Dmitrij Belyš stava in piedi nell’anfiteatro vuoto con la sua felpa arancione e le scarpe da ginnastica bianche sporche. Era novembre a Tbilisi, e lui era nel bel mezzo di una performance di ventiquattro ore dedicata alla sua precipitosa fuga da San Pietroburgo nella capitale georgiana. Quando sono arrivato ero l’unico spettatore, così abbiamo avuto tutto il tempo per parlare. “È buffo”, mi ha detto Belyš. “Ho lasciato un posto in cui non mi sentivo a casa per ritrovarmi in uno dove non sono il benvenuto”.

Belyš si era apertamente espresso contro la guerra in Ucraina, ma le sue prospettive al di fuori della Russia – non aveva molti soldi e non parlava nessuna lingua oltre al russo – erano scarse. Così, subito dopo l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022, era rimasto in patria. Ma alla fine di settembre, quando il presidente Vladimir Putin aveva annunciato la mobilitazione generale, Belyš, che era in età di leva, aveva dovuto lasciare il paese per evitare di essere arruolato in un esercito che non sosteneva e finire a combattere una guerra che trovava ingiusta.

La Georgia era una destinazione logica: era uno dei pochi paesi il cui confine terrestre era ancora aperto ai russi che non potevano permettersi i biglietti aerei. Ma decine di migliaia di suoi connazionali avevano avuto la stessa idea, e la frontiera di Larsi, una cittadina sulle montagne del Caucaso che rappresenta l’unico collegamento via terra tra la Georgia e la Russia, era stata presa d’assalto.

Con la sua performance Belyš voleva fare i conti con ciò che aveva vissuto abbandonando la Russia. Ma aveva scelto il momento sbagliato: il giorno in cui la Russia aveva intrapreso una nuova feroce campagna contro le infrastrutture civili ucraine per lasciare la popolazione senza elettricità e riscaldamento. Belyš aveva cercato di promuovere l’evento sui social network, ma il suo post aveva provocato una raffica di commenti negativi, in particolare di georgiani e ucraini la cui tolleranza per qualsiasi cosa russa, e ancor meno per l’autocommiserazione, era ridotta a zero. “Questa non è la guerra di Putin. Questa è la guerra della Russia”, diceva un commento.

Belyš è solo uno dei tanti emigrati russi che si sono stabiliti in Georgia – per lo più a Tbilisi, una città con 1,2 milioni di abitanti – dall’inizio della guerra. Le statistiche sono imprecise, ma i dati del governo indicano che tra febbraio e ottobre del 2022 più di 110mila russi si sono trasferiti in Georgia, contro appena ventimila ucraini. Quest’afflusso ha travolto la città, mettendo a dura prova la situazione abitativa e sociale e aggravando le tensioni politiche e culturali già esistenti.

Responsabilità collettiva

Un elemento chiave dell’identità nazionale post-sovietica della Georgia è la secolare dominazione russa, che cominciò tra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento, quando i re georgiani chiesero protezione contro gli attacchi persiani. I russi non solo non riuscirono a prevenire l’aggressione persiana – Tbilisi fu rasa al suolo nel 1795 – ma poco dopo la Georgia fu annessa al loro impero. Cominciarono così due secoli di dominio russo, che si è concluso solo nel 1991 con il crollo dell’Unione Sovietica.

I georgiani hanno sempre sostenuto che il loro risentimento è rivolto esclusivamente verso lo stato russo, non verso il popolo russo. Ma l’invasione dell’Ucraina ha quasi cancellato questa distinzione. La fuga di decine di migliaia di russi che si considerano vittime del proprio governo arriva proprio nel momento in cui i georgiani tendono più che mai ad attribuire la responsabilità collettiva della guerra in Ucraina ai russi. La migrazione di massa ha scosso la Georgia e l’ha posta di fronte a complesse questioni morali: chi può essere considerato una vittima? Che responsabilità hanno i cittadini per le azioni dei loro governi? Come dovremmo distribuire la nostra solidarietà?

Dopo l’invasione dell’Ucraina hanno cominciato a spuntare dei graffiti in vari punti di Tbilisi, in particolare nel suo affascinante centro storico: “Fanculo la Russia” e “Fanculo Putin” (in inglese). Oppure, citando le celebri parole pronunciate da un soldato ucraino sull’isola dei Serpenti nel mar Nero prima di essere catturato dalle forze russe nel febbraio 2022: “Nave da guerra russa, vai a farti fottere”.

Le scritte apparivano sui pittoreschi muri in rovina, sotto i balconi ottocenteschi, sulle tavole di compensato che delimitano i cantieri, nel quartiere gentrificato di Mtatsminda e in altre zone del centro. Questi luoghi attirano da tempo gli stranieri, tra cui centinaia di migliaia di turisti e un buon numero di espatriati da tutto il mondo. Io sono statunitense e ho vissuto a Mtatsminda per tre anni.

Tbilisi aveva già conosciuto un’ondata di immigrazione russa nel 2021 dopo un giro di vite del Cremlino contro le organizzazioni e i mezzi d’informazione indipendenti, che aveva costretto molti attivisti e giornalisti a fuggire all’estero. Ma non è stato niente in confronto al 2022, quando nel mio quartiere è diventato più frequente sentir parlare russo che georgiano.

L’invasione dell’Ucraina ha suscitato una complessa serie di emozioni nei georgiani: simpatia per gli ucraini e timore che la Russia potesse presto rivolgere lo sguardo alla Georgia, dopo averla già invasa nel 2008. Se Mosca avesse vinto in Ucraina, i georgiani avrebbero avuto motivo di temere che il Cremlino si sarebbe sentito incoraggiato a tornare per finire il lavoro. Se avesse perso, invece, temevano che la piccola e debole Georgia avrebbe potuto essere un facile premio di consolazione.

Alcuni temevano che Putin usasse i russi in Georgia come pretesto per “liberarli”

Tra le reazioni c’era anche l’odio. Prima che apparissero i graffiti, sui social network si erano moltiplicati i messaggi ostili. Alcuni georgiani preoccupati avevano pubblicato una petizione per istituire un regime di visti per i russi. Persone di solito ragionevoli sostenevano che i russi in fuga a Tbilisi rappresentavano una minaccia perché Putin avrebbe potuto usare la loro presenza in Georgia come pretesto per “liberarli”. Alcuni dicevano che i russi dovevano rimanere a casa loro e cercare di rovesciare il regime, e che erano colpevoli perché non lo avevano fatto prima. Altri ancora suggerivano che i russi a Tbilisi stessero semplicemente fingendo di essere contro la guerra in Ucraina.

Un amico mi ha raccontato di una rissa in un bar tra un russo e un georgiano. Un canale Telegram per i russi a Tbilisi ha pubblicato una registrazione anonima di qualcuno che minacciava di picchiare i russi. Dato che il Cremlino considera la russofobia in Ucraina una giustificazione per la guerra, la situazione a Tbilisi si era fatta molto tesa.

Una giovane attivista russa per i diritti umani era arrivata dopo la repressione del 2021 e all’inizio si era ambientata senza problemi. “Ma quando è cominciata la guerra, le cose sono cambiate radicalmente”, mi ha detto. “Improvvisamente i georgiani sono diventati ostili ai russi. Prima della guerra non avrei mai pensato che la gente mi avrebbe considerata una nemica”. È andata in vacanza sul mar Nero e ha cercato un alloggio su Airbnb e Boo­king, ma molti gestori hanno rifiutato la sua richiesta perché era russa. Uno le ha scritto che avrebbe dovuto “tornare in Russia e combattere Putin”. Così ha tentato di spiegargli che non poteva farlo: “Ero così arrabbiata che gli ho detto: ‘Sono un’attivista per i diritti umani, sono una giornalista, ho amici che sono stati torturati’”. L’altro ha preteso di vedere delle prove, e solo dopo ha detto che “forse” l’avrebbe ospitata.

I russi si sono stabiliti nei quartieri degli espatriati, isolati dal resto della città, e in assenza di comunicazioni regolari tra le due comunità le scritte sui muri sembravano riempire il vuoto. Erano ormai ovunque nei quartieri centrali di Tbilisi. Non si poteva camminare per cinquanta metri senza leggere “La Ruzzia è uno stato terrorista”. Con il passare del tempo l’attenzione si è spostata dallo stato al popolo russo: “Ruzzki andate a casa” e “Ruzzki non siete i benvenuti” (la z si riferisce al simbolo usato dalla propaganda di Mosca per indicare la guerra). “Andate affanculo a casa”, in russo. “Russi tornate nel vostro brutto paese”.

Anche se i russi hanno dominato la Georgia per due secoli, l’attuale risentimento georgiano contro la Russia riguarda soprattutto l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud, abitate da due minoranze etniche. Entrambe si sono separate dalla Georgia durante le guerre degli anni novanta, quando centinaia di migliaia di georgiani sono stati costretti a fuggire da quei territori. I loro governi autoproclamati sono sostenuti da Mosca, che ha basi militari in entrambe le repubbliche. Ora un frequente argomento di discussione è che la Russia “occupa” il 20 per cento della Georgia. Alcune delle nuove scritte dicono: “Occupanti andate a casa”. Il tentativo della Georgia di riprendere il controllo dell’Ossezia del Sud aveva innescato la guerra del 2008, in cui la Russia non solo respinse le forze georgiane, ma avanzò brevemente nel resto del paese, attaccando le città di Gori e Poti. Secondo i dati ufficiali 224 georgiani e 162 civili dell’Ossezia del Sud furono uccisi.

Per molti georgiani, la guerra del 2008 e la presenza russa in Abkhazia e Ossezia del Sud sono solo gli ultimi capitoli di una storia secolare in cui la Russia non fa che ostacolare le ambizioni nazionali georgiane. Quel conflitto scoppiò pochi mesi dopo che la Nato aveva promesso di accettare la candidatura della Georgia. L’invasione dell’Ucraina è vista come un attacco simile contro un popolo che ora considerano vicino. Una rivista liberale ha lanciato una campagna, intitolata “Prima di Buča c’è stata l’Abkhazia”, per chiedere che la pulizia etnica dei georgiani in Abkhazia sia riconosciuta come “genocidio”.

Parlando con i russi a Tbilisi ho scoperto che non sapevano molto di quello che è successo in Abkhazia e Ossezia del Sud; le guerre in Georgia sono solo un episodio marginale della storia che i russi, sia i sostenitori del governo sia gli oppositori, conoscono del loro paese. Ma anche se gli immigrati russi non si occupano molto di politica georgiana, la politica georgiana si occupa di loro.

Equilibrio precario

Il partito di governo sembra non volersi esporre troppo. Le sue azioni sono orientate a mantenere l’orientamento filoccidentale del paese: applicare le sanzioni internazionali contro la Russia, votare con l’occidente nelle risoluzioni delle Nazioni Unite, chiedere l’adesione all’Unione europea. Eppure le parole dei suoi esponenti raccontano una storia diversa. Ultimamente hanno accuratamente evitato di provocare la Russia e sono stati molto più critici nei confronti del governo ucraino, citando perfino teorie del complotto antioccidentali. Queste dichiarazioni hanno fatto infuriare molti georgiani che vorrebbero prendere una posizione più forte a sostegno dell’Ucraina. I partiti di opposizione accusano il governo di inchinarsi a Mosca.

L’equilibrismo dell’esecutivo ha quasi sempre funzionato: è stato lodato dalle capitali occidentali per aver aderito alle sanzioni e da Mosca per non aver fatto di più. Ma la situazione sta diventando insostenibile.

Tbilisi, Georgia, 20 gennaio 2023 (Daro Sulakauri, Getty)

A metà maggio Putin, che dall’inizio della guerra aveva sostanzialmente ignorato la Georgia, ha annunciato che la Russia avrebbe ristabilito i collegamenti aerei diretti con la Georgia, vietati nel 2019, e rimosso le restrizioni sui visti per i georgiani diretti in Russia. Questa notizia sarebbe stata accolta con favore prima della guerra in Ucraina, ma ora sembra una mossa strategica calcolata per dividere il governo georgiano e i suoi alleati occidentali. E ha funzionato. Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno avvertito che consentire alle compagnie aeree russe di volare in Georgia avrebbe esposto le aziende georgiane al rischio di sanzioni. Tbilisi è andata avanti comunque, citando i benefici economici della ripresa dei voli, suscitando dure critiche da Washington e Bruxelles.

Questa disputa ha finito per coinvolgere gli immigrati. Il governo ha cercato di minimizzare sottolineando che molti dei nuovi arrivati sono in realtà di etnia georgiana, e che tanti usano la Georgia solo come paese di transito verso altre destinazioni. Ci sono regolarmente polemiche su esponenti dell’opposizione russa a cui è negato l’accesso in Georgia, tra cui giornalisti che criticano il regime, uno degli avvocati del leader dell’opposizione Aleksej Navalnyj e una delle Pussy Riot. Per l’opposizione georgiana è la prova che il governo prende ordini dal Cremlino. La questione però è piuttosto confusa. Molti russi con cui ho parlato credono che il governo stia impedendo l’ingresso di alcune persone per non permettere che Tbilisi diventi un centro dell’attività dell’opposizione russa attirandosi l’ira di Mosca. Ma allo stesso tempo gli oppositori russi che sono stati bloccati sono molti meno di quelli che sono stati già fatti entrare, e diversi gruppi di giornalisti e attivisti in esilio non hanno avuto problemi a stabilirsi qui.

Pochi mesi dopo l’invasione dell’Ucraina, ho notato che alcuni miei vicini avevano stampato e appeso sul balcone un cartello in russo: “Non è il momento di divertirsi mentre i russi uccidono e torturano bambini in Ucraina! Se sei ‘fuggito’ dalla Russia, protesta a casa tua!”.

Come nel metaverso

Si può essere portati a esagerare l’importanza dei graffiti. Ma gli espatriati russi con cui ho parlato hanno spesso tirato fuori l’argomento. Le scritte sui muri erano una parte significativa della loro esperienza, un megafono visivo che annunciava costantemente ciò che una parte dei georgiani pensava di loro.

“Funziona”, mi ha detto uno studioso russo che si è trasferito qui pochi mesi dopo l’inizio della guerra: i graffiti ti ricordano di startene al tuo posto. È stato attaccato sui social network per aver sostenuto che i dissidenti russi non meritavano punizioni collettive per la guerra. Ha chiuso il suo account Twitter e ha chiesto di restare anonimo. “Per strada, specialmente la prima volta che sono venuto a Tbilisi, mi sentivo come nel feed di Twitter. È stato come essere nel metaverso, solo che non se ne può uscire”.

Da sapere
Il caso Saakashvili

◆Il 3 luglio 2023 l’ex presidente georgiano Mikheil Saa­kashvili è comparso in tribunale per una testimonianza, tramite collegamento video, dopo un lungo periodo di assenza. Saakashvili è apparso molto debilitato e dimagrito. Arrestato nell’ottobre del 2021, al suo ritorno in Georgia dopo dieci anni trascorsi all’estero, sta scontando una condanna a sei anni per abuso di ufficio. Secondo i suoi sostenitori, la sentenza ha motivazioni politiche. Le immagini dell’ex presidente, al potere dal 2004 al 2013, hanno suscitato le proteste di Volodymyr Zelenskyj, il presidente dell’Ucraina, paese in cui Saakashvili ha vissuto per diversi periodi tra il 2015 e il 2021, prendendone la cittadinanza e ricoprendo anche alcuni incarichi pubblici. Il governo georgiano ha criticato la posizione di Kiev, specificando che non ci saranno negoziati con l’Ucraina sul destino di Saakashvili. Questi ultimi contrasti tra i due paesi arrivano dopo mesi di tensioni, legate all’atteggiamento di Tbilisi sull’invasione russa dell’Ucraina, giudicato dagli ucraini e da gran parte dei georgiani troppo filorusso. Nelle ultime settimane si è risolta invece un’altra vicenda delicata per il governo georgiano. Il 23 giugno il giornalista e politico Nika Gvaramia è stato scarcerato dopo essere stato graziato dalla presidente della repubblica Salome Zurabishvili. Gvaramia nel 2022 era stato condannato a tre anni e mezzo per abuso di ufficio. La sentenza era stata criticata da gran parte dell’opinione pubblica georgiana, dagli Stati Uniti e dall’Unione europea. Reuters


Le poche volte che le autorità cittadine hanno fatto cancellare dei graffiti antirussi si è alzato un polverone sui social network. Per molti georgiani liberali queste iniziative confermavano che il governo era in realtà filorusso. Secondo loro i graffiti esprimevano la volontà del popolo.

Il fatto che molti russi non credessero che fossero i georgiani a scrivere i graffiti sembra suggerire una deliberata ignoranza del modo in cui la loro presenza è percepita. Molti di quelli con cui ho parlato sono rimasti sconvolti nello scoprire la vera natura del loro paese, e molti gli hanno voltato le spalle per sempre. L’impulso dominante sembra essere quello di indossare un cilicio collettivo. Molte attività russe a Tbilisi sono riconoscibili dalla bandiera ucraina e da un poster con un codice qr per fare donazioni alle forze armate ucraine. Se gli emigrati russi si lamentano, aggiungono subito che “non è nulla in confronto a quello che stanno passando gli ucraini”.

“I russi pensano che senza di loro non siamo niente, ma non è vero”, mi ha detto Zurab Chitaia. Ha un’identità complicata: il padre è georgiano e la madre russa, ed è cresciuto parlando russo in Abkhazia. Quasi tutti gli abitanti di etnia georgiana sono stati costretti a lasciare l’Abkhazia durante la guerra negli anni novanta, e la famiglia di Chitaia è fuggita a Mosca quando lui era un adolescente. Si è trasferito a Tbilisi qualche anno fa e ora gestisce una catena di bar. Ha detto che in generale era a favore dei graffiti, anche se pensava che il messaggio dovesse essere affinato: “Putin non è una testa di cazzo, è un assassino e un terrorista.”

Chitaia conduce un podcast in lingua russa sulla Georgia, in cui prende posizione contro certi estremismi, come costringere le persone a Tbilisi a non parlare russo. Ma ha detto che molti russi sottovalutano l’antipatia dei georgiani nei loro confronti. “I giovani georgiani non sono interessati alla Russia”, ha detto. “Pensano: ‘lasciateci in pace, non vi conosciamo, non ci piacete. Siamo cresciuti senza di voi e tutto quello che conosciamo di voi sono carri armati, bombe e morti’. I nostri genitori e nonni sono stati costretti a fare riferimento alla Russia, ma noi no”.

Carnefici e vittime

Il fatto che i russi possano ancora entrare in Georgia semplicemente mostrando il loro passaporto irrita molti georgiani. La Russia è solo uno dei 95 paesi esentati dal regime dei visti in Georgia, ma l’esodo del 2022 ha spinto l’opposizione a chiedere d’introdurre l’obbligo di visto per i russi. Il governo però ha rifiutato, sottolineando i benefici economici portati dagli espatriati: il pil georgiano è cresciuto di più del 10 per cento nel 2022, e le autorità hanno attribuito parte del merito all’arrivo dei russi. Dopo l’annuncio del ripristino dei voli diretti tra Russia e Georgia, il dibattito sui visti è divampato di nuovo. L’ambasciatrice statunitense ha avvertito che Putin potrebbe avere intenzione di “usare” la presenza degli espatriati per interferire nel paese. Se fino a pochi mesi prima esortava la Georgia ad accogliere chi fuggiva dalla repressione, ora notava che “molti georgiani sono preoccupati per le centinaia di migliaia di russi” arrivati nel paese.

Vivere a Tbilisi significa essere avvolti in strati di responsabilità e vittimismo, abitare una gerarchia di carnefici, colonizzatori e colonizzati. Secondo molti l’arrivo dei russi ha complicato la politica interna georgiana e ostacolato gli sforzi del paese di fare i conti con il fatto di aver oppresso a sua volta popoli più deboli. Le origini delle guerre degli anni novanta sono fortemente discusse, ma parte significativa della responsabilità ricade sulla Georgia, un aspetto che è omesso nella nuova narrazione dell’“occupazione russa”. Quest’ultima nega il diritto all’autodeterminazione degli abkhazi e degli osseti, che per la maggior parte non si considerano occupati dai russi e pensano che la tutela russa sia un male necessario per scongiurare un pericolo maggiore, quello del nazionalismo georgiano. Ma nell’atmosfera surriscaldata di oggi tutte queste sfumature tendono a svanire. “La guerra in Ucraina ha paralizzato il processo di elaborazione dei nostri conflitti, rendendo quasi impossibile ammettere i nostri errori”, ha scritto Anna Dziapshipa, una regista di origini georgiane e abkhase che vive a Tbilisi.

Nel frattempo i graffiti continuano a proliferare e a evolversi. Non è raro vedere nuove scritte sovrapposte ad altre precedenti, messaggi modificati in una sorta di conversazione o dibattito pubblico. Una modifica frequente è cambiare “Fanculo la Russia” in “Fanculo Putin”. Vicino a casa mia c’è un “Russi vaffanculo stronzi”, e qualcuno ha aggiunto: “Nazionalisti di tutti i paesi andate a farvi fottere”. Un graffito nel mio quartiere era cominciato come “Russians go home” (Russi andate a casa), scritto in blu. Poi qualcuno ha ridipinto l’ultima parola in giallo, formando così i colori della bandiera ucraina: “Russians go help” (Russi andate ad aiutare). Recentemente è stato cambiato di nuovo. Ora è “Russians go to hell” (Russi andate all’inferno). ◆ ab

Joshua Kucera è un giornalista statunitense che vive a Tbilisi, in Georgia. Collabora con diversi giornali statunitensi, occupandosi dei paesi dell’ex Unione Sovietica.

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Questo articolo è uscito sul numero 1521 di Internazionale, a pagina 52. Compra questo numero | Abbonati