Anne Albers ha vinto tre volte il campionato olandese di surf longboard, ma non può godersi il suo “piccolo paradiso del surf” a Wijk aan Zee, un centro costiero di duemila abitanti. Qui ci sono le onde migliori dei Paesi Bassi, ma il paesino è alle prese con i gravi problemi sanitari e ambientali causati dall’acciaieria del gruppo indiano Tata. La questione preoccupa da decenni gli abitanti del posto, ma solo a settembre 2023 l’istituto olandese per la salute e l’ambiente (Rivm) ha stabilito per la prima volta un collegamento tra l’impianto e gli alti tassi di cancro ai polmoni e le basse aspettative di vita dell’area.

La Tata sostiene che le sue emissioni rientrano nei limiti previsti dalla legge, ma quando il vento soffia da sudest, dove si trova l’impianto, Wijk aan Zee si ricopre di una polvere nera e l’aria si riempie dell’odore acre dello zolfo. “Da piccola non ero preoccupata. La Tata era lì e basta”, racconta Albers. “Quando però sono venuta a sapere dei rischi per la salute, mi sono sentita intrappolata a casa mia. Penso ogni giorno di andarmene e ho paura di far nascere dei figli qui”.

La fabbrica, che ha aperto nel 1920 e produce fino a ventimila tonnellate di acciaio di alta qualità al giorno per aziende come la Volvo e la Tesla, è uno dei principali datori di lavoro nei Paesi Bassi, con diecimila posti in acciaieria e molti altri nell’indotto. Questo l’ha resa intoccabile per i politici e i sindacati, e ha spinto il governo a essere accomodante. È emerso con chiarezza in un altro rapporto del Rivm, pubblicato ad aprile, in cui si legge che il governo e la Tata hanno dato più valore ai cavilli sui permessi per le emissioni che alla sicurezza della popolazione.

L’atteggiamento in fatto di norme ambientali, però, sta cambiando e ora ci si chiede se la Tata terrà in vita la fabbrica anche se serviranno milioni di euro per bonificarla. “In passato, abbiamo dato più peso agli interessi economici”, ha dichiarato Vivianne Heijnen, viceministra delle infrastrutture. “Ora abbiamo cominciato a dare più importanza ad altri aspetti, come quelli ambientali e sanitari”.

Mentre la transizione ecologica costringe le aziende che usano combustibili fossili ad adattarsi a tecnologie più pulite e costose, cercando un equilibrio tra l’ambiente, la salute e i conti economici, presto Wijk aan Zee e altre cittadine vicine come IJmuiden potrebbero trovarsi al centro dell’attenzione. Dirk Weidema, 78 anni, può vedere l’acciaieria dal soggiorno di casa sua a IJmuiden, dove vive con la moglie da cinquant’anni. Ma solo quando è andato in pensione, dieci anni fa, Weidema si è accorto di quello che succedeva di giorno nel distretto industriale. “Vedevo enormi nubi di polvere nera levarsi dall’impianto”, racconta. “Mi chiedevo cosa fosse. Non l’avevo mai vista prima, perché durante la settimana lavoravo sempre e quanto tornavo a casa era buio”.

Weidema ha deciso d’indagare. Sospettava che le nuvole nere fossero provocate dal coke, un ingrediente essenziale nella produzione dell’acciaio che si ricava riscaldando il carbone in assenza di aria. Quando il processo non avviene in modo fluido, produce nuvole nere tossiche come quelle dell’impianto della Tata. Weidema ha cominciato a documentare le emissioni della fabbrica e a inviare le prove alle autorità. Da allora l’azienda è stata multata più volte per l’emissione di residui tossici.

Altoforni chiusi

Il modo più rapido per neutralizzare i rischi per la salute sarebbe chiudere i due altoforni attivi a IJmuiden. Questo però avrebbe effetti devastanti sull’azienda dal punto di vista finanziario, ha dichiarato Hans van den Berg, l’amministratore delegato della Tata Steel Nederland: secondo lui comprare il coke sul mercato invece di produrlo internamente potrebbe costare fino a 150 milioni di euro all’anno per ogni altoforno, e con la chiusura di un altoforno si perderebbero duecento posti di lavoro. Chiuderli entrambi, ha aggiunto, vorrebbe dire sbarazzarsi di “più della metà dell’azienda”.

Negli ultimi anni però la Tata ha cambiato atteggiamento in seguito alle pressioni dell’opinione pubblica. Nel 2020 l’azienda ha annunciato l’intenzione di diventare del tutto sostenibile, presentando un piano per catturare e immagazzinare l’anidride carbonica sottoterra e adottare poi una strategia per alimentare a idrogeno l’impianto entro il 2030.

La Tata stava negoziando con il governo un aiuto finanziario per la sua transizione verde, ma la vittoria di Geert Wilders alle elezioni politiche di novembre potrebbe complicare la situazione. Il leader populista, in trattative per la formazione del nuovo governo, si oppone con forza alle misure per la difesa dell’ambiente. Vuole fermare la riduzione delle emissioni e “gettare nel tritarifiuti” gli accordi sul clima. La situazione è incerta. L’opinione pubblica è contraria all’impianto, ma il governo non è in grado di approvare misure per la sua sostenibilità ambientale: tutto questo potrebbe influenzare le decisioni della Tata sulla sua più grande acciaieria fuori dall’India. “Si chiedono se sono ancora i benvenuti”, dice l’amministratore delegato.

Nel frattempo la Tata Steel Nederland ha annunciato il taglio di ottocento posti di lavoro. Di recente in una delle fabbriche ha installato un impianto di depolverazione, con una potenza pari a ventimila aspirapolvere casalinghi, per ridurre le emissioni di polvere, piombo e metalli pesanti. L’azienda ha dichiarato di voler prendere altri provvedimenti per diventare “un’acciaieria più pulita, verde e circolare”.

Questi sforzi produrranno risultati in futuro, ma non ridurranno nell’immediato i rischi per la salute. Jeroen Olthof, il governatore della provincia Noord-Holland, è convinto che occorra agire in fretta. La Tata infrange i termini dei suoi permessi a ogni emissione di coke, ha dichiarato. Per questo Olthof vuole capire se sia possibile revocarle la licenza.

È impossibile tuttavia slegare il ruolo di salvagente economico, che la Tata riveste per molte persone, dai danni di cui è accusata. Chi ha lavorato o lavora ancora per l’acciaieria ha paura di perdere il posto: i costi legati alla chiusura dell’impianto, si sostiene, non valgono i benefici per l’ambiente e la salute. Un ex dipendente in pensione dice che la chiusura sarebbe disastrosa per l’economia locale e potrebbe costringere molte persone a stabilirsi altrove. Weidema invece non ha mai pensato di andare via. “Vivo in questa casa dal 1971”, dice. “Dopo tutto questo tempo è difficile andarsene”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 100. Compra questo numero | Abbonati