Quindici anni dopo lo scoppio di una bolla immobiliare che costrinse Dublino a prendere in prestito miliardi di dollari per evitare l’insolvenza, l’Irlanda ha scoperto che anche avere troppi soldi può essere un problema. Grazie alle entrate ottenute con le imposte societarie, pagate soprattutto da multinazionali statunitensi che hanno sede nel paese, il governo prevede di finire il 2023 con un avanzo di bilancio di dieci miliardi di euro. Nel 2024 si arriverà addirittura a sedici miliardi.

Per anni le basse aliquote sui redditi d’impresa hanno rappresentato per le multinazionali un incentivo ad aprire una sede in Irlanda. Nonostante i lenti passi avanti registrati dagli Stati Uniti e altri paesi nell’introduzione di un’imposta minima globale sui profitti delle multinazionali, i soldi versati al fisco irlandese aumentano velocemente, ma pongono la politica davanti a scelte difficili: nel documento annuale di bilancio che dovrà essere presentato a ottobre il governo deve indicare cosa fare con tutti questi soldi.

Ci sono diverse opzioni sul tavolo: risparmiare per il futuro, rimborsare i debiti, investire in alloggi popolari o in qualche altra infrastruttura come ospedali e scuole, oppure costruire una metropolitana a Dublino, o ancora dilapidare tutto in tagli alle tasse e sussidi. “Qualunque cosa facciano, ci saranno persone deluse”, dice Cliff Taylor, giornalista economico del quotidiano Irish Times. Si parla di mettere da parte i soldi in un fondo sovrano per sostenere i costi del sistema pensionistico, che aumenteranno a causa dell’invecchiamento della popolazione. “Se andremo in questa direzione”, prosegue Taylor, “altri diranno che abbiamo un urgente bisogno di spendere quei soldi in alloggi, trasporti e sanità e per adeguare il sistema energetico al cambiamento climatico”.

L’Irlanda soffre di una grave carenza di case e appartamenti. A causa degli affitti alti i giovani hanno difficoltà a trovare un posto in cui vivere. E il numero di persone senza fissa dimora, compresi lavoratori con famiglia, è in costante aumento. La penuria di alloggi e di altre infrastrutture sta ostacolando la crescita economica, sostiene l’Irish business and employers confederation, un’associazione che rappresenta imprese nazionali e internazionali. “Le aziende non riescono ad attirare o trattenere le persone di cui hanno bisogno”, dice Fergal O’Brien, dirigente dell’associazione. “Ora l’economia va bene, ma secondo la nostra organizzazione c’è tanto potenziale non sfruttato”.

Ospedali e scuole

Un recente sondaggio commissionato dall’Irish Times ha suggerito che il 40 per cento dell’opinione pubblica preferirebbe che i soldi in più fossero spesi per “trasporti pubblici, alloggi, ospedali e scuole”, e il 25 per cento per servizi pubblici come la sanità e l’istruzione. Solo il 9 per cento ha indicato come prima scelta il taglio delle tasse. Meno del 5 per cento preferirebbe rimborsare il debito pubblico o risparmiare per le future spese sulle pensioni.

Secondo Eoin Reeves, docente di economia all’università di Limerick, le spese per grandi progetti sono ostacolate dal fatto che in passato il governo irlandese non si è dimostrato capace di spendere in modo efficiente le ingenti somme investite. I grandi progetti infrastrutturali in Irlanda tendono a essere completati in ritardo e a superare di gran lunga le previsioni di spesa iniziali. Nel 2015 si prevedeva l’inaugurazione, entro il 2020, di un nuovo ospedale pediatrico da 380 posti letto a Dublino, per una spesa di 650 milioni di euro. La data di apertura è stata posticipata al 2024 e il costo è arrivato ad almeno 2,2 miliardi di euro. La struttura diventerebbe così l’ospedale più costoso al mondo in termini di spesa per posto letto.

Con il suo traffico congestionato, Dublino è una delle poche capitali europee senza metropolitana, eppure i progetti per la costruzione di una linea che colleghi il centro al frequentatissimo aeroporto, con una spesa che nel 2000 era stata stimata in 3,5 miliardi di euro, sono stati rimandati o modificati più volte. In base all’ultima versione, la sua realizzazione richiede dieci anni di tempo, con un costo tra i sette e i dodici miliardi di euro. “Se volessi raccogliere in un libro i casi di grandi progetti finiti male, di certo l’Irlanda contribuirebbe con un bel numero di brutte figure”, dice Reeves.

Secondo Rory Hearne, docente esperto di questioni immobiliari alla Maynooth university, per lungo tempo hanno prevalso politiche di libero mercato che hanno contribuito a una sorta di avversione ideologica ai grandi investimenti pubblici nei servizi e nell’edilizia. Hearne intravede anche un divario generazionale. “Chi prende queste decisioni nel governo e nella pubblica amministrazione è gente relativamente privilegiata sulla cinquantina”, spiega. “Mentre queste persone ci dicono che dovremmo accantonare i soldi per i tempi difficili, i trentenni dicono che loro stanno annegando adesso”.

Tra due anni ci saranno le elezioni e il partito di centrosinistra dello Sinn Féin sta andando bene nei sondaggi grazie alla promessa di usare il denaro pubblico per costruire alloggi a prezzi accessibili. Questo potrebbe indurre il governo conservatore, guidato dal primo ministro Leo Varadkar, a cercare la popolarità immediata con tagli alle tasse e altre forme di sussidi. Si parla già di un possibile taglio della tassa universale per i servizi, una forma d’imposta sul reddito.

Un ultimo dilemma per i politici irlandesi è che nessuno sa per certo quanto durerà questa congiuntura favorevole. Gran parte dell’avanzo di bilancio arriva da aziende statunitensi come la Apple, la Alphabet e la Pfizer, che incanalano in parte o del tutto le loro attività estere e proprietà intellettuali passando per società sussidiarie irlandesi, tassate con un’aliquota dell’11,5 per cento. Ma l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico sta cercando di dare vita a un’aliquota minima globale del 15 per cento, che azzererebbe il vantaggio dell’Irlanda.

Nel 2022 il Fiscal council, un organismo consultivo ufficiale, ha lanciato l’allarme sull’eccessiva dipendenza dell’Irlanda dalle imposte societarie. Il fatto che il paese conti su queste entrate, inoltre, ha distorto il calcolo del pil, in cui rientrano attività che non si svolgono nel paese. Quello che arriva con tanta facilità può andare via altrettanto facilmente, osserva Taylor: “Potrebbero cambiare all’improvviso le norme fiscali statunitensi e le tasse finirebbero altrove”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1531 di Internazionale, a pagina 115. Compra questo numero | Abbonati