Quando Eva Schachinger si sposò, a ventidue anni, presentò la richiesta per avere una casa popolare. Per sua fortuna viveva a Vienna, in Austria, una città con un piano di edilizia pubblica tra i migliori al mondo. Era il 1968. Schachinger era insegnante e suo marito, Klaus-Peter, lavorava come contabile nell’azienda municipale dei trasporti. Lei era cresciuta in un complesso di alloggi popolari nel centro della città. La nonna, che si prendeva cura di lei dalle sei del mattino alle sei di sera, viveva in uno dei cinque palazzi disposti intorno a un cortile. Eva giocava tutto il giorno con gli amici di quel cortile.

In quel periodo anche sua madre aveva fatto domanda per una casa popolare. La richiesta fu accolta nel 1971. Eva Schachinger in quel momento aveva una bambina piccola, e sua madre decise di aiutarla cedendole l’appartamento, che si trovava nel ventunesimo distretto, nella periferia nordest della città. Scherzando, ma fino a un certo punto, il suocero di Schachinger le disse che laggiù sarebbero stati i primi a essere cacciati dai russi. Tuttavia a lei e a Klaus-Peter la casa piaceva: non era grande, circa settanta metri quadrati, ma aveva due camere da letto, un salotto, una sala da pranzo, un bagno e un balcone. L’affitto era di settecento scellini (circa 55 euro). Schachinger cominciò a lavorare in una scuola del ventunesimo distretto, a quindici minuti a piedi dalla nuova casa.

Quando l’ho conosciuta, alla fine del 2022, indossava una giacca di jeans, una sciarpa di seta e piccoli orecchini pendenti. Aveva capelli ricci corti. Negli ultimi 44 anni, mentre continuava a insegnare inglese ai ragazzi tra i dieci e i tredici anni, il suo affitto è aumentato di quasi cinque volte, da 55 a 270 euro, ma il suo stipendio è cresciuto ancora di più, da 150 a 3.375 euro al mese. Le leggi di Vienna stabiliscono che l’affitto degli alloggi popolari può aumentare solo in base all’inflazione, e solo se l’inflazione supera il 5 per cento all’anno. Quando Schachinger è andata in pensione, nel 2007, l’affitto rappresentava appena l’8 per cento del suo reddito, e se si prendeva in considerazione anche lo stipendio del marito (quattromila euro al mese), la percentuale scendeva al 3,6 per cento del reddito familiare.

È questo l’obiettivo a cui puntavano le autorità di Vienna nel 1919, quando cominciarono a progettare i gemeindebauten, le case popolari che poi sono diventate famose in tutto il mondo. Alla vigilia della prima guerra mondiale, in città la situazione abitativa era tra le peggiori d’Europa, spiega Eve Blau nel libro The architecture of red Vienna (1999). Molte famiglie della classe operaia erano costrette a subaffittare i posti in cui vivevano o anche solo i letti (chi faceva i turni di notte dormiva sui materassi di chi lavorava di giorno) per poter pagare l’affitto. Ma dal 1923 al 1934, in un periodo in cui la città è passata alla storia come Vienna rossa, l’amministrazione guidata dal Partito socialdemocratico costruì 64mila nuovi appartamenti in quattrocento complessi, aumentando di circa il 10 per cento la disponibilità di alloggi della città. Circa duecentomila persone, un decimo della popolazione, si trasferirono in questi edifici, con affitti bloccati al 3,5 per cento del reddito medio di un operaio qualificato, abbastanza per coprire i costi di manutenzione e gestione. Gli esperti definiscono i gemeindebauten di Vienna esempi di “edilizia sociale”, per sottolineare il fatto che case popolari e altre abitazioni con limiti agli affitti creano un vantaggio sociale ampiamente condiviso: non ci vivono solo i poveri, ma anche famiglie della classe media. A Vienna l’80 per cento degli abitanti ha diritto a un alloggio popolare, e chi firma un contratto non teme che possa essere revocato, anche se diventa più ricco. Gli esperti del settore pensano che questo sistema renda i complessi popolari più vari a livello socioeconomico e migliori le condizioni di vita delle persone.

Nel 2015, prima di comprare un appartamento sul mercato privato, gli Schachinger guadagnavano circa ottantamila euro all’anno. Eva e Klaus-Peter pagavano rispettivamente il 26 e il 29 per cento di imposte sul reddito, ma solo il 4 per cento dei loro guadagni era destinato all’affitto: è più o meno quello che una famiglia statunitense spende in media per mangiare fuori e poco meno di quello che uno statunitense medio spende per l’intrattenimento. Anche se gli Schachinger firmassero oggi un nuovo contratto per il loro appartamento, il canone mensile sarebbe di circa 542 euro, cioè solo l’8 per cento del loro reddito. La generosa offerta di alloggi popolari a Vienna contribuisce a tenere bassi i costi per tutti: nel 2012 i viennesi che vivevano in case trovate sul mercato privato spendevano in media il 26 per cento del loro reddito netto per l’affitto e le bollette, poco più di chi vive in alloggi popolari (22 per cento). Negli Stati Uniti il 49 per cento delle persone in affitto – 21,6 milioni – versa ai proprietari di casa il 30 per cento del proprio reddito lordo, una percentuale che aumenta nelle città care (36 per cento a New York).

Una volta che entrano in casa, le persone hanno il diritto di restarci

Il piano adottato a Vienna può sembrare una fantasia socialista. Ma la cosa più sconvolgente è notare come l’edilizia sociale abbia trasformato la vita dei viennesi. Immaginate se le vostre spese per la casa fossero paragonabili a quelle degli Schachinger. Immaginate di doverci pensare quanto pensate alla scelta dei ristoranti o agli abbonamenti ai servizi di strea­ming. Immaginate cosa potreste fare con il resto dei vostri soldi se pagaste meno per l’affitto. Vienna invita a immaginare un mondo in cui comprare una casa non è l’unico modo per garantirsi un futuro, e anche come potrebbe cambiare la nostra vita di conseguenza.

Decenni scellerati

Scrivere della situazione abitativa negli Stati Uniti è deprimente. Sono diventata il tipo di persona che durante una festa se la prende con gli investitori che speculano sul mercato immobiliare e anche con le migliaia di investitori da quattro soldi – compresi alcuni miei amici – che usano i loro risparmi per comprare case in città in cui non hanno mai messo piede o appartamenti da affittare nei quartieri gentrificati. Ma è difficile discutere con la matematica. Comprare una casa vicino al lavoro rende di più che lavorare. Da quarant’anni negli Stati Uniti il valore del patrimonio netto cresce più dei redditi da lavoro, e un rapporto della società di consulenza McKinsey ha rivelato che la maggior parte di quel patrimonio – il 68 per cento – è immobiliare. Nel 2022 una casa su quattro è stata venduta a qualcuno che non voleva abitarci. Questi investitori sono incentivati a comprare soprattutto il tipo di case più richiesto da chi diventa proprietario per la prima volta: poco costose e che garantiscono i maggiori guadagni quando sono date in affitto.

Il mercato immobiliare è un mondo in cui i soldi crescono letteralmente sugli alberi. Negli ultimi dieci anni il tipico proprietario di una casa unifamiliare negli Stati Uniti ha beneficiato di una rivalutazione di quella casa di quasi duecentomila dollari. “Un altro termine per rivalutazione è inflazione”, scrivono Lisa Adkins, Melinda Cooper e Martijn Konings nel libro The asset economy (2020), “un aumento del prezzo di un bene senza un cambiamento nella natura del bene stesso o delle condizioni di produzione, che ne determinino la carenza o una maggiore domanda”. L’inflazione sta creando una distanza enorme tra chi ha una casa e chi non ce l’ha.

Questa situazione è il culmine di decenni di politiche pensate per incoraggiare l’acquisto di case. Nel 2022, preoccupata dalla gravità del problema, ho cominciato a cercare soluzioni fuori dagli Stati Uniti. La risposta poteva essere una politica basata sul controllo degli affitti, come a Berlino, in Germania? Dieci anni fa sembrava di sì, ma poi investitori e nuovi residenti hanno cominciato a riversarsi nella capitale tedesca, facendo crescere di cinque volte il valore dei terreni. Sono state introdotte norme per stabilizzare gli affitti, ma nonostante questo gli appartamenti sono diventati una fabbrica di soldi, perfino quelli che quindici anni fa nessuno voleva comprare. Molte persone che pagano affitti ragionevoli non possono cambiare casa, perché difficilmente riuscirebbero a trovare condizioni accettabili. Di recente le associazioni degli inquilini hanno proposto un “esproprio” per imporre a chi possiede più di tremila unità immobiliari di rivendere le sue proprietà al governo a prezzi inferiori a quelli di mercato. In un referendum del 2021, il 59 per cento dei berlinesi ha votato a favore della proposta, ma non è chiaro se sarà mai attuata. Un’altra possibilità potrebbe consistere nell’allentare i vincoli urbanistici, come fece Tokyo nel 2002. Quella politica senza dubbio ha aiutato. Nel 2014 c’erano più cantieri nella città giapponese che in tutta l’Inghilterra. Da allora i prezzi delle case si sono stabilizzati. Tokyo è generalmente celebrata come un modello dalle persone che negli Stati Uniti chiedono la costruzione di nuovi complessi abitativi. Sottolineano che Tokyo costruisce cinque volte gli alloggi pro capite della California. Ma in Giappone il mercato immobiliare è molto diverso da quello statunitense, soprattutto a causa del rischio sismico: le norme e le tecnologie di mitigazione adottate per contrastare la crisi climatica migliorano di continuo, perciò le strutture tendono a deprezzarsi nel giro di 35 anni. Spesso sulle case più vecchie non si fa una manutenzione adeguata perché è difficile aspettarsi di recuperare un investimento in caso di vendita. Sono concepite un po’ come un vestito usato o un’auto: chi le rivende ci perde.

L’Amalienbad, una piscina comunale con sauna costruita negli anni venti per le persone che non avevano il bagno in casa. Vienna, 10 maggio 2023 (Luca Locatelli, Institute)

Il modello di Auckland, in Nuova Zelanda, potrebbe sembrare più facile da applicare agli Stati Uniti. Nel 2016 la città, che ha uno dei mercati immobiliari più costosi del mondo, ha aumentato di circa il 300 per cento la possibilità di costruire alloggi su tre quarti dei terreni edificabili per incoraggiare la realizzazione di case multifamiliari e ridurre i prezzi. Nelle aree che hanno cambiato destinazione urbanistica, dal 2016 al 2021 il numero totale dei permessi edilizi concessi (un modo per calcolare le nuove costruzioni) è aumentato di almeno quattro volte. Come previsto, il valore relativo dei terreni sottoutilizzati è cresciuto, perché potevano ospitare più case, e il valore relativo delle unità immobiliari nelle aree densamente edificate è diminuito, mitigando i prezzi. Ma ci sono dei limiti a quello che si può fare cambiando la destinazione dei terreni. Spesso ad approfittare della maggiore densità abitativa sono gli immobiliaristi, che per le nuove unità chiedono un prezzo molto superiore ai costi. Inoltre, il modello non garantisce sicurezza agli affittuari e non crea necessariamente alloggi a prezzi contenuti, cioè quelli che servono di più.

Quasi tutti in affitto

Tutto questo mostra perché il caso di Vienna è diverso. Forse nessun’altra città occidentale ha fatto di più per proteggere i suoi abitanti dalla mercificazione della casa. Nella capitale austriaca il 43 per cento di tutti gli alloggi è fuori dal mercato, nel senso che il canone d’affitto riflette costi o tariffe stabiliti per legge; non è determinato da “quello che il mercato può tollerare” o da quello che una persona senza altre opzioni è disposta a pagare. Le autorità sovvenzionano alloggi a prezzi bassi per fasce di reddito diverse. Il reddito familiare lordo medio a Vienna è di 57.700 euro all’anno, ma chiunque guadagni meno di settantamila euro può chiedere un gemeindebau. E una volta che ci entra, ha il diritto di restarci. Le autorità non verificano più il suo salario. Due terzi degli appartamenti in affitto della città prevedono dei limiti al canone di locazione, e gli inquilini possono essere sfrattati solo per giusta causa.

Queste norme, unite a un’offerta adeguata, danno a chi vive in affitto un livello di stabilità paragonabile a quello dei proprietari statunitensi con un mutuo a tasso fisso. Di conseguenza l’80 per cento di tutte le famiglie di Vienna sceglie di vivere in affitto.

Un punto cruciale è che Vienna sovvenziona l’edilizia, mentre le città statunitensi tendono a sovvenzionare le persone, usando strumenti come i voucher per pagare gli affitti. Un modello punta all’offerta, l’altro alla domanda. La scelta di Vienna illustra una fondamentale realtà economica: un’offerta abbastanza ampia di case popolari garantisce un’alternativa di mercato che migliora le condizioni abitative di tutti.

Il Gleis21, un progetto di cohousing dove vivono cinquanta adulti e trenta bambini. Vienna, 7 maggio 2023 (Luca Locatelli, Institute)

Sussidi individuali

Un pomeriggio dell’autunno 2022 ho attraversato a piedi il centro di Vienna, passando vicino a palazzi con balconi decorati da merletti, balaustre e portici: appartamenti privati costruiti nell’ottocento. Questi edifici erano intervallati dai gemeindebauten costruiti negli anni venti e trenta, che spiccavano non solo per la loro architettura modernista ma anche per la scritta rossa sulle facciate: “Erbaut von der Gemeinde Wien in den Jahren 1925-1926 aus den Mitteln der Wohnbausteuer” (Costruito dal comune di Vienna negli anni 1925-1926 con i fondi delle tasse sugli immobili). Un colpo di genio politico, ho pensato mentre aspettavo il tram: spiegazione e pubblicità. Mezz’ora dopo ero nel ventunesimo distretto, il “territorio russo” in cui aveva vissuto Eva Schachinger. Il Wohnpartner, l’ente comunale che cerca d’incoraggiare il senso di comunità nelle gemeindebauten e contribuisce a risolvere i conflitti tra gli inquilini, aveva organizzato una giornata d’incontri nel suo vecchio palazzo, un complesso minimalista con le trombe degli ascensori arancioni.

Seguendo i segnali del Wohnpartner sono arrivata in un centro con le pareti di vetro e sono entrata. C’erano soprattutto donne con bambini piccoli e persone anziane, un angolo attrezzato per dipingere, uno in cui ci si scambiavano delle piante e un tavolo da ping pong. Le persone avevano portato oggetti di seconda mano da dare via e un ragazzo del Wohnpartner offriva assistenza tecnologica di cui, sorprendentemente, nessuno sembrava aver bisogno. C’erano anche una libreria piena di libri che si potevano prendere gratuitamente e un’area per bambini con tanti giocattoli di legno.

Mi sono seduto con Eva Schachinger nella cucina in comune, dove qualcuno aveva preparato un pentolone di zuppa di zucca. Da quando è andata in pensione, la donna collabora con Malyuun Badeed, la custode del palazzo, per realizzare una rivista semestrale distribuita nel complesso edilizio: oltre alle ultime notizie sulla comunità, ci sono anche ricette e cruciverba. Badeed, che ci ha raggiunti in cucina, indossava un hijab nero e delle perle, e agitava le mani mentre raccontava del suo viaggio con il figlio dalla Somalia all’Austria negli anni novanta. Nei suoi primi anni a Vienna vendeva i giornali per strada, ora ne realizza uno.

Schachinger mi ha detto che viene spesso nel quartiere per aiutare i ragazzi del posto. Lo fa insieme a Edith, una donna anziana che vive in un gemeindebau poco lontano. I vicini di Edith la aiutano a portare a casa la spesa, che per lei è troppo pesante. In cambio, lei fa da babysitter ai loro tre figli. Quando Eva le ha telefonato per gli auguri di Natale, Edith stava incartando quaranta regali per i tre bambini; li nascondeva in giro per casa in modo che non li trovassero prima dell’arrivo di Babbo Natale. “Il gemeindebau è un posto di aggregazione”, ripete di continuo Eva, anche tra generazioni diverse.

Il padre di Anyanwu se ne andò dall’Austria per via del razzismo e delle discriminazioni

Ho scoperto che il tempo medio di attesa per avere un appartamento in un gemeindebau è di circa due anni (in media ci sono circa dodicimila persone nella lista d’attesa, e ogni anno almeno diecimila ricevono un alloggio). Possono fare domanda i residenti di Vienna – chiunque abbia abitato allo stesso indirizzo per due anni, anche se non è cittadino austriaco – e le richieste sono valutate in base alla necessità. Florian Kogler, uno studente universitario di ventun anni, era in cima alla lista perché viveva in un appartamento di due stanze da letto con la madre, il nuovo marito della madre e due fratelli. Divideva una stanza con uno di loro, mentre i genitori dormivano in salotto. Aveva la priorità anche perché andava a vivere da solo per la prima volta. Gli è stata proposta un’abitazione dopo un mese dalla richiesta. “È un tempo insolitamente breve”, mi ha detto.

I richiedenti possono rifiutare fino a due appartamenti: se ne rifiutano un terzo devono presentare la domanda da capo. Kogler ha accettato la prima proposta, un monolocale luminoso di circa 35 metri quadrati affacciato su un campo giochi, nel dodicesimo distretto, abbastanza centrale. L’affitto è di 350 euro al mese. Il suo stipendio, lavorando part-time in un museo, è di circa mille euro. Chi ha bisogno di ulteriore assistenza per pagare l’affitto riceve altri sussidi. Gli studenti con meno di venticinque anni, come Kogler, possono aver diritto a duecento euro al mese.

Di tanto in tanto a Vienna si apre un dibattito sull’opportunità di costringere le famiglie e le persone ricche a rinunciare alle case popolari, cioè sull’idea che l’assegnazione di un appartamento debba essere condizionata alla verifica della situazione economica. Al centro di questi dibattiti c’è Peter Pilz, ex parlamentare del Partito verde. Pilz vive nel Goethehof, uno dei più grandi gemeindebau della città, vicino al Danubio. Quando era all’università si trasferì in un appartamento per vivere con la nonna, che ci abitava dall’inaugurazione del palazzo, nel 1932. Prima della morte della nonna, Pilz rilevò il suo contratto. Nel 1986 fu eletto al parlamento e cominciò a guadagnare più di ottomila euro al mese.

Qualcuno era deluso dal fatto che Pilz pagasse un affitto così basso. Nel 2012 il giornale conservatore Österreich scrisse che il politico pagava solo 66,18 euro al mese. Lui rispose che in realtà, compresi i costi condominiali, pagava quasi 250 euro. “Considerando che il reddito di Pilz è ben al di sopra del limite fissato per le case popolari, sembra proprio che siamo di fronte a una frode sociale”, disse il segretario generale del Partito della libertà (Fpö).

Willie può accedere a piscine, campi da tennis, palestre e opere d’arte

Pilz non faceva niente d’illegale. Una volta che ti hanno assegnato un appartamento in un gemeindebau, nessuno può obbligarti a lasciarlo. Ma alcuni si chiedono se sia morale permettere alle persone più ricche di restarci. I funzionari municipali responsabili degli alloggi sostengono che avere inquilini ricchi nei gemeindebauten contribuisce a prevenire i problemi che accompagnano la concentrazione della povertà, creando un ambiente più stabile e sano per tutti.

Questo non vuol dire che non ci siano problemi. Noomi Anyanwu, ventritré anni, che ha fondato l’organizzazione Black voices Austria, mi ha raccontato di essere cresciuta in un gemeindebau con una madre austriaca e un padre nigeriano. Quando aveva circa cinque anni, un ragazzo bianco del complesso poco più grande di lei rivolse a suo fratello un insulto razzista mentre tutti giocavano in cortile. Sentendo lo scambio, i genitori scesero in cortile. Ma il padre bianco del ragazzo non si scusò, anzi rincarò la dose ripetendo quello che aveva detto il figlio. Pochi anni dopo, ha raccontato Anyanwu, suo padre se n’è andato dall’Austria per via delle discriminazioni sul lavoro e della polizia.

Quindi sono rimasta stupita quando Anyanwu mi ha raccontato che la sua esperienza nella casa popolare è stata tutto sommato positiva. Il gemeindebau era il suo villaggio all’interno della città, ha detto. Dice che il 50 per cento dei suoi vicini erano immigrati, uno “specchio della società”, mi ha spiegato (a Vienna la percentuale di residenti nati all’estero è leggermente più alta che a New York). Una ragazza della sua età, Safiya, viveva in un appartamento dall’altra parte del corridoio e sarebbe diventata la sua migliore amica. Anche il padre di Safiya veniva dall’Africa – dalla Somalia – e anche lui se n’è andato per colpa del razzismo. Ma il costo contenuto del gemeindebau ha permesso alle madri delle ragazze di mantenere una certa stabilità.

Ezra Ozmen, figlia di immigrati turchi, è cresciuta a Sandleitenhof, un altro grande gemeindebau, che ha cortili degni di una villa e parti in pietra. Da adulta si è trasferita in un monolocale, un altro gemeindebau. Ozmen dice che l’affitto sostenibile le ha garantito la stabilità per frequentare un dottorato in belle arti e portare avanti la sua carriera di rapper. Guadagna tra i mille e i duemila euro al mese esibendosi e organizzando eventi culturali. “Ho un’auto”, mi ha detto. “Mangio fuori. Prendo un caffè in un bar ogni giorno. Non ho molti soldi, ma vivo da ricca”.

Città nella città

Non ero l’unica statunitense arrivata a Vienna per cercare possibili soluzioni alla crisi abitativa negli Stati Uniti. Ero con una delegazione di New York che doveva studiare il sistema viennese: cinquanta tra politici, ricercatori e attivisti invitati da Housing justice for all, un’organizzazione che difende inquilini e senzatetto in tutto lo stato, e da Action lab, una rete di movimenti sociali. Un pomeriggio ho partecipato con loro alla visita al Karl-Marx-Hof, uno dei più grandi complessi di case popolari del mondo.

Dalla sua inaugurazione, nel 1930, il Karl-Marx-Hof è stato una sorta di test di Rorschach: a seconda della prospettiva politica, una mostruosità socialista autoritaria o una pionieristica roccaforte comunitaria. Uscendo dalla stazione della metropolitana, l’edificio svettava davanti ai miei occhi, alto sette piani e lungo più di un chilometro. Nell’insieme fa pensare a una cittadella. Il nucleo centrale è color crema, ma sono i suoi elementi di arenaria rossa ad attirare lo sguardo: balconi rossi e torri rosse sormontate da aste su cui possono sventolare enormi striscioni visibili a chilometri di distanza. Le sei enormi arcate d’ingresso, anche quelle rosse, fanno somigliare il complesso a un acquedotto romano.

Ossessionati dalla proprietà

Julia Anna Schranz, dottoranda all’università di Vienna e nostra guida, indossava un paio di Converse, jeans e un lungo cappotto rosso di lana. Ci ha indicato quattro statue di ceramica sopra le arcate, spiegando che rappresentano la ragione, la libertà, il benessere e l’attività fisica. Queste opere, commissionate per sostenere l’occupazione nel periodo tra le due guerre, erano considerate anche un investimento nella bellezza dei gemeindebauten e un tributo ai suoi inquilini.

L’appartamento di Peter Pilz, ex parlamentare austriaco, nel complesso di Goethehof. Vienna, 9 maggio 2023 (Luca Locatelli, Institute)

Schranz ha aperto il pesante cancello di ferro di una delle arcate e siamo entrati in un cortile verde, grande quasi come due campi da calcio. Il bellissimo esterno contrastava nettamente con l’interno dell’edificio, fatto di pareti di un bianco sporco che scintillava al sole. C’era un giardino di rose. I bambini – neri e bianchi – correvano e gridavano nel parco giochi dell’asilo.

Quando fu inaugurato, il complesso ospitava cinquemila persone in 1.400 appartamenti. C’era una grande richiesta. “E due lavanderie centrali, due bagni in comune con vasche e docce, una clinica odontoiatrica, una clinica ostetrica, un ufficio per l’assistenza sanitaria, una biblioteca, un ostello della gioventù, un ufficio postale, una farmacia e gli uffici e lo spazio espositivo di Best, il centro di consulenza del comune per l’arredamento e l’interior design”, scrive Blau nel suo libro.

Ora a Karl-Marx-Hof vivono meno di tremila persone, non perché sia meno apprezzato ma perché gli standard abitativi sono migliorati e Vienna riesce ad assegnare più spazio agli inquilini. Le autorità municipali pensano che una famiglia di quattro persone abbia bisogno di circa cento metri quadrati, perciò ha ristrutturato alcuni appartamenti per ingrandirli. Ho visto una bambola dondolare da un balcone su cui c’erano vasi di piante e statuine in pietra. Un anziano ci ha salutato.

Al negozio del museo ho comprato una presina rossa lavorata all’uncinetto dalle donne di una cooperativa locale: un disegno dei tempi della Vienna rossa raffigurante i “tre mali” che affliggevano l’Europa (nazismo, comunismo, monarchia), rappresentati da frecce bianche. Anche alcuni attivisti e politici della delegazione ne hanno comprata una. Quando lo studente universitario che lavorava nel negozio ci ha detto che erano finite, un politico gli ha suggerito di vendere quelle esposte in vetrina.

“Non ci siamo abituati”, ha commentato lo studente aprendo la vetrina, apparentemente riferendosi ai modelli di consumo americani. Gli statunitensi hanno bisogno di possedere le cose.

Europa
Abitazioni più costose
Andamento del valore delle case in alcuni paesi europei, percentuale (Fonte: Ocse)

Vienna è riuscita a ridurre quel bisogno. Lo ha fatto facendo diminuire il prezzo dei terreni e controllando i canoni di affitto. In generale a beneficiare di queste politiche sull’uso della terra non sono tanto i gemeindebauten (si è smesso di costruire tra il 2004 e il 2015 e ora si realizzano solo cinquecento unità immobiliari all’anno), ma aziende private del settore dell’edilizia sociale, le cui origini precedono l’epica di Vienna rossa e che da quarant’anni costruiscono dalle tremila alle cinquemila unità immobiliari all’anno.

Oggi gli appartamenti di questo tipo rappresentano la metà degli alloggi sociali di Vienna. Le aziende sono tenute a far pagare canoni che riflettono le spese sostenute per la costruzione. Gli investitori – banche, fondi assicurativi – possono comprare quote di queste aziende, in genere per contribuire a finanziare la fase iniziale, e in cambio ricevono un piccolo tasso d’interesse annuale. Qualunque profitto in più dev’essere reinvestito in nuovi progetti di edilizia sociale. “In questo modo si crea un flusso di finanziamenti a rotazione per questo tipo di alloggi”, ha detto Justin Kadi, professore di pianificazione e politica della casa all’università di Cambridge, nel Regno Unito. Oggi la spesa principale del comune di Vienna per l’edilizia popolare consiste nel fornire finanziamenti a basso costo per la costruzione, ed è una spesa che l’amministrazione recupera per intero.

In un venerdì nuvoloso, Wilhelm Andel, un uomo di 84 anni alto, in jeans e giubbotto di pelle, mi è venuto a prendere alla fermata del tram di Alt-Erlaa per mostrarmi il posto in cui vive da quarant’anni. Alt-Erlaa è uno dei più grandi complessi con appartamenti realizzati dalle aziende private per l’edilizia sociale di Vienna, con 3.181 unità immobiliari in diciotto torri futuristiche, alte da 23 a 27 piani e costruite tra il 1973 e il 1986. Avvicinandomi, mi sono accorta che le torri sono invecchiate straordinariamente bene, forse perché il verde è senza tempo, e la vegetazione sembrava cadere a cascata dai balconi. Willie aveva scelto un’abitazione al sesto piano. L’affitto per un appartamento di 110 metri quadrati è di 824 euro, una cifra impossibile in una qualunque delle cinquanta più grandi aree metropolitane statunitensi.

Vivendo ad Alt-Erlaa, Willie può accedere a sette piscine sul tetto e ad altre sette al coperto, campi da tennis, palestre e opere d’arte. Quando il resto della delegazione ci ha raggiunti, l’uomo ci ha portati in uno dei suoi posti preferiti: due murales nell’atrio del secondo edificio sul ruolo dei mezzi d’informazione e del lavoro nella società. Sono stati realizzati dall’artista austriaco Alfred Hrdlicka. “Mi ricordano Orozco”, ha detto Dorca Reynoso, una dipendente della Verizon, alludendo ai murales politici del pittore messicano José Clemente Orozco. Nel 2014 l’affitto di Reynoso a Manhattan è raddoppiato, arrivando a 1.250 dollari. Quando nel 2022 il proprietario le ha chiesto un nuovo aumento del 50 per cento, lei non è riuscita a pagare e ha lanciato una campagna contro il proprietario. “Sono così belli”, ha detto osservando i dipinti.

La bella vita

La spirale che fa crescere il prezzo degli alloggi, arricchendo i proprietari e impoverendo chi non può comprarne uno, ha creato una situazione in cui solo una proposta radicale può risolvere il problema. Negli Stati Uniti la casa è diventata un mezzo per costruire ricchezza, e costruire ricchezza è inconciliabile con la sostenibilità. La crisi abitativa ne è la prova. Alex F. Schwartz, docente di studi urbanistici alla New school university di New York, sostiene che, nel 2017, quindi prima della pandemia, circa 113 milioni di statunitensi – il 35 per cento della popolazione – viveva in un alloggio inadeguato, aveva costi troppo alti o addirittura non riusciva a trovare una casa.

Negli Stati Uniti la proposta di un piano federale di edilizia sociale può sembrare irrealizzabile. Ma bisogna sapere che il governo statunitense interviene pesantemente sul mercato degli alloggi. È un sistema a due livelli, sostiene la storica Gail Radford: ci sono aiuti generosi per i proprietari di casa benestanti e aiuti deliberatamente insufficienti per le famiglie con i redditi più bassi. Nel 2017 gli Stati Uniti hanno speso 155 miliardi di dollari per i proprietari di casa e per chi investe in alloggi da affittare e obbligazioni legate ai mutui, più del triplo dei cinquanta miliardi stanziati per gli edifici a prezzi sostenibili. Questi cinquanta miliardi di dollari non sono pochi. Di fatto, in molte città statunitensi la spesa pubblica pro capite per alloggi e sussidi allo sviluppo delle comunità è più alta che a Vienna. Ma sembra chiaro che questi soldi sono spesi male: le collaborazioni tra pubblico e privato non funzionano, come nel caso dei crediti d’imposta per alloggi destinati ai redditi bassi; i voucher per aiutare le persone in difficoltà creano storture; si sovvenzionano i proprietari, cioè chi ha meno bisogno.

La spesa iniziale del comune di Vienna per i gemeindebauten fu molto alta, ma oggi il sistema si mantiene da solo. Basta l’1 per cento del salario degli abitanti della città per finanziarlo. Gli alloggi sociali spingono in basso gli affitti sul mercato privato fino al 5 per cento. I voucher possono sembrare più economici a breve termine, ma sovvenzionare direttamente costruzioni pubbliche ben regolamentate e basate su profitti limitati è l’unico modo per ridurre la speculazione e proteggersi dai prezzi delle case in continuo aumento. Nel 2020 New York e la California hanno speso rispettivamente 377 e 248 dollari pro capite per complessi abitativi, mentre Vienna ne ha spesi solo 124, e metà della spesa della città austriaca è in finanziamenti a basso costo che saranno rimborsati e poi erogati di nuovo.

Per gli statunitensi la spesa per la casa è stata un fardello straordinario per così tanto tempo che è difficile perfino immaginare cosa significherebbe vederlo scomparire dai nostri pensieri. Quando ho parlato con Peter Pilz, il politico che ha rilevato l’appartamento della nonna nel Goethehof, gli ho chiesto cos’ha fatto con tutti i soldi che ha risparmiato grazie all’affitto contenuto. “Non ho investito neppure un centesimo in borsa”, mi ha detto. “Sarebbe un’enorme perdita di tempo stare seduto davanti al computer e studiare come va la borsa. Preferisco usare il mio tempo per scrivere su cose che considero interessanti e divertirmi”.

Quando abbiamo parlato Pilz era in Toscana e aveva passato la giornata in bici. Si è fermato a Pienza per ammirare la piccola cattedrale e assaggiare il famoso pecorino locale. Poi ha raggiunto Montalcino, dove ha sorseggiato del Brunello, e infine è tornato a Bagno Vignoni per farsi una nuotata. “Questa è la mia dura vita”, mi ha detto. “Se la gente non deve lottare tutto il giorno per sopravvivere – se puoi vivere in condizioni di sicurezza – allora puoi usare la tua energia per cose molto più importanti”. ◆ gc

Da sapere
Una nuova bolla?

◆ Dopo due anni in cui negli Stati Uniti sono cresciuti sia le vendite delle case sia i prezzi, nell’estate del 2022 il mercato immobiliare ha cominciato a rallentare ed è entrato in una fase di stallo, soprattutto a causa dell’aumento dei tassi d’interesse sui mutui. A ottobre del 2022 il tasso fisso sui mutui a trent’anni ha toccato il massimo degli ultimi vent’anni (7 per cento) ed è rimasto intorno al 6 per cento nel 2023. La riduzione della domanda ha fatto scendere i prezzi delle case, e molti commentatori ed esperti si chiedono se il mercato immobiliare statunitense rischi di andare verso un crollo simile a quello che nel 2008 ha causato la recessione globale. In realtà ci sono alcune importanti differenze tra i due casi, scrive Forbes. “Oggi le regole che stabiliscono chi può ottenere un prestito dalle banche sono molto più rigide, proprio grazie alle leggi approvate dal congresso dopo la crisi del 2008. Di conseguenza, ci sono meno probabilità che chi ha ottenuto un mutuo non riesca a ripagarlo”. Inoltre, oggi la maggior parte delle persone ha scelto il tasso fisso. Quindi, anche se i tassi sono raddoppiati, gli attuali proprietari di casa non vedono cambiamenti né nelle rate mensili né nei tassi d’interesse.


Francesca Mari è una giornalista statunitense che si occupa in particolare di crisi abitativa e disuguaglianze. Ha scritto articoli per il New York Times Magazine, il New Yorker e l’Atlantic.

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Questo articolo è uscito sul numero 1519 di Internazionale, a pagina 40. Compra questo numero | Abbonati