Il concetto di film perfetto è assurdo. Ma alcune pellicole raggiungono una sintesi impeccabile dell’opera del loro autore. Asteroid City è una di queste. Dà la sensazione che Wes Anderson si sia fatto da parte per ricalibrare il rapporto tra la sua arte, se stesso e il mondo esterno. Non è quindi il miglior film di Anderson né il più personale. Ma è quello in cui, facendo un passo indietro, si rende più presente, intellettualmente ed emotivamente. Tutto questo è incorporato nel dispositivo metanarrativo che dà il via al racconto: uno show televisivo sulla creazione di una commedia teatrale inventata apposta per lo show. Gran parte del film è proprio quella commedia apparentemente inesistente ambientata in una cittadina sperduta in un deserto stilizzato. Lì arriva un ricco cast di forestieri, molti dei quali richiamati da un fenomeno astronomico. Anderson mette in scena una storia elaborata, ricca di spunti e personaggi, e di dettagli che cancellano la distinzione tra primo piano e sfondo, con una passione estetica che riflette la sua devozione personale. E alla fine Asteroid City dimostra (a chiunque ne abbia mai dubitato) che Anderson non è uno “stilista”, ma un regista lungimirante con una grande profondità politica.
Richard Brody, The New Yorker
Stati Uniti 2023, 105’. In sala
Australia 2023, 94’. In sala
Il film di esordio dei fratelli australiani Danny e Michael Philippou è un horror avvolto su una storia di perdita. Trasmette una sensazione di tristezza che nessun mostro e nessuno squartamento possono cancellare completamente. Talk to me deve molto alla performance in continua evoluzione di Sophie Wilde nei panni di Mia, un’adolescente che ha perso da poco la madre. Incapace di un rapporto con il padre, trova un po’ di conforto nella famiglia della sua migliore amica. Durante una festicciola ha l’opportunità di ricreare un legame con i compagni di scuola da cui si è allontanata. Tra i ragazzi è diventato popolare un gioco sovrannaturale: con la mano imbalsamata di un medium si evocano gli spiriti, ci si fa possedere da loro e si filma il posseduto con i cellulari. I problemi arrivano quando gli spiriti non se ne vanno. Mia si presta al gioco e la sua discesa agli inferi ha qualcosa di ineluttabile. Uno degli aspetti più spaventosi di Talk to me è la plausibilità dei comportamenti degli adolescenti. Spettrale, triste e occasionalmente goffo il film non è perfetto, ma funziona.
Jeannette Catsoulis, The New York Times
Stati Uniti 2023, 133’. In sala
Il film di Gareth Edwards non è eccezionale, eppure credo che abbia il potenziale per cambiare per sempre il modo di fare film. La storia è un grande miscuglio di cliché fantascientifici: un ex marine amareggiato deve guidare verso un futuro incerto il primo bambino ibrido (metà essere umano, metà intelligenza artificiale) solo per riscoprire la sua umanità. Ma è come è fatto che ci fa sperare. Dopo aver visto com’è stato realizzato The creator imploreremo Hollywood di dare l’addio a film di supereroi da 300 milioni di dollari che per andare in pari devono incassare il pil di Grenada e inaugurare un’epoca di film commerciali con un budget ragionevole, ma migliori della tanta robaccia che ci siamo dovuti sorbire negli ultimi vent’anni, liberando gli studios da quella che ormai è diventata una schiavitù.
David Ehrlich, IndieWire
Italia / Svizzera / Polonia 2023, 100’. In sala
Al di là di come la si pensa sul fatto che Roman Polanski debba continuare o no a fare film, credo che possiamo essere tutti d’accordo sul fatto che non avrebbe mai dovuto fare questo: un’accozzaglia di scenette da sitcom ambientate in un hotel che sarebbero state scartate da qualunque sitcom. Nessuna è divertente e qualcuna è più spaventosa dei film horror dello stesso autore.
Philip De Semlyen, TimeOut
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