Non me l’immaginavo così. Ero per strada, alla ricerca della biblioteca nella cittadina morava di Svitávka, e mi sono fermata esterrefatta di fronte a un’enorme villa in stile liberty perfettamente restaurata. La casa sembrava un disco volante appena atterrato nel parco. Erano le otto e mezza del mattino e per arrivare a Svitávka ero partita alle sette da Velké Losiny. Dovevo leggere dei testi agli alunni delle scuole. Mentre salivo la bellissima scalinata fino all’ultimo piano, il mio cuore ha cominciato a palpitare. Era una delle biblioteche più belle che avessi mai visto, e ne avevo viste a centinaia durante i miei viaggi.

La villa un tempo apparteneva ai Löw-Beer, una famiglia d’imprenditori tessili d’origine ebrea. Oggi ospita l’ufficio comunale e, all’ultimo piano, le sale con i libri, completamente rimesse a nuovo. “Era tutto coperto di polvere. Quando si apriva la finestra cadevano mosche morte. Così il sindaco decise di rifare tutto”, ha ricordato Helena Jalová, la responsabile di 29 centri di lettura nella regione di Blansko. Iva Machová, prima impiegata dell’Ikea e ora realizzatrice di bellissime biblioteche, soprattutto nei piccoli comuni, ha contribuito al progetto.

Nella Repubblica Ceca c’è una biblioteca ogni 1.971 abitanti. È un numero dieci volte superiore a quello degli Stati Uniti, dove ce n’è una ogni 19.583 abitanti

La ricostruzione, finanziata dal municipio ma anche dalla regione della Moravia Meridionale, è costata un milione e mezzo di corone ceche in totale, circa 62mila euro, ed è riuscita perfettamente. “Volevamo che fosse un posto bello, come il resto della villa. Un luogo dove i cittadini, senza distinzione, potessero venire e sentirsi come nel salotto della città”, mi ha spiegato Miroslava Zoubková, sindaca di Svitávka. Nelle tre stanze non ci sono solo scaffali color grigio crema, ma anche poltrone e divani in velluto verde, tavoli in marmo che si abbinano con gusto agli interni e attraverso le finestre penetra una luce morbida proveniente dal giardino. Tutto riflette una visione chiara, compreso un dettaglio minuscolo come le etichette che i lettori usano per orientarsi tra i libri: le hanno fatte i bambini del paese. Non volevo andare via. Mi sarebbe piaciuto stare lì e leggere tutto il giorno nel salotto di questa comunità.

Sono cresciuta in una biblioteca perché la mia prozia Růžena faceva la bibliotecaria. Le sale occupavano due piani in una vecchia casa nel centro di una piccola città. Il reparto adulti era al piano inferiore e quello per l’infanzia al piano superiore. Gli scaffali arrivavano al soffitto e i libri brillavano dolcemente sotto il sole pomeridiano. In biblioteca si prendevano in prestito i libri, l’unica cosa che violava questa inamovibile istituzione erano le visite delle scuole. Gli insegnanti della prima elementare ci portavano gli alunni che, da futuri lettori, imparavano le regole del prestito: i libri non si scarabocchiavano, non si piegavano gli angoli delle pagine e non si rovinavano. Quello era il tempio dei libri: si cedevano chiedendo l’impegno a restituirli, si rilegavano, catalogavano e custodivano.

Quando entro in una biblioteca oggi, come scrittrice, l’esperienza è assolutamente diversa. Non solo perché non sono più una bambina e perché questi luoghi hanno smesso di essere solo dei posti in cui i libri sono presi in prestito. All’ingresso sei accolta da una locandina con gli eventi in corso e quelli futuri: è un nuovo linguaggio che le biblioteche ceche hanno perfettamente assimilato.

Fu il presidente ceco Tomáš Masaryk a sognare e realizzare la più fitta rete di biblioteche del mondo (ne abbiamo circa seimila). Un’indagine della Bill & Melinda Gates foundation conferma questo dato eccezionale: nella Repubblica Ceca c’è una biblioteca ogni 1.971 abitanti. Per capirsi, è un numero dieci volte superiore a quello degli Stati Uniti, dove ce n’è una ogni 19.583 abitanti. Masaryk promulgò la prima legge sulle biblioteche nel 1919, rendendole anche un luogo di studio. Poi, durante la dittatura comunista, nelle sale non si poteva studiare. Ora le biblioteche hanno capito che la loro sopravvivenza e l’interesse dei lettori dipendono da quanto saranno in grado di trasformarsi, soprattutto usando internet. “Quando nel 2013 ho cominciato a lavorarci, ho sentito che questi posti cominciavano a considerarsi dei centri culturali o salotti cittadini, e percepivano la loro funzione di collante della comunità. Ora ogni mese ha un titolo: il mese del libro, il mese di internet, il mese dei lettori”, mi ha spiegato Eva Staněk, direttrice della biblioteca di Tábor.

Molte grandi cose non sono sopravvissute al comunismo, alla libertà ritrovata o al digitale. Le biblioteche sono una bella eccezione: le paghiamo con le tasse e sono davvero nostre, sono fatte per noi. Possiamo andarci in qualsiasi momento e non siamo obbligati a comprare nulla. E troviamo sempre i libri che amiamo.

“Era molto imbarazzante dover chiedere allo sportello del prestito la chiave del bagno”, mi ha detto Jan Jukl, attuale direttore della biblioteca di Polička, ricordando la sua infanzia. Lui ha deciso di mettere a disposizione del pubblico i servizi igienici.

Nella biblioteca di Krnov, alla fine di un’altra lettura con bambine e bambini, quando sono uscita dalla toilette mi sono trovata ad ascoltare meravigliata una discussione su questo tema. Il direttore Jakub Mruz e Jukl si scambiavano impressioni su quel che è successo con l’apertura dei bagni al pubblico. Non è stato né semplice né scontato. Il personale deve preoccuparsi della carta igienica e del sapone, e prendersi cura della pulizia, ma secondo entrambi ne valeva la pena: una toilette aperta a tutti è un segnale di vera democrazia.

Vado spesso con piacere nelle biblioteche ceche, anche per come si sono trasformate. Mi sembra di tornare nell’ottocento, quando, per esempio, gli scrittori leggevano i libri a voce alta nei teatri. Gli costava molta fatica fisica, dovevano spostarsi continuamente. Probabilmente Charles Dickens morì proprio per un’influenza che aveva preso in un impegnativo tour negli Stati Uniti. Questo non succede più. Soprattutto nelle città e nei villaggi più piccoli, le biblioteche sono diventate dei punti di riferimento della vita culturale, dove c’è sempre qualcosa d’interessante: concerti, mostre o magari un corso di cucito per gli adolescenti.

I giovani sono continuamente rimproverati perché non leggono o perché usano troppo il telefono. Io non ho questa impressione. Nelle letture che faccio per bambine e bambini, quando chiedo se qualcuno di loro legge si solleva una foresta di mani. Probabilmente leggono libri diversi da quelli che immaginano gli adulti: fumetti, saghe fantasy e libri sui pony. Ma l’importante è che sviluppino l’abitudine alla lettura e che durante la loro vita tornino ai libri.

Quando ho questo tipo di appuntamenti, porto con me anche semi di fiori e ortaggi perché nella maggior parte delle biblioteche c’è la cosiddetta stanza dei semi, dove i lettori li lasciano o li scambiano. Torno sempre con le tasche piene di sacchettini, così nel mio giardino poi cresceranno pioppi di Beroun, calendule di Uherské Hradiště o aquilegie di Brno. Una volta sono tornata a casa con un barattolo pieno di radici di pothos, perché nelle biblioteche si organizzano anche scambi di piante. Non solo: si scambiano anche vestiti o libri usati. La biblioteca di Kadaň gestisce una libreria antiquaria. I volumi non sono buttati in scatoloni per essere venduti a prezzi simbolici, ma entrano nuovamente in circolazione in modo molto più dignitoso. Questa primavera ho acquistato chili di libri a Kadaň, ci ho speso tutto il mio onorario.

Le biblioteche inoltre pubblicano altri libri. Quella di Šumperk ospita un’iniziativa: “La città legge un libro”. Ogni anno contatta uno scrittore o una scrittrice chiedendole di selezionare alcuni suoi testi. Poi la biblioteca, in collaborazione con una casa editrice regionale, li stampa e organizza letture in vari luoghi della città per una settimana in presenza dell’autrice o dell’autore. Alcuni anni fa scrissi un libro di racconti per la biblioteca di Šumperk, e poiché in quel periodo vivevo in Brasile le letture si svolsero online. Leggevo in collegamento con il cinema di Šumperk. Avevo sempre una tazza di caffè a portata di mano, dato che in Brasile erano le cinque del mattino. Per la prima volta capii che le biblioteche possono ospitare qualsiasi tipo di evento. Ci si può anche passare la notte.

L’occasione sono le “Notti con Andersen”, e hanno grande successo. L’idea è venuta a due bibliotecarie di Uherské Hradiště, Hana Hanáčková e Miroslava Čápová, dopo un seminario sulla lettura nell’infanzia durante il quale lo psicologo Václav Mertin aveva spiegato che i bambini a cui viene letto un libro prima di andare a letto sviluppano più spesso amore per la lettura. Così, per l’anniversario della nascita dello scrittore Hans Christian Andersen hanno invitato i primi 25 bambini a passare una notte da favola in biblioteca e hanno chiamato l’evento “Una notte con Andersen”. I bambini avrebbero assistito a letture e altre cose interessanti, poi avrebbero dormito lì. L’idea è diventata molto popolare. “Una notte con Andersen” ormai si tiene in molti posti diversi.

Chiara Dattola

Uherské Hradiště è un ottimo esempio dell’approccio fantasioso dei cechi con le biblioteche, una cosa che mi fa sempre provare un grande orgoglio nazionale. Si trova in una sinagoga. È ospitata lì dagli anni cinquanta: la struttura era sopravvissuta alla furia nazista, ma la comunità ebraica non era più in grado di gestirla e la affidò al comune. Oggi è splendidamente restaurata. “A volte si presentano persone i cui antenati si sono sposati qui molti anni fa e siamo sempre felici fargli vedere le sale”, dice Hanáčková.

Le biblioteche si possono trovare anche in ex fabbriche, stazioni ferroviarie o cinema. I vecchi edifici diventano luoghi spazi pubblici grazie a ingegnosi lavori di ricostruzione, che di solito non sono troppo costosi. In Repubblica Ceca allestire delle belle biblioteche ha anche un significato politico. Ecco perché molti sindaci fanno in modo di sostenerle e cercano finanziamenti europei e statali per il restauro. “Proverò a ultimare i miei progetti prima delle prossime elezioni”, ride la designer Iva Machová.

In primavera mi trovavo di fronte a una villa simile a quella di Svitávka, a Ústí nad Labem. La villa si chiama palazzo Weinmann e, come quella di Svitávka, apparteneva a imprenditori ebrei fuggiti alla persecuzione nazista. Tuttavia non ero lì in cerca di storie del passato ma, al contrario, per guardare il futuro. Ero attesa da una decina di mamme con bambini piccoli nell’ambito del progetto “Con un libro per la vita”, noto anche come Bookstart. Abbiamo sorseggiato un caffè e parlato di libri. In mezzo al tappeto i bambini gattonavano, c’era una pila di libri accatastati, i bambini li prendevano in mano e a volte cercavano di mangiarli. Dopo circa due ore ci siamo salutate e le mamme hanno portato via borse piene di volumi presi in prestito dalla biblioteca. Il progetto è attivo in Repubblica Ceca dal 2017 in più di un centinaio di biblioteche e ha l’obiettivo di abituare i bambini alla compagnia e all’odore dei libri fin dalla prima infanzia. Inoltre offre alle mamme la possibilità di passare del tempo libero con i figli e con altre mamme in un ambiente stimolante. Tutto questo gratuitamente, cioè con un abbonamento alla biblioteca che costa da settanta a cento corone l’anno (circa tre o quattro euro).

I bambini più grandi possono iscriversi a un corso di cucina, per gli adulti invece c’è il ricamo giapponese. Le tecniche tradizionali e la realizzazione di piccole pezze “d’artista” hanno richiamato nella biblioteca comunale di Tábor non solo donne competenti in quest’arte ma anche appassionati di arti marziali, che imparano a decorare i loro kimono con ricami tradizionali. Nelle biblioteche s’intersecano mondi che altrove non potrebbero mai incontrarsi: un giovane lottatore di karate incontra una pensionata, un giardiniere incontra un adolescente. Le biblioteche sono la metafora perfetta dell’espressione inglese safe space, uno spazio in cui le persone si sentono al sicuro. Sono tra i pochi luoghi pubblici in cui nessuno cerca di venderti qualcosa. Tutti sono benvenuti e possono restare quanto vogliono, anche se magari sono venuti solo per fare democraticamente uso della toilette.

Oggi è un caldo pomeriggio di settembre e a Táboř un gruppo di bambini sta correndo verso la biblioteca. Le loro voci risuonano e cinguettano sotto le finestre. Li accompagna Mila, l’insegnante del doposcuola, che li fa sedere al centro della stanza su dei cuscini verdi. Sulla porta c’è la scritta “corso” in ucraino, perché qui si tengono anche lezioni di ceco per gli ucraini. Io invece leggerò qualche estratto del mio libro Bába Bedla (Nonna Bedla), un essere per metà donna e per metà fungo. I bambini sono comodi, ma io mi preoccupo quando scopro che tra loro ci sono dieci piccoli ucraini e due gemelli russi: il mio racconto è ambientato alla fine della seconda guerra mondiale e uno degli eroi è il giovane disertore russo Vasja.

Dopo la lettura comunque non succede niente di drammatico. I bambini fanno domande soprattutto sui funghi e non sembrano avere problemi con la storia della guerra. E se i bambini ucraini non mi avessero detto i loro nomi non mi sarei mai accorta che non sono cechi. Da quando è cominciata la guerra, le biblioteche sono diventate fondamentali non solo per organizzare gli aiuti umanitari, ma anche per fare corsi di lingua. Una delle loro prime attività è stata l’apertura di un portale online. Si sono procurate libri in ucraino, perché molte famiglie rifugiate avevano bisogno di una casa e di nutrire e vestire i loro figli, ma volevano anche leggergli un libro prima di andare a letto. Oggi alcune biblioteche hanno assunto personale di origine ucraina.

I bisogni dei profughi stanno cambiando, quindi le biblioteche vogliono assicurargli che sono i benvenuti e che qui sono a casa. In tutto il paese gli ucraini possono frequentare lezioni d’inglese o corsi di musicoterapia, prepararsi per gli esami di ammissione alle scuole secondarie ceche e mettersi d’accordo per andare in gita o in discoteca. L’obiettivo è creare uno spazio sicuro anche per loro, che sono diventati parte della società.

L’estate scorsa ha fatto molto caldo. Le rose erano fiorite e tutti i treni per Grafenwörth erano in ritardo. Quando sono arrivata nella biblioteca di questa cittadina austriaca, che ha circa tremila abitanti, ho scoperto che per gestirla non c’era un dipendente fisso, solo dei volontari. L’edificio era bello ma non era paragonabile a quello di Svitávka per ricchezza e varietà di libri: avevano pochi volumi, che per lo più riflettevano il gusto della maggioranza. Si organizzavano raramente delle letture pubbliche, perché mancavano i soldi.

Le biblioteche delle cittadine ceche e morave invece dimostrano la passione del paese per questa istituzione. La Open Society foundations ne ha premiate undici. In una di queste, nel villaggio di Mokrá, nella Moravia meridionale, si offrono più di quaranta eventi l’anno, anche se il paese ha solo 170 abitanti. I bibliotecari volontari di Grafenwörth una cosa simile se la sognano.

A colpirmi più di tutte è stata la biblioteca del villaggio di Bílovice nad Svitavou, vicino a Brno, dove l’autore ceco Rudolf Těsnohlídek scrisse la famosa favola La piccola volpe astuta. Non è in una bella villa liberty, ma in un sobrio stabile minimalista, strategicamente vicino al municipio e a un pub molto frequentato. Nel 2017 ha vinto il premio come miglior nuovo edificio in una cornice storica.

Avevo appena finito il mio evento mattutino per i bambini e cominciavo a preparare quello serale con gli adulti. Era una mattina pigra e soleggiata, e mi stavo gustando un grandioso smažak (crocchetta di formaggio fritto) in un’osteria. Con la bibliotecaria Šárka Kučerová, attraverso una grande parete di vetro ho osservato un paio di studenti che stavano armeggiando in una stradina. Aspettavano che la biblioteca aprisse. “Vengono a rintanarsi in questa stradina, e per giocare di solito entrano in biblioteca, si rintanano anche qui”, mi ha spiegato lei. Anch’io mi rintanavo in biblioteca. Lo facevo su un tappeto di nylon ruvido, non c’erano cuscini colorati e le pareti erano tinteggiate una volta ogni mezzo secolo, ma anche allora era un posto che m’ispirava un particolare rispetto, perché era il regno dei libri e le persone che li amavano erano gentili e non ti rendevano la vita difficile.

Per me, come per i bambini di Bílovice, la biblioteca è ancora oggi un luogo dove posso nascondermi e allo stesso tempo scoprire nuovi mondi e incontrare persone interessanti: quella comunità che ha sempre amato rintanarsi nelle biblioteche ceche. Un mondo che oggi cresce e si consolida attraverso un’attività che di solito è solitaria: la lettura. ◆ ab

Markéta Pilátová è una scrittrice, giornalista e traduttrice ceca. Il suo ultimo libro tradotto in Italia è Con Bata nella giungla (Miraggi 2020). Questo articolo è uscito sul settimanale ceco Respekt con il titolo Knihovny jsou krásná výjmka.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati