La cabina della funicolare si apre di scatto, sembra di essere su una pista da sci. Il tragitto, che parte dal centro di Caracas, dura quindici minuti al massimo e finisce in un altro mondo. Il cemento, le autostrade e i gas di scarico prodotti da benzina di scarsa qualità lasciano il posto a boschi e aria fresca di montagna. Una golf cart con l’autista ci aspetta per percorrere l’ultimo chilometro verso il culmine del lusso venezuelano.

All’estremità opposta di un breve viale c’è la facciata dell’hotel Humboldt. Entrando si ha la sensazione di tornare negli anni cinquanta. L’arredamento evoca un mondo di formica, colori pastello e gonne di tulle. I soffitti a volta alti sei metri e le finestre a mosaico lasciano entrare la luce di montagna nella hall e nei ristoranti, restaurati spendendo cifre considerevoli. I mobili vintage e i candelabri minimalisti con lampade a forma di disco sono stati rimessi a nuovo con eleganza oppure sostituiti.

“È unico al mondo”, dice la direttrice Gladys Zukkin con orgoglio. Dopo aver superato un ritratto a grandezza naturale del naturalista tedesco Alexander von Humboldt, che nell’ottocento esplorò queste zone, la visita guidata prosegue lungo saloni, piste da ballo e un pianoforte a coda Bösendorfer marrone, di valore inestimabile. “Molti venezuelani scoppiano a piangere per l’emozione”, commenta Zukkin. Si emozionano per la bellezza del posto e perché ricordano quando vennero qui con il loro primo amore o per la prima notte di nozze.

In cima alla torre, sul balcone di una delle suite, Zukkin sottolinea l’effetto che creano le nuvole: veli di nebbia che si dissolvono all’improvviso aprono degli squarci su Caracas, da un lato, e il mar dei Caraibi dall’altro. La luce del sole viene coperta o filtra, a seconda dei momenti. Chi vuole assistere a questo spettacolo e svegliarsi nel lusso paga trecento dollari a notte, il doppio di quasi tutti gli altri grandi alberghi della capitale che hanno resistito alla crisi economica e all’esodo di milioni di venezuelani.

Vecchi e nuovi ricchi

Questa “oasi di relax e divertimento”, com’è presentato l’hotel Humboldt sul suo sito, fa parte del nuovo lusso che da qualche anno è comparso in Venezuela. A Caracas hanno aperto negozi che vendono prodotti pregiati: olio al tartufo, champagne francese e profumi italiani. Nel quartiere della vita notturna, Las Mercedes, sono spuntati molti ristoranti eleganti e cantieri di condomini prestigiosi. Per le strade circolano auto sportive e Hummer blindati, mentre su un cartellone pubblicitario lungo la strada si vede l’ex presidente socialista Hugo Chávez che dice: “È il momento di essere leali”.

Da Avanti, uno dei grandi magazzini più esclusivi del paese, tra le giraffe in plastica a grandezza naturale è esposto anche un televisore Samsung a microled: secondo il commesso è “l’unico in tutta la regione”, e si vende a 115mila dollari. Poco più in là, nella concessionaria Ferrari, sono proposte varie auto dai colori sgargianti. Ce ne sono “abbastanza”, dice il rivenditore, “come nel resto del mondo”. In Venezuela però il prezzo è del 60 per cento più alto rispetto agli Stati Uniti. Non è per questo, tuttavia, che solo in pochi hanno una Ferrari: “Se ne producono in numero limitato, per mantenere l’esclusività”.

Il lusso contrasta con l’iperinflazione, la povertà, la scarsità cronica di carburante e un salario minimo di circa cinque dollari al mese. Quasi un quarto dei venezuelani è già scappato dalla povertà e si è rifugiato nei paesi vicini, soprattutto in Brasile e in Colombia, ma anche più a sud e negli Stati Uniti. “Solo il cinque per cento della popolazione può permettersi di andare al ristorante”, dice l’economista Asdrúbal Oliveros. “Metà degli abitanti non ha neanche i soldi per i bisogni più elementari”.

Da dove viene allora questa ricchezza? E chi può permettersela? “Non tutti possono comprare questa tv”, spiega il commesso di Avanti, “ma qualcuno c’è, per esempio funzionari del governo o imprenditori”. Poi si corregge: non può dare dettagli sui clienti del negozio.

“Sono i nuovi ricchi, spesso con agganci ai vertici, che traggono vantaggio dalla situazione”, dice Oliveros. “Ci sono comunque anche i vecchi ricchi, che conoscono bene certe dinamiche e sanno come approfittarne”.

La rivoluzione bolivariana, proclamata nel 1999 da Hugo Chávez, si scagliava contro quella che il leader socialista definiva “l’élite”, cioè i “nemici del popolo”, politici e imprenditori venezuelani che per decenni si erano divisi il potere e i soldi del petrolio. Il paese ha le più grandi riserve di greggio al mondo, ed è anche ricco di gas, diamanti e metalli come oro, ferro, bauxite e coltan. Quando Chá­vez fu eletto presidente, metà della popolazione era povera e vedeva solo qualche briciola di quell’enorme ricchezza. Lui fece una promessa: il nuovo Venezuela sarebbe stato di chi non aveva risorse. Il cosiddetto socialismo del ventunesimo secolo avrebbe messo fine alla povertà e alla corruzione.

All’inizio il leader socialista riuscì a migliorare notevolmente le condizioni di vita nei quartieri popolari e nell’entroterra. Avviò delle misiones, programmi sociali per distribuire generi alimentari, prodotti di base sovvenzionati dallo stato, cure mediche, assegni familiari e aiuti per l’istruzione. Il tutto pagato con i petrodollari, che in quel periodo arrivavano a palate. Migliaia di medici cubani furono mandati nelle città venezuelane, vennero distribuiti pasti nelle scuole, sussidi, aiuti per i bambini e pensioni per gli anziani.

Oggi, vent’anni dopo, tutti i programmi sociali sono bloccati. I soldi sono finiti e la disuguaglianza è aumentata di nuovo. L’odiata vecchia élite ha lasciato il posto a una nuova casta di privilegiati. E il caos economico e politico si è rivelato un ambiente ideale per la corruzione, il riciclaggio di denaro e il nepotismo.

Un mercato all’aperto a Caracas, 10 gennaio 2023 (Adriana Loureiro Fernandez, The New York Times/Contrasto)

Mentre la popolazione soffre perché non ha da mangiare a costi accessibili e per la mancanza di assistenza sanitaria, i funzionari di governo, i leader di partito, gli imprenditori con gli agganci giusti – nel paese sono chiamati enchufados – tengono per sé il potere e i soldi. I militari che controllano le strade e i confini guadagnano una fortuna con il traffico di droga, oro, benzina, armi ed esseri umani. Secondo l’ong Transparency international, da anni il Venezuela è il quarto paese più corrotto del mondo.

Manie di grandezza

L’Humboldt ha fama di essere amato dagli enchufados. Invece chi critica il governo di Maduro rifiuta di metterci piede. L’albergo si staglia con imponenza sulla montagna che separa Caracas dalla costa e la sua architettura supera simbolicamente tutte le nuove costruzioni sfarzose della città.

Era proprio questa l’intenzione del dittatore Marcos Pérez Jiménez quando nel 1956 ideò l’hotel. Era l’inizio del cosiddetto Venezuela saudita, un periodo di vertiginosa crescita economica in cui i soldi del petrolio inondavano il paese. Pérez Jiménez celebrò il “suo” successo trasformando Caracas: i cavalcavia di cemento, gli enormi complessi residenziali e la più importante università pubblica sono di quel periodo. L’Humboldt, che già durante i lavori esprimeva progresso e sviluppo, ma anche mania di grandezza e arroganza, fu la ciliegina sulla torta: un simbolo di benessere, eccentricità e potere assoluto.

La sua costruzione fu un’autentica dimostrazione di forza: un immenso edificio a duemila metri di altezza in un territorio inaccessibile. Un compito quasi impossibile negli anni cinquanta. L’architetto venezuelano Tomás José Sanabria disse che avrebbe avuto bisogno di tre anni e propose un piccolo albergo che si sarebbe mimetizzato nella natura, quasi invisibile da Caracas. “La natura, la danza delle nuvole e il vento saranno i protagonisti”, spiegò, secondo la figlia Loly. Ma l’ego di Pérez Jiménez era troppo grande per accontentarsi di un albergo così sobrio. Il leader venezuelano voleva una torre di vetro appariscente, con molte stanze e che si potesse ammirare dalla valle. E il cantiere doveva durare poco. A Sanabria furono concessi duecento giorni per i lavori: l’albergo fu inaugurato il 29 dicembre.

Zukkin racconta qualche aneddoto sull’Humboldt. “Sanabria diceva: ‘Avrà tredici stanze’. E Pérez Jiménez rispondeva: ‘Tredici? No, deve averne duecento o trecento’”. Poi, in un salone, indica la poltrona di pelle che Pérez Jiménez aveva scelto per sé, proprio davanti alla pista da ballo. “In discoteca aveva la sua loggia presidenziale”. Zukkin mostra rispetto per “il presidente” che guidò il Venezuela verso la modernità con grandi progetti infrastrutturali. Non usa mai la parola “dittatore” per riferirsi a lui.

Negli anni successivi all’inaugurazione, l’élite venezuelana frequentava l’albergo in occasione di feste o per cenare. Loly Sanabria ricorda le donne in pelliccia e gli uomini in completo elegante. “Erano gli anni cinquanta. Se andavi all’Humboldt dovevi vestirti bene, indipendentemente dall’estrazione sociale. Mia madre e le sue amiche indossavano tutte la pelliccia, il cappello e i guanti, un vestito, scarpe con tacchi alti e una borsetta”.

Pérez Jiménez non si godette a lungo il suo fiore all’occhiello. All’inizio del 1958 fuggì da una rivolta popolare, portandosi via tredici milioni di dollari dalle casse dello stato. Per il Venezuela fu un bene perché da quel momento si alternarono vari governi democratici, che all’epoca erano un’eccezione in America Latina. Non fu un bene per l’Humboldt. L’albergo restò allo stato, ma la sua immagine rimase legata alla dittatura; la manutenzione fu trascurata e cominciò un lento e inesorabile declino. Secondo Loly Sanabria, l’hotel cadde vittima del rancore politico. “È una cosa tipicamente venezuelana: se io sono verde e vincono i rossi, non voglio più saperne nulla dei verdi. Compreso tutto quello che è stato costruito da loro, anche se è stato pagato con i soldi delle tasse”.

Come altri progetti voluti da Pérez Jiménez, l’albergo è ancora considerato un “elefante bianco”, spiega l’architetto venezuelano Gregory Vertullo, che ha diretto il restauro. “Un monumento senza utilità, di pura propaganda politica”. Alcuni presidenti tennero aperte delle zone dell’hotel, ma l’isolamento del luogo scoraggiava qualsiasi investimento. All’inizio degli anni ottanta pernottare qui diventò impossibile.

È merito di un immigrato spagnolo se l’Humboldt non andò completamente in rovina: Francisco ‘Paco’ López lavorava come portiere dell’edificio, vivendo da solo in uno degli alloggi per il personale. Girava ogni giorno per l’albergo vuoto, mandando via i ladri che avevano messo gli occhi sui servizi di piatti e altri oggetti di valore. Oggi nell’ingresso c’è un negozietto dedicato a lui, il famoso eremita. Nel 2009 Chávez ebbe l’idea di riportare l’albergo al suo antico splendore. Il 4 maggio 2018, quasi dieci anni dopo, fu il suo successore Maduro a tagliare il nastro. Il restauro non era ancora concluso ma Maduro aveva fretta: la sua popolarità era molto bassa e, poiché mancavano solo due mesi alle elezioni presidenziali, aveva bisogno di un successo da esibire. In quel periodo il Venezuela stava vivendo una delle crisi più gravi della sua storia, con l’economia che si era contratta di più dell’80 per cento. Ma per il restauro, che risucchiava milioni dalle casse dello stato, i soldi non furono un problema.

Non c’era margine per le proteste: pochi mesi prima Maduro aveva soffocato con violenza una rivolta popolare. Il bilancio era stato di 163 morti e quasi tremila persone ferite. Con il controllo dei mezzi d’informazione, del parlamento e dell’esercito, il potere del presidente era assoluto quasi quanto quello di Pérez Jiménez negli anni cinquanta. L’Humboldt era di nuovo un simbolo. Il cerchio si era chiuso.

I primi ospiti dell’albergo sono arrivati solo dopo la fase più dura della pandemia di covid-19. La catena alberghiera Marriott, che inizialmente aveva preso in gestione la struttura, ha rinunciato quasi subito perché temeva che il posto non fosse abbastanza redditizio. Così l’Humboldt è rimasto allo stato.

Verso mezzanotte i pochi che hanno cenato prendono la funicolare per tornare in città, lasciando i camerieri e i custodi senza niente da fare

Senza scuola

La cima dell’Ávila è una destinazione amata dagli escursionisti. Nel tratto tra la funicolare e l’albergo di sabato pomeriggio c’è una piacevole confusione. Ci sono pagliacci, musicisti e bancarelle che vendono qualche spuntino. In fondo sventola una gigantesca bandiera venezuelana, che si vede anche dalla città.

Diego Cárdenas è l’ex custode della funicolare, anche se non ci è mai salito. “A causa dell’inflazione il mio stipendio si è ridotto a cinque dollari al mese”, racconta. Oggi fa il tassista e carica chi scende da quella funicolare che lui non ha mai preso. Ma guadagna comunque poco. “Come faccio a comprare delle scarpe buone per mio figlio o la maglietta di Messi che desidera tanto? Costa trenta dollari”, dice.

Nel ristorante dell’albergo, in un tavolo vicino alla finestra, è seduta Aleida Blanco. Dirige un consiglio comunale lontano dalla capitale ed è una sostenitrice di Maduro. Oggi ha portato i suoi collaboratori in gita a Caracas. Ci vengono spesso, dice Blanco, “per la natura”. Secondo lei i prezzi dell’Humboldt sono accettabili, come i problemi del paese. “Sulla crisi circolano solo voci false”, sostiene. La presunta mancanza di benzina in Venezuela secondo lei è una bugia: è solo la conseguenza dell’accaparramento delle risorse e della disinformazione alimentati dell’opposizione.

Le sue parole contrastano con le analisi degli esperti. “Il modello economico in Venezuela ha portato un’enorme inflazione e ha fatto crollare lo stato”, afferma Oliveros. Chávez ha centralizzato il potere, ha politicizzato istituzioni come l’esercito e la giustizia, calpestando alcuni princìpi democratici. L’economia è pianificata, ci sono stati espropri e settori come l’industria petrolifera e le istituzioni finanziarie sono stati nazionalizzati. Questo ha prodotto povertà, iperinflazione, disoccupazione e clientelismo. I soldi erano distribuiti ai potenziali elettori.

“Già in passato le utopie socialiste hanno promesso maggiore uguaglianza, ma hanno generato una miseria diffusa”, dice l’economista. “In Venezuela i funzionari e i pensionati sono rimasti quasi senza soldi”. Il petrolio, pilastro dell’economia, è estratto con il contagocce a causa dell’assenza d’investimenti, dell’incuria cronica e delle frodi sulla distribuzione. E le sanzioni imposte dagli Stati Uniti e dall’Unione europea non aiutano il paese a uscire dalla crisi.

La sua costruzione fu un’autentica dimostrazione di forza: un immenso edificio a duemila metri di altezza in un territorio inaccessibile

Proprio come prima della rivoluzione, la situazione è più grave nei quartieri popolari di Caracas e nelle zone rurali fuori dalle città, dove mancano acqua, elettricità, gas, generi alimentari e cure mediche. Negli ultimi anni la crisi ha raggiunto anche i quartieri più ricchi. Ma lì gli abitanti si arrangiano usando i loro risparmi per scavare pozzi, comprare serbatoi d’acqua e generatori con cui superano i frequenti blackout. Nei quartieri più poveri, dove molti sostengono il governo, lo stato interviene, ma la situazione sta peggiorando e gli aiuti non bastano.

“Il governo fa sempre più fatica ad aiutare chi ha bisogno”, dice Yoel Capriles, un leader di quartiere che vive a El Plan, una zona popolare con costruzioni di mattoni rossi ammassate una sull’altra sui pendii visto che i ricchi hanno occupato tutti gli spazi pianeggianti per le loro ville. Capriles, ancora oggi un rivoluzionario convinto, indica una collinetta piena di ruderi: i testimoni silenziosi della catastrofe che nel 2023 ha colpito El Plan. A causa delle forti piogge, una parte di strada è crollata e decine di famiglie sono rimaste senza casa.

Il piano superiore del suo minuscolo appartamento è pieno di secchi e bacinelle perché l’acqua è razionata. Le interruzioni di corrente sono frequenti e la guardia medica manca da un paio d’anni. Capriles se ne fa una ragione, ma quello che gli dà davvero fastidio è la lentezza con cui procedono i lavori per il nuovo edificio scolastico. Sono otto anni che è in costruzione ed è ancora tutto in alto mare. I bambini dividono una piccola scuola con gli alunni del quartiere vicino, quindi fanno solo metà dell’orario previsto.

“I soldi arrivano a singhiozzo”, dice Capriles. Bastano per i lavori per una settimana, poi seguono altri mesi di attesa. La scuola è su tre piani, che ci sono già, ma manca tutto il resto: le finestre, l’elettricità, i tavoli e le sedie. Dal tetto di cemento si vede l’hotel Humboldt, dove Capriles non potrà mai dormire.

Nonostante tutto, però, nulla fa pensare che il potere di Maduro vacilli. “La fame e la necessità sono uno strumento di potere importante”, dice Rafael Uzcáte­gui di Provea, un’organizzazione che si occupa di diritti umani. Gran parte dei venezuelani non ha tempo di protestare perché deve pensare a come procurarsi da mangiare o la benzina. “Qui non c’è politica, solo opportunismo”, aggiunge.

All’inizio del 2023 la corruzione è arrivata a un livello così alto che il presidente ha dovuto prendere provvedimenti. Ha ordinato il sequestro di quasi quattrocento auto di lusso, diciannove jet privati, 28 ville e sette yacht. Ha sacrificato perfino alcuni amici per mostrare al popolo “che in Venezuela non c’è spazio per la corruzione”. Uomini d’affari, funzionari del governo e politici sono stati arrestati o costretti a dare le dimissioni per sospetta sottrazione di fondi pubblici tramite trasferimenti di petrolio e criptovalute.

Il più noto di questi personaggi è Tareck El Aissami, più volte ministro ed ex vicepresidente che si è occupato di vigilare sul restauro dell’Humboldt. Anni fa gli Stati Uniti lo hanno inserito in una lista dei criminali più ricercati per traffico di droga e riciclaggio di denaro. Da quando lo scorso marzo ha dovuto dimettersi per corruzione, di lui non si hanno più notizie.

In rovina

“Nostro Signore non potrebbe perdonare tutto quello che succede qui”, dice l’autista della vecchia jeep che s’inerpica su una strada tortuosa verso l’Humboldt. Questi mezzi possono portare fino a dieci persone e sono l’alternativa più economica per chi vuole dare un’occhiata all’edificio ma non ha i soldi per prendere la funicolare.

Lungo il tragitto l’autista indica le ville costruite di recente sulle pendici del monte Á­vila, tutte di proprietà di politici, militari di alto rango o dei loro familiari. Scorci di ricchezza, nascosti all’occhio degli altri abitanti. “Quella casa è della sorella di Jorge Rodríguez”, dice riferendosi al presidente del parlamento.

Poco più avanti si vede una villa moderna, in vetro e alluminio. È la seconda casa di Diosdado Cabello, l’uomo più potente del paese dopo Maduro.

All’Humboldt è stato da poco aperto un casinò. Chávez aveva chiuso le sale da gioco perché le considerava un passatempo per pochi, un esempio di decadimento morale e tane della borghesia. Maduro invece le tollera, nella sua ricerca disperata di un po’ di ossigeno per l’economia venezuelana. Ma nell’albergo non c’è neanche l’ombra di un giocatore. Ragazze in uniforme aspettano dietro roulette e tavoli da poker. La musica salsa a tutto volume vuole dare l’illusione di divertimento nella sala quasi deserta. Nel ristorante, sedie e tavoli vuoti sono illuminati dalla luce che arriva dalle montagne.

Di sera la hall si anima. In cucina i cuochi arrotolano il sushi. Un gruppo di salsa attira qualche cliente con i pezzi di Juan Luis Guerra, ma i tavoli rimangono quasi tutti vuoti. Tra i pochi ospiti c’è Gerardo Bustamante, un signore che è venuto con i genitori per festeggiare il compleanno del padre. “Quest’albergo mostra il peggio del Venezuela: un’utopia che non esiste”, dice. “Come si fa a definirlo alla moda e bello? Se le cose andassero bene, sarebbe pieno di venezuelani e turisti”. Ai suoi occhi l’Humboldt rappresenta un paese che non c’è più, ed è il simbolo della corruzione e dell’impunità.

Mentre altri, in segno di protesta, si mantengono alla larga da questa stravaganza, Bustamante ordina un’altra bottiglia di vino. “Questo posto tra le montagne ti fa sentire in Svizzera, ma appena torni giù capisci che il Venezuela è caduto in rovina”, dice.

“La crescita è in calo, come la produzione e i consumi. L’inflazione ha raggiunto il 400 per cento”, osserva Oliveros. Diversi progetti edilizi nel quartiere Las Mercedes sono stati bloccati. Il destino dei negozi e dei ristoranti di lusso è incerto, come quello dell’Humboldt, dove perfino nei fine settimana è occupata solo una camera su dieci.

Verso mezzanotte i pochi ospiti che hanno cenato prendono la funicolare per tornare in città, lasciando camerieri e custodi senza niente da fare. Nella direzione opposta, una giovane coppia di sposi che sembra essersi materializzata dal nulla entra nell’albergo quasi deserto. Lo strascico del vestito è sporco di fango per la pioggia torrenziale. I due salgono in ascensore, verso la loro prima notte di nozze.◆ oa

Da sapere
Ondata di repressione

◆ Il 15 febbraio 2024 il ministro degli esteri del Venezuela, Yván Gil, ha ordinato la chiusura dell’ufficio dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani e ha dato ai suoi funzionari 72 ore per lasciare il paese. L’annuncio è arrivato pochi giorni dopo l’arresto all’aeroporto di Caracas di Rocío San Miguel, 57 anni, avvocata e attivista per i diritti umani ed esperta di questioni militari. L’accusa è di terrorismo, cospirazione e tradimento per aver cercato di organizzare un attentato contro il presidente Nicolás Maduro. Quest’anno in Venezuela dovrebbero tenersi le elezioni presidenziali. La corte suprema ha respinto il 26 gennaio la candidatura della leader dell’opposizione di centrodestra, María Corina Machado. Bbc


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Questo articolo è uscito sul numero 1551 di Internazionale, a pagina 50. Compra questo numero | Abbonati