In vista delle elezioni europee di solito la domanda che ci si fa è: in che direzione andrà l’Europa? Eppure, se si considerano gli sviluppi delle settimane e dei mesi scorsi, sembra che la rotta sia già definita da un pezzo.

In seguito alle minacce di guerra, alle proteste degli agricoltori e all’ascesa dei partiti della destra radicale si sta delineando una nuova Europa che punta tutto sulla difesa, assume una posizione dura contro i migranti e ridimensiona drasticamente le priorità della politica in materia di clima e ambiente.

Ovviamente bisogna aspettare di vedere cosa porteranno le elezioni, che si terranno dal 6 al 9 giugno. Prevederne i risultati è un compito notoriamente complesso: in realtà si tratta di 27 elezioni separate, che vengono influenzate da altrettanti contesti nazionali (nei Paesi Bassi, per esempio, bisogna tenere conto delle vicissitudini per la formazione del governo). Allo stesso tempo, però, sembra quasi certo che in tutta l’Unione europea (Ue) ci sarà una vittoria schiacciante dei partiti della destra radicale e che la loro influenza aumenterà. E non solo: il voto sta già proiettando la sua ombra sulla politica.

Si vede dal modo in cui a febbraio la Commissione europea ha eliminato una serie di leggi ambientali in seguito alle proteste degli agricoltori. Il 7 marzo ha lanciato un grande sondaggio in cui gli agricoltori possono indicare quali regole sull’ambiente gli sono d’intralcio ed è probabile che la settimana prossima Bruxelles annuncerà la cancellazione di altre norme.

Si vede anche dal nuovo accordo sull’immigrazione che la Commissione ha firmato, sempre il 7 marzo, con la Mauritania, promettendo al paese dell’Africa occidentale 210 milioni di euro se riesce a bloccare il flusso di migranti. L’accordo è in linea con l’ambizione dell’Unione di stipulare varie intese simili, in linea con un patto simile stretto con la Tunisia, che finora d’altra parte non si è rivelato molto efficace. E proprio com’era successo nel caso della Tunisia, le organizzazioni per i diritti umani sono preoccupate per il trattamento che sarebbe riservato ai migranti e alle minoranze in Mauritania. All’inizio di marzo Bruxelles ha anche presentato un’ambiziosa strategia per potenziare l’industria europea della difesa. L’idea è investire più risorse finanziarie nella produzione di armi e altre attrezzature militari. A Bruxelles si è parlato di un “cambio di paradigma” verso un’Unione che farà di tutto per potersi difendere dalla minaccia militare della Russia, anche senza il sostegno degli Stati Uniti.

Meno politiche ambientali, più pugno di ferro contro i migranti e più militarizzazione sono anche i punti chiave del manifesto elettorale adottato questa settimana dai cristianodemocratici europei. Il Partito popolare europeo, riunito a Bucarest il 6 e 7 marzo, ha nominato come sua leader nella prossima competizione elettorale la presidente in carica della Commissione europea, Ursula von der Leyen. È stato l’avvio informale della campagna elettorale europea.

Fuori dai confini

La parte più sorprendente del manifesto è la proposta che, in futuro, i migranti non solo siano sottoposti alla procedura di asilo in paesi esterni all’Unione ma, in caso di esito positivo, siano anche accolti lì per periodi di tempo prolungati. Ricorda molto il controverso “modello Ruanda” del governo britannico, già bocciato da diversi tribunali nel Regno Unito. Nel 2019, nel loro programma, i cristianodemocratici avevano sottolineato l’importanza della “responsabilità cristiana e umanitaria” di aiutare chi ha bisogno. Cinque anni dopo, quel riferimento è assente. “Sono gli europei a decidere chi viene in Europa e sotto quali circostanze”, ha sottolineato von der Leyen a Bucarest. Durante una conferenza stampa, la presidente della Commissione ha ripetuto più volte che il progetto rispetta la Convenzione di Ginevra e tutti i trattati sui diritti umani.

I numeri
Quota delle esportazioni globali di armi nel periodo 2019-2023, % (Fonte: Sipri)

◆ I principali esportatori mondiali di armi sono gli Stati Uniti, con il 42 per cento del mercato globale. Lo afferma il nuovo rapporto dell’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma (Sipri). Nel triennio 2019-2023 i paesi europei hanno quasi raddoppiato le loro importazioni di armi rispetto al periodo 2014-2018, aumentando i loro acquisti del 94 per cento. Gran parte di questo aumento è dovuto ai trasferimenti di armi all’Ucraina, che sta combattendo contro l’invasione russa e che, tra il 2022 e il 2023, ha ricevuto il 23 per cento delle importazioni di armi della regione.


Però, quando le è stato chiesto quali paesi sarebbero disposti d’ora in avanti a fare da campo profughi per l’Unione europea, von der Leyen si è rifiutata di rispondere, e non ha nemmeno fornito una spiegazione precisa di come tutto questo sarebbe in linea con la legislazione europea esistente, secondo la quale i richiedenti asilo possono essere trasferiti esclusivamente in uno stato con cui hanno un legame accertato. Per cui, al momento la proposta sembra poco realizzabile, come il progetto britannico sul Ruanda. Comunque sia, nei prossimi tempi la flessibilità della presidente della Commissione europea sarà duramente messa alla prova. In questi quattro anni e mezzo in carica si è mostrata come la leader di un’Europa progressista, che difendeva con determinazione l’importanza di “prendersi cura del pianeta”, che condannava la costruzione di muri e che considerava una priorità la parità di genere e i diritti sul lavoro.

A Bucarest, quando ha tenuto il suo discorso elettorale lungo venti minuti, von der Leyen ha nominato una sola volta il green deal, che costituiva il fulcro del suo mandato, e ne ha parlato solo per rafforzare il potere concorrenziale europeo. Invece ha dedicato un bel po’ di tempo a tessere le lodi degli agricoltori europei, che secondo lei possono contare sul sostegno incondizionato del suo partito.

Senza un progetto

Questa rotta verso una “fortezza Europa” meno verde è inevitabile? La necessità d’investire molto di più nella difesa sembra incontestabile – ormai anche la sinistra lo sostiene esplicitamente. Ma anche se i partiti verdi e socialdemocratici si oppongono alla dura retorica contro i migranti e allo smantellamento dei piani per il clima, per ora non riescono a dirigere il dibattito. Entrambi i partiti sono in calo nei sondaggi, come d’altronde i liberali. Durante il congresso del loro partito la settimana scorsa, i socialdemocratici hanno scelto lo scialbo Nicolas Schmit come leader. Si fa fatica a immaginare che il settantenne lussemburghese possa essere un vero rivale di von der Leyen. Anche i liberali si preparano alle elezioni facendosi rappresentare da tre europarlamentari relativamente sconosciuti.

Ecco perché l’unico vero antagonista dei cristianodemocratici è una vecchia conoscenza: l’ex commissario europeo Frans Timmermans, che ha lasciato la politica europea da ormai quasi un anno. In molti l’hanno attaccato. Il capogruppo del Ppe a Bruxelles, il tedesco Manfred Weber, per esempio, lo ha definito “il tecnocrate” e il vicepresidente del consiglio italiano Antonio Tajani ha parlato della “religione di Greta Thunberg e Frans Timmermans”. Tutto ciò chiarisce soprattutto una cosa: da quando l’ex commissario europeo è tornato all’Aja, nell’Unione non c’è nessun altro politico di rango elevato che difenda a spada tratta il green deal.

La politica europea si basa su coalizioni e compromessi, e anche dopo le elezioni von der Leyen avrà bisogno del supporto dei partiti liberali e di sinistra, ma può trovarne anche a destra. Anche se si è scagliata contro l’estrema destra, descrivendola come un gruppo di “amici di Putin” che cercano di “mettere in difficoltà” l’Europa, le condizioni che ha posto per una collaborazione possono comunque includere un buon numero di partiti: devono essere a favore della resistenza ucraina, dell’Europa e della difesa dello stato di diritto. Queste richieste aprono la porta, per esempio, a un’alleanza con il partito di estrema destra della presidente del consiglio italiana Giorgia Meloni.

Dopo l’Europa relativamente progressista degli scorsi anni, che si proponeva di essere all’avanguardia in materia di legislazione ambientale e sociale, il futuro si profila così. Per “l’ideologia verde” – una frase che a Bucarest i rappresentanti del Ppe hanno ripetuto in ogni occasione – nell’Unione c’è molto meno spazio. Questa nuova Europa sembra occupata soprattutto a difendersi. ◆ oa

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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati