Persone esauste che muoiono di sete nella polvere del Sahara: le immagini dei migranti abbandonati nel deserto al confine meridionale della Tunisia sono terribili. Difficile immaginare un modo più brutale di tenere lontani gli indesiderati. Finora questi metodi erano usati soprattutto dall’Algeria, ma ora anche la Tunisia sta seguendo il suo esempio.

Non è una coincidenza che il paese abbia scelto questa strada mentre stava trattando con l’Unione europea una collaborazione più stretta in materia di migrazione. Il presidente Kais Saied ha bisogno di soldi per coprire le spese del governo, e l’Unione vuole che le partenze dei migranti calino, e subito. L’estrema destra è in crescita e a maggio ci sono le elezioni europee. Così Bruxelles ha promesso centinaia di milioni di euro a Saied, e la Tunisia si è impegnata ad aumentare i controlli alle frontiere. Questi impegni sono quasi sempre accompagnati da un aumento della brutalità contro i migranti. Nessuna delle formule diplomatiche usate negli accordi tra l’Unione e i suoi partner per garantire il rispetto dei diritti umani è riuscita a prevenire l’uso della violenza contro le persone che fuggono. Una violenza che gli europei da tempo accettano senza protestare, e che è pagata con i loro soldi.

È l’ennesima sconfitta della primavera araba. I dimostranti che hanno abbattuto il regime di Ben Ali nel 2011 protestavano anche contro il servizio di buttafuori svolto dal loro paese per conto dell’Europa. Gli anni successivi sono stati segnati dal dibattito su cosa fosse più importante: i soldi europei o il tentativo di lavorare con gli altri stati africani per costruire un rapporto con l’Europa basato sui diritti umani e sugli interessi comuni del continente. Ora la Tunisia ha scelto i soldi. Il risultato sarà più violenza e morte ai suoi confini. ◆ gac

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Questo articolo è uscito sul numero 1521 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati