Le immagini hanno fatto il giro del mondo: a Schlüttsiel, nel nord della Germania, centinaia di agricoltori occupano il molo su cui deve attraccare il traghetto con a bordo Robert Habeck, ministro dell’economia e vicecancelliere, di ritorno dall’isola di Hallig Hooge. La situazione si fa critica quando una trentina di manifestanti prova a prendere d’assalto il traghetto: la polizia li trattiene a fatica. Habeck propone un incontro, ma i manifestanti rifiutano. Il ministro è costretto a tornare sull’isola, raggiungendo la terraferma solo a tarda notte.

L’incidente è il triste apice delle proteste degli agricoltori tedeschi che per giorni sono scesi in piazza contro misure che il governo – una coalizione tra Partito socialdemocratico (Spd), Partito liberaldemocratico (Fdp) e Verdi – nel frattempo ha in parte ritirato: i trattori restano esenti dalla tassa sugli autoveicoli, mentre i tagli ai sussidi per l’acquisto del carburante agricolo saranno introdotti gradualmente. Dall’8 gennaio si sono susseguiti blocchi in tutto il paese: con i loro trattori, gli agricoltori hanno paralizzato strade, villaggi e città. E, il 15 gennaio, tutti a Berlino per il gran finale di questa settimana di proteste.

Se il governo è in difficoltà la colpa è solo sua. Colto in fallo dalla corte costituzionale mentre cercava di aggirare le regole sul pareggio di bilancio, si è ritrovato a corto di denaro al momento sbagliato: nei sondaggi la coalizione è ai minimi storici e l’inflazione si fa ancora sentire. Oltretutto, il governo ha deciso di cominciare a tagliare proprio dal settore agricolo: un errore fatale. Avrebbe potuto modificare il contributo forfettario per i pendolari, per esempio, oppure il regime fiscale delle auto aziendali. O smettere di tassare il gasolio meno della benzina. Dopotutto l’imposta ridotta sul gasolio non riguarda solo i mezzi agricoli, ma anche camion, corrieri, artigiani e circa 14 milioni di automobilisti con motori diesel. Il fatto che i primi tagli abbiano colpito gli agricoltori dimostra che la politica preferisce vedersela con il malcontento dei contadini piuttosto che con quello degli automobilisti e aumentare i prezzi dei generi alimentari piuttosto che quelli del carburante. Al momento non sembra una scommessa vincente, visto che gli agricoltori sono furiosi. Secondo la federazione che li rappresenta è a rischio la loro sopravvivenza. Sarà vero?

Un sistema da rivedere

La realtà è complessa. Gli agricoltori non sono una categoria omogenea. Ci sono grandi aziende che riescono a guadagnare sempre di più, ma anche molte di piccole dimensioni che se la passano piuttosto male. Aumentano costi e burocrazia e la scomparsa di un numero impressionante di aziende agricole sembra suggerire che per alcuni è impossibile far fronte a tagli apparentemente irrisori. Gli agricoltori se n’erano stati buoni anche se la carica di ministro dell’agricoltura era andata a un esponente dei Verdi, partito tradizionalmente malvisto da molti di loro.

Ora il governo ha svegliato il gigante dormiente. Ma è meglio non mettersi contro gli agricoltori: oltre a godere di ampie simpatie da parte della popolazione, hanno alle spalle una federazione piuttosto potente e molti alleati – l’Unione Cdu/Csu, i Liberi elettori della Baviera e l’estrema destra di Alternative für Deutschland (AfD).

Questa non è la prima volta che gli agricoltori protestano: alla fine del 2019 migliaia di trattori avevano assediato la capitale per contestare le norme più severe in materia di protezione dell’ambiente e degli insetti. Per anni, gli agricoltori sono scesi in piazza contro il regolamento europeo sui fertilizzanti. Discorsi e forme di lotta, però, erano sempre rimasti all’interno di una cornice democratica, senza registrate infiltrazioni di altri gruppi.

Il fatto che la destra metta il cappello sulle proteste non è una buona notizia per gli agricoltori: la situazione gli sta sfuggendo di mano e i toni accesi, i simboli e gli striscioni stanno distogliendo l’attenzione dell’opinione pubblica dalle rivendicazioni della protesta. C’è chi non se la sente più di manifestare perché non vuole scendere in piazza con gente che insegue fantasie eversive. “Anche noi siamo contrari alla cancellazione, senza compensazioni, delle agevolazioni sul gasolio agricolo”, spiega uno di loro. Ma bisogna riorganizzare il sistema di sovvenzioni in modo che renda veramente conveniente l’agricoltura sostenibile e che a beneficiarne siano i coltivatori. Per esempio i fondi per l’agroforestazione o per l’incremento dell’humus nel terreno, di vitale importanza per la tutela del clima, sono insufficienti. Insomma il dibattito sul gasolio agricolo non fa altro che distrarre l’attenzione dalle pessime politiche agricole degli ultimi decenni.

Il comitato “Wir haben es satt” (Siamo stufi) è d’accordo. Dal 2011, insieme a 35mila coltivatori, si batte per una transizione agricola e alimentare che sia anche socialmente equa. Il comitato è preoccupato dalla presenza nelle proteste di gruppi di estrema destra, perciò scenderà in piazza il 20 gennaio. “Le nostre rivendicazioni vanno ben al di là delle questioni relative al gasolio agricolo e alla tassa sugli autoveicoli”, afferma la portavoce. Per ridurre la dipendenza dalle sovvenzioni, oltre a un aumento dei prezzi, servono incentivi che mettano al centro l’ambiente, il clima e la protezione degli animali.

C’è anche il fatto che molti agricoltori soffrono per come vengono rappresentati, sentendosi ridotti a capri espiatori per i problemi ambientali e schiacciati da leggi e regolamenti. Insomma, l’annuncio del taglio alle sovvenzioni è semplicemente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Perché una cosa è certa: da un punto di vista macroeconomico, per molti agricoltori il problema non è certo il modesto aumento dei costi del gasolio. Ma sono le grandi aziende, la concorrenza estera a basso costo, le politiche europee che basano le sovvenzioni sull’estensione dei terreni e la tendenza, tra i consumatori tedeschi, a spendere poco.

I generi alimentari, infatti, in Germania hanno prezzi piuttosto bassi: i tedeschi gli riservano l’11,9 per cento del loro reddito, sotto alla media europea. È un sistema che andrebbe radicalmente riformato, invece ci si limita a intervenire sui sintomi. La vittoria per gli agricoltori non sarebbe il ritiro delle misure annunciate, ma fare in modo che le proteste diventino un’occasione per correggere le storture del sistema agricolo. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati