Un giorno, quando avevo quindici anni, ero a tavola con la mia famiglia e all’improvviso sentii un colpo alla testa. Fu come se qualcuno mi avesse picchiato sulla tempia con un bastone e per il dolore mi cadde la forchetta. Poi arrivò un secondo colpo, e un altro ancora. Ricordo di aver supplicato mia sorella di smetterla di piagnucolare rumorosamente e di essere andata a nascondermi sotto un piumone fino a quando il dolore non passò. Quella fu la mia prima emicrania.

Vent’anni dopo la mia tecnica per superare gli attacchi è rimasta la stessa, a parte il fatto che ora a piagnucolare è mia figlia. Le terapie per l’emicrania con me non funzionano. Ed è così per molte altre persone.

Nonostante sia uno dei disturbi neurologici più comuni e colpisca circa un miliardo di persone in tutto il mondo, sappiamo ben poco sulle sue cause, su come evitarla e curarla. In parte è dovuto al fatto che è un disturbo complesso. Le emicranie assumono forme diverse, possono essere imprevedibili e colpiscono le donne molto più degli uomini. Le ricerche in questo campo sono sempre state ignorate e derise, e non hanno mai ricevuto finanziamenti a sufficienza.

Ma alcuni scienziati ostinati hanno indagato per decenni e hanno fatto qualche progresso, scoprendo un meccanismo del cervello che scatena le emicranie. Grazie a queste conoscenze hanno sviluppato dei farmaci non solo per alleviarle, ma anche per prevenirle. Finalmente la scienza dell’emicrania sta vivendo il suo momento d’oro.

A chi è abbastanza fortunato da non avere familiarità con il problema, può sembrare inverosimile: una persona sta benissimo e un minuto dopo, improvvisamente, fa fatica a parlare o a vedere. I sintomi dell’emicrania sono vari e possono durare da poche ore a diversi giorni. “Parliamo di emicrania come se fosse un disturbo unico, ma in realtà ha molte forme diverse”, afferma Debbie Hay dell’università di Otago, in Nuova Zelanda. Tante persone hanno mal di testa, spesso dolorosissimi. L’emicrania, però, è molto di più. “Si sente spesso dire che è solo un mal di testa, ma è un po’ seccante perché non è affatto così: è un disturbo del cervello”, afferma Parisa Gazerani dell’università di Aalborg in Danimarca. “Il mal di testa è solo uno dei modi in cui si manifesta”.

In tre fasi

Gli attacchi di emicrania possono cominciare con la cosiddetta fase premonitrice, o prodromo, che porta con sé una serie di sintomi come cambiamenti di umore, rigidità del collo e sbadigli. Il mio prodromo è una vaga sensazione che stia per succedere qualcosa di brutto. Il prodromo di solito è seguito dall’attacco, in genere associato a dolore. Questo può essere debilitante e a volte è preceduto da un’aura. I sintomi dell’aura – una serie di disturbi sensoriali che possono coinvolgere la vista, la parola o i movimenti – variano da lievi a insopportabili, e possono verificarsi indipendentemente dal mal di testa. La cefalea resta comunque l’aspetto più estenuante e può durare minuti, ore o giorni, a seconda dell’attacco e dell’efficacia del trattamento. Infine si prova qualcosa di simile ai “postumi di una sbornia”, la fase post-dromica o remissione, un periodo che può durare giorni e in cui alcuni continuano a sentirsi stanchi o deboli.

Gli attacchi di emicrania possono cominciare dalla fase premonitrice, con una serie di sintomi come cambiamenti di umore e sbadigli

L’emicrania è il terzo disturbo più diffuso al mondo e la terza causa di disabilità. Si ritiene che ogni anno il suo costo indiretto, dovuto alle assenze dal lavoro e alla ridotta produttività, sia di circa 19,3 miliardi di dollari negli Stati Uniti, senza tener conto del costo dei farmaci.

Nonostante tutto, nel 2007 agli studi sul mal di testa fu destinato meno dello 0,05 per cento del budget dei National institutes of health, l’agenzia governativa che finanzia la ricerca biomedica negli Stati Uniti. Per malattie croniche comuni come l’asma e il diabete furono stanziati in media 153,90 dollari a paziente, contro appena 0,36 dollari per l’emicrania. Anche a livello clinico questi malati tendono a essere poco considerati. Innanzitutto, viene diagnosticato solo il 40 per cento dei casi. Quando c’è la diagnosi, secondo un recente sondaggio dell’ente benefico britannico The migraine trust, una volta su quattro arriva dopo più di due anni di disturbi. Alla maggior parte degli intervistati non era mai stato consigliato di rivolgersi a uno specialista. Molti avevano avuto difficoltà anche solo a ottenere una prescrizione per i farmaci.

Una volta, a un congresso, ho sentito uno specialista definire il dolore causato dall’emicrania “psicologico”. “Non credo che sia l’unico”, afferma Hay. “I neurologi del mio dipartimento combattono da tempo contro questa percezione”.

Alcuni pregiudizi possono essere attribuiti al fatto che il dolore è un’esperienza soggettiva e difficile da spiegare, tanto più che l’emicrania si presenta con sintomi molto diversi. Inoltre è stata spesso sottovalutata perché considerata un’afflizione legata all’isteria femminile, dice Peter Goadsby del King’s college di Londra. “Il picco di prevalenza è intorno ai quarant’anni. In percentuale le donne che ne soffrono sono il triplo rispetto agli uomini e i sintomi si manifestano vicino al periodo delle mestruazioni”, afferma Goad­sby. “È l’apoteosi dei pregiudizi”.

Infine l’emicrania non causa i danni gravi al cervello che si vedono in malattie degenerative come l’alzheimer e il parkinson o in un ictus, condizioni che influiscono sull’aspettativa di vita, e quindi comprensibilmente attirano più finanziamenti. Lars Edvinsson dell’università di Lund in Svezia lo ha sperimentato in prima persona. Negli anni ottanta e novanta non riusciva a ottenere finanziamenti per le sue ricerche sull’emicrania. Alla fine ha usato quelli che aveva ricevuto per l’ictus, confessa. Studiare l’emicrania era diventato un progetto laterale, ma lui ha perseverato e ottenuto dei risultati. Nel 2021 ha vinto insieme ad altri tre ricercatori (tra cui Goadsby) il Brain prize, un prestigioso premio di dieci milioni di corone danesi (1,34 milioni di euro) per il lavoro pionieristico nelle neuroscienze. La scoperta rivoluzionaria che gli ha garantito la vittoria è che i neuroni e i vasi sanguigni svolgono un ruolo fondamentale nell’emicrania.

L’ipotesi che la dilatazione dei vasi sanguigni causi l’emicrania si basava originariamente sul fatto che chi ne soffre spesso si lamenta di mal di testa lancinanti, spiega Gazerani. Supportava quest’idea uno studio in cui ad alcuni volontari erano stati iniettati dei farmaci per dilatare i vasi sanguigni, cosa che tende a causare il mal di testa e può scatenare l’emicrania. E il successo dei farmaci triptani per il trattamento dell’emicrania la confermava. Questi medicinali, introdotti negli anni novanta, erano stati i primi a essere sviluppati specificamente per l’emicrania e sembravano funzionare proprio perché restringono i vasi sanguigni.

Ma la teoria della dilatazione aveva già cominciato a mostrare delle crepe molti anni prima, con l’arrivo di strumenti per misurare più efficacemente il flusso del sangue nel cervello. I neuroscienziati avevano osservato che le persone che soffrivano di emicrania non avevano i vasi più dilatati. E se c’era, la dilatazione non sembrava l’origine del mal di testa, perché secondo alcuni studi cominciava più tardi e permaneva dopo la scomparsa del dolore.

Quarant’anni fa fu scoperta una sostanza chimica chiamata Cgrp (peptide correlato al gene della calcitonina) che sembrava influire sul funzionamento dei neuroni del sistema nervoso e del cervello, e poteva anche dilatare i vasi sanguigni. Più o meno nello stesso periodo Michael Arthur Moskowitz della Harvard medical school (un altro dei quattro vincitori del Brain prize 2021) attribuiva al nervo trigemino – che collega il cervello al viso – e ai vasi sanguigni a esso associati un ruolo chiave nel dolore causato dall’emicrania. Nel 1988 Edvinsson cominciò a collaborare con Goadsby per conoscere meglio il Cgrp. Verso la metà degli anni novanta, scoprirono che veniva rilasciato dal nervo trigemino durante gli attacchi di emicrania, individuando così la sostanza chimica cerebrale che poteva scatenare gli attacchi.

Rankin, trunk

Il quarto vincitore del Brain prize 2021, Jes Olesen dell’università di Copenaghen, in Danimarca, faceva parte del team che ha confermato la loro ipotesi. Gli scienziati hanno dimostrato che somministrando Cgrp a persone inclini all’emicrania si causa un attacco e che il rilascio naturale di questa sostanza può essere evitato attraverso il sumatriptan, il triptano più comunemente prescritto. Alla fine il gruppo di ricercatori ha scoperto un possibile meccanismo dell’emicrania e poi anche un modo per curarla alternativo all’unico tipo di farmaci disponibile.

Ce n’era un disperato bisogno, perché anche i triptani hanno i loro problemi. Dal momento che contribuiscono a restringere i vasi sanguigni e a limitare il rilascio di Cgrp, non si possono assumere dopo un ictus. Inoltre danno effetti collaterali come nausea, affaticamento e irrigidimento del collo, della mascella e del torace. Senza contare che non funzionano per tutti: gli studi dimostrano che i triptani sono efficaci per bloccare il dolore entro due ore nel 42-76 per cento dei casi, e che agiscono solo sul dolore e non sull’aura.

Individuato il Cgrp come obiettivo di possibili trattamenti, la ricerca ha sviluppato nuovi tipi di farmaci per l’emicrania che bloccano l’azione di quel peptide ma, a differenza dei triptani, non restringono i vasi sanguigni, quindi possono essere assunti da un numero maggiore di persone. Per esempio, ci sono gli anticorpi monoclonali, che vengono iniettati a intervalli di pochi mesi per aiutare a prevenire l’emicrania. Uno di questi farmaci si chiama Erenumab: in uno studio clinico ha dimostrato di poter dimezzare i giorni di emicrania nei volontari, e nel 2018 ha ricevuto l’approvazione dalla Food and drug administration (Fda), l’ente statunitense che si occupa della regolamentazione dei medicinali. L’Erenumab è stato il primo nuovo farmaco per l’emicrania immesso in commercio dagli anni novanta. Ne sono seguiti altri, mentre alcuni sono ancora in fase di valutazione.

“Per la prima volta possiamo bloccare l’emicrania nella sua fase acuta o prevenirla intervenendo sugli stessi meccanismi”, afferma Hay. “È sempre sembrata una cosa impossibile. Questo suggerisce che stiamo prendendo di mira una parte fondamentale nella progressione dell’emicrania”.

Le mie aure di solito cominciano con dei lampi di luce. Una mia amica vede luci zigzaganti, altre persone sentono dei formicolii

Goadsby e colleghi hanno anche progettato nuovi farmaci chiamati gepanti, che non devono essere iniettati. Due tipi sono stati approvati dall’Fda per il trattamento dell’emicrania acuta ed è provato che uno potrebbe essere utile anche per prevenire gli attacchi.

Un disturbo neurologico

La scoperta dei meccanismi legati al Cgrp e lo sviluppo di nuovi medicinali sono serviti anche a mettere in evidenza che l’emicrania è un disturbo neurologico vero e proprio. “Oggi abbiamo meccanismi e farmaci specifici, e questo fa la differenza”, afferma Edvinsson. “Non si può discutere con la biologia”, conferma Goadsby.

Nonostante queste scoperte, siamo ancora lontani dal capire esattamente cosa provoca un attacco o, in altre parole, cosa irrita il nervo trigemino. L’aura che molte persone sperimentano offre alcuni indizi dal punto di vista del dolore. Alcuni studi effettuati usando le tecniche di visualizzazione del cervello in azione hanno dimostrato che, durante un’aura, si verifica una serie di cambiamenti nell’attività cerebrale, a partire dal lobo occipitale, nella parte posteriore della testa. I neuroni si attivano e si disattivano, e lo schema si diffonde in tutto il cervello. Questo ci aiuta a spiegare alcuni dei sintomi più comuni dell’aura. I lampi di luce potrebbero essere causati dall’accensione dei neuroni nella corteccia visiva, mentre è probabile che si verifichino punti ciechi quando i nervi si disattivano, spiega Goadsby.

Oggi la ricerca suggerisce che questo tipo di attività finisca per irritare i neuroni sensibili al dolore nelle membrane che circondano il cervello, o faccia sì che il nervo trigemino rilasci il Cgrp.

Goadsby, però, pensa che l’aura e il dolore siano fenomeni separati, innescati da qualcosa che avviene durante il prodromo: “L’aura non è l’origine del dolore. C’è qualcos’altro che provoca entrambi”.

Ormoni e geni

Rimangono altri misteri da risolvere. Per esempio, perché l’emicrania colpisce di più le donne. Le ragazze che ne soffrono tendono ad avere la prima emicrania intorno alla pubertà. L’incidenza aumenta in età adulta, per poi diminuire dopo la menopausa. Per alcune donne le emicranie scompaiono durante la gravidanza o diventano più frequenti nella perimenopausa, il periodo che precede la menopausa.

Tutto questo fa pensare agli ormoni. “Abbiamo scoperto che i neuroni del trigemino contengono recettori per l’estrogeno e l’ossitocina”, afferma Edvinsson. Quindi gli ormoni potrebbero influire sulla percezione del dolore emicranico. È noto che i livelli di entrambi gli ormoni variano con il ciclo mestruale, mentre sono più stabili negli uomini.

All’università di Leiden, nei Paesi Bassi, Gisela Terwindt fa parte di un’équipe che cerca d’individuare questo collegamento. Ha lanciato uno studio che prende in esame i livelli di diversi ormoni sessuali nei campioni di sangue di volontarie che soffrono di emicrania, per vedere se corrispondono ai tempi e ai sintomi degli attacchi. I ricercatori stanno anche somministrando alle volontarie pillole contraccettive, che contengono estrogeni sintetici, per vedere se servono ad attenuare l’emicrania. Questa terapia viene spesso consigliata anche se non ci sono prove della sua efficacia. “Le pillole hanno effetti collaterali, quindi abbiamo bisogno di dati”, afferma Terwindt.

Un’altra cosa poco chiara è perché l’emicrania si presenti con una grande varietà di sintomi. Le mie aure di solito cominciano con dei lampi di luce. Una mia amica vede luci zigzaganti, altre persone hanno punti ciechi o sentono dei formicolii. “Può darsi che la classificazione sia troppo ampia, e in effetti potrebbero esserci malattie multiple individuali, che ancora non siamo in grado di diagnosticare”, sostiene Hay. “Oppure potrebbero essere le combinazioni dei geni di un individuo a creare esperienze così diverse”.

Terwindt ha passato gran parte della sua carriera a studiare i fattori genetici. Negli anni novanta faceva parte dell’équi­pe che identificò il primo gene legato all’emicrania emiplegica familiare, un sottotipo che si ritiene abbia una forte componente ereditaria. Da allora, Terwindt cerca i fattori genetici che potrebbero spiegare i tipi più comuni di emicrania. Dopotutto, se uno o entrambi i genitori soffrono di emicrania, la probabilità che una persona ne soffra a sua volta va dal 50 al 75 per cento. “In un recente articolo che abbiamo pubblicato spieghiamo che nel genoma ci sono più di 123 punti che potrebbero essere coinvolti nell’emicrania”, dice. “La faccenda è piuttosto complessa”.

Da sapere
L’ondata perturbatrice

◆ Si pensa che le emicranie partano dall’ipotalamo, una struttura a forma di cono alla base del cervello, perché molti sintomi – sbadigli, stanchezza e cambiamenti d’umore – ricalcano le funzioni dell’ipotalamo da noi conosciute. Il ruolo che svolge nell’innescare un attacco non è chiaro, ma un qualche tipo di segnale sembra causare un’ondata di attività cerebrale perturbata. Gli studi condotti sulle persone che soffrono di emicrania hanno rivelato che l’ondata parte dalla regione posteriore del cervello, dal ** lobo occipitale**. Lì si trova la corteccia visiva, e questo potrebbe spiegare perché molte persone hanno sintomi legati alla vista durante l’aura. La perturbazione sembra poi diffondersi alla parte anteriore del cervello. Il percorso varia e questo forse spiega perché i sintomi sono così diversi. Se l’ondata passa attraverso l’emisfero sinistro può risentirne il linguaggio; se arriva fino alla parte anteriore del cervello – legata al movimento – può causare la sensazione di avere le braccia pesantissime. New Scientist


Infine non abbiamo ancora risposto alle domande più importanti: perché e come cominciano le emicranie.

Per le persone che ne soffrono spesso sembrano esserci alcuni fattori scatenanti. Di solito i dottori consigliano di tenere un diario per poter individuare i cambiamenti nella loro routine: un’alimentazione diversa o qualsiasi altra cosa che si verifica regolarmente prima di un attacco. Ma in che modo fattori come lo stress, la mancanza di sonno o mangiare formaggio possono innescare un attacco? Alcuni ricercatori sono convinti che il cervello delle persone che soffrono di emicrania abbia una soglia più bassa di risposta alle stimolazioni: se alcuni stimoli superano quella soglia, fanno scattare l’attività neurale che porta all’attacco. A giudicare dai primi segni comuni, come sbadigli e stanchezza, potrebbe darsi che a innescare l’emicrania sia un cambiamento a livello dell’ipotalamo, la zona del cervello collegata a questi sintomi. Alcuni fattori che consideriamo scatenanti, come la voglia di un certo tipo di alimento o le luci intense, potrebbero essere semplicemente una conseguenza del fatto che l’attacco è già cominciato. “Se pensiamo che il cioccolato ci faccia venire mal di testa, ma in realtà il desiderio è presente nella fase premonitrice, evitare il cioccolato non serve a niente”, afferma Goadsby. “Punirsi non ha senso”.

Ormai è chiaro che, date le enormi variazioni, quello che funziona per una persona non vale necessariamente per un’altra. Osservando i soggetti a cui è stata somministrata un’alta dose giornaliera di vitamina B2 è emerso che alcuni, ma non tutti, avevano emicranie meno frequenti. Nel novembre 2021 è uscita la notizia che un uomo aveva apparentemente curato l’emicrania con una dieta ricca di verdure a foglia verde, ma questo non significa che gli altri dovrebbero cominciare a sostituire i triptani con il cavolo nero.

È chiaro che servono più terapie. Finora nessun medicinale ha funzionato per tutti. Inoltre molti di quelli che assumono farmaci hanno lo stesso gli attacchi, anche se meno frequenti e meno gravi. “Significa che non abbiamo ancora capito a fondo il sistema. O che sono coinvolti altri fattori”, afferma Hay.

Finché non li avremo individuati, ci sono comunque delle cose che i medici, i datori di lavoro e tutti noi possiamo fare per migliorare la vita di chi soffre di emicrania. Una è informare meglio i medici. “La formazione che ricevono gli operatori sanitari è insufficiente”, afferma Hay, che incoraggia un cambiamento a partire dal linguaggio, al fine di allinearlo a quello usato per descrivere altri disturbi neurologici. “Non _hai _l’emicrania, ma _vivi _con l’emicrania e a volte hai un attacco”, dice.

Io mi considero fortunata: le mie emicranie sono diminuite dopo i trent’anni, forse per i cambiamenti ormonali dovuti alla gravidanza. Dato che l’emicrania potrebbe avere una componente familiare, spero che tra una decina d’anni, grazie alle nuove ricerche, la mia bambina piagnucolona non dovrà più correre a nascondersi sotto a un piumone. ◆bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1448 di Internazionale, a pagina 63. Compra questo numero | Abbonati