedono molta acqua. Gli esperti raccomandano anche di togliere vaste aree di terreni alla produzione agricola, perché il risparmio delle falde acquifere richiederà sia un pompaggio ridotto sia maggiore spazio per la ricarica. Le alluvioni e le siccità, storicamente gestite separatamente, dovranno essere affrontate insieme, bilanciando la necessità di mantenere libero lo spazio dei bacini idrici per controllare le inondazioni e quella di usarlo per catturare quanta più umidità possibile per ricaricare le falde sotterranee.

Le stime suggeriscono che la California ha bisogno di eliminare centinaia di migliaia di ettari di terreni agricoli per far posto a un sistema idrico più resiliente. Nell’autunno del 2022 lo stato ha stanziato quaranta milioni di dollari per il ripristino delle pianure alluvionali naturali, ma poi ha bruscamente tagliato quei fondi quando l’economia è andata in crisi. I tagli sono stati annunciati lo stesso giorno in cui agli abitanti di Planada è stato chiesto di lasciare le loro case.

Eppure il sole splendeva sull’acqua e l’argine era disseminato di impronte di cervi. Le foglie degli alberi sommersi stavano crescendo nel verde fresco della primavera. Rentner ha confessato di essere “irrimediabilmente fiduciosa”. Forse, dice, la California può ancora diventare un posto diverso.

Da sapere
Tempi incerti
Variazione nella frequenza degli eventi estremi rispetto alle condizioni preindustriali, % (Fonte: Public Policy Institute of California)

Nuova geografia

Più a sud, nel bacino che un tempo conteneva il lago Tulare, le acque alluvionali scorrevano ancora in fiumi e canali verso il vecchio letto del lago. Una mattina, non lontano da Allensworth, ho incontrato Frank Fernandes, un allevatore della valle, e Kathy Wood McLaughlin, una biologa e consulente idrica. Sono entrambi nel consiglio del Tule basin land and water conservation trust, un fondo creato per proteggere e preservare gli habitat naturali, la fauna selvatica e le attività agricole della valle di San Joaquin meridionale. Fernandes aveva passato l’ultima settimana a controllare freneticamente il bestiame che alleva con i suoi fratelli e lunghe notti ad aiutare i vicini a spostare le mandrie su un terreno più alto. Ora aveva finalmente un momento per osservare la trasformazione di un mondo che conosceva da tutta la vita.

Una nuova geografia confusa e sorprendente. Gli elicotteri ronzavano sopra di noi, lanciando sacchi sulle brecce degli argini. Gli agricoltori volevano parlare con Fernandes – che sembrava conoscere tutti – per capire quali fossero i terreni allagati, dove c’erano stati gli ultimi crolli e per offrire consigli su come muoversi. Ci siamo arrampicati su un ripido terrapieno superando le auto abbandonate nell’acqua alta. A un certo punto ci siamo dovuti fermare davanti a un ponte distrutto, dove erano bloccati due apicoltori dello Utah che cercavano di capire come recuperare i loro alveari affittati per impollinare i mandorli, dall’altra parte del ponte. Fernandes, molto abile nel guidare attraverso enormi pozze di fango, si è offerto di mostrargli una strada alternativa.

Era ancora marzo e l’aria era fredda, una piccola benedizione. Con tanti canali che collassavano, nessuno voleva che il manto nevoso si sciogliesse nella valle più velocemente del dovuto. Ma i gestori del sistema idrico sapevano che non potevano fare più di tanto per controllare l’impeto dell’acqua. Nulla avrebbe impedito che arrivasse. A metà maggio ci sarebbe stata acqua stagnante su centinaia di migliaia di ettari, e le autorità si sarebbero affannate a salvare la città di Corcoran, compresa la sua grande prigione, dall’alluvione in arrivo. Dopo settimane di inondazioni, il governatore ha cambiato idea sui fondi, ripristinando i quaranta milioni di dollari per sistemare le pianure alluvionali e aggiungendone 250 per le emergenze, compreso il controllo delle inondazioni lungo il fiume Pajaro, e per rialzare gli argini intorno a Corcoran. Ma a causa dei terreni argillosi della regione, resti di un lago molto più antico di Tulare, l’acqua avrebbe impiegato anni per defluire completamente.

Fernandes ha guidato attraverso campi di grano che sembravano tornare al loro passato di zone umide, fitti di uccelli che Wood McLaughlin ha identificato con piacere come folaghe, avocette e trampoli dal collo nero, e su un pezzo di terra che il fondo aveva comprato per trasformarlo in pianura alluvionale e habitat ripristinati. Stormi di ibis volavano sopra le nostre teste, con i lunghi becchi e le zampe che si stagliavano elegantemente contro il cielo.

Abbiamo fatto ancora un po’ di strada, fino a un punto, appena a sud di Corcoran, oltre il quale non si poteva andare. L’acqua era salita sulla strada raggiungendo le case e i veicoli abbandonati, fin dove noi – e gli altri che si erano riuniti per ammirare quel sorprendente spettacolo – potevamo vedere. La vecchia idrologia si stava riaffermando, il fondo del lago si stava trasformando di nuovo in un lago.

Sul posto dell’ennesimo argine rotto, Fernandes si è fermato a chiacchierare con un tecnico, poi si è guardato alle spalle e si è reso conto che la strada da cui eravamo arrivati era scomparsa sotto l’acqua che saliva. “Dobbiamo andare!”, ha urlato, e siamo tornati tutti sul camion. Avremmo dovuto trovare una via di fuga alternativa. ◆ bt

Brooke Jarvis è una giornalista statunitense che scrive di ambiente, scienza e società. Ha scritto articoli per il New York Times Magazine, il New Yorker, Harper’s e Wired.

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Questo articolo è uscito sul numero 1520 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati