Novembre, la città delle mie nostalgie
si sveglia come una nuova Ninive.
Indossatori scalpitanti oltrepassano le vetrine
e si avviano nudi tra la folla,
sulla schiena gli spuntano caldi papaveri,
fuori stagione, che la pioggia falcia
e porta via con sé nel tombino
delle nostre paure.
E chissà dove, sul fondo delle navi
che solcano il mare interno,
Giona dorme un profondissimo sonno.

Gli amici in segno di solidarietà
si guarniscono con nomi stranieri,
gli arcipelaghi della mia fittizia appartenenza
si disgregano e divento un’isola solitaria
su una carta geografica senza scala.
Né una nuvola né il fruscio di una foglia di fico
che coprano la nudità
del mio nome.

Se ora ci ritrovassimo seduti a un tavolo
somiglieremmo a persone
che una volta parlavano la stessa lingua
della quale sono rimasti solo
punti di sospensione e vocali.

Aksinia Mihaylova è una poeta e traduttrice bulgara nata nel 1963. Con la raccolta Ciel à perdre (Gallimard 2013), scritta in francese, ha vinto il premio Apollinaire. Questa poesia è tratta dalla sua ultima raccolta, Izkustvoto da se sboguvaš (“L’arte di dire addio”, Žanet45 2021). Traduzione dal bulgaro di Alessandra Bertuccelli.

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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati