Prima dell’inizio del nuovo millennio gli agenti letterari, gli editori e le librerie dicevano tutti la stessa cosa: il genere true crime, incentrato sul racconto di crimini realmente avvenuti, era una perdita di tempo. Fatta eccezione per A sangue freddo di Truman Capote, uscito in volume nel 1966 (la ricostruzione dell’omicidio di una famiglia del Kansas e della successiva esecuzione degli assassini), e Mezzanotte nel giardino del bene e del male di John Berendt, del 1994 (la storia di un antiquario processato per l’omicidio di un gigolò), c’era poco altro da raccomandare. Tutto è cambiato nel 2003, quando è uscito Il diavolo e la città bianca di Erik Larson, che raccontava gli omicidi di un serial killer all’esposizione universale di Chicago del 1893. Lì è nata la cosiddetta età dell’oro del true crime: gli autori hanno cominciato a riesumare vecchi casi irrisolti su cui indagare, mentre i giornali hanno fatto affari d’oro trasformando le loro inchieste in libri.

Le mode editoriali vanno e vengono, e probabilmente il true crime sarebbe stato accantonato se non fossero arrivate due novità: la tv in streaming e i podcast, capaci di rinvigorire il genere e prolungarne la vita fino ai giorni nostri. Queste storie sono ormai onnipresenti sugli scaffali delle librerie, sugli schermi televisivi e nei nostri auricolari.

Oggi il true crime è un fenomeno globale che non risparmia nessun paese. In questo numero speciale ho cercato di rendere la sua diffusione internazionale e le varie forme in cui si manifesta, dalle inchieste giornalistiche alla narrativa.

L’idea di tornare al passato e riscoprire crimini apparentemente “scomparsi”, forse per risolverli o almeno per inquadrarli in una luce contemporanea, è ancora molto popolare. Sarah Weinman ha riesumato con successo una serie di casi che riguardano la storia letteraria. Il suo libro del 2018, intitolato The real Lolita, racconta la vicenda di una bambina di undici anni rapita da un molestatore seriale, che ispirò il famoso romanzo di Vladimir Nabokov. Nell’articolo di questo numero, Weinman parla della giornalista britannica Sandy Fawkes, che negli anni settanta, inviata negli Stati Uniti, si ritrovò coinvolta in una relazione sentimentale con un serial killer e poi, sconvolta dalla verità, tornò a Londra e scrisse un libro sulla sua esperienza. La storia è senza dubbio inquietante, ma Weinman si concentra sulle motivazioni e sulla scrittura della giornalista attraverso la lente dei giorni nostri. Fawkes scrisse sfoggiando una grande sfrontatezza, ma forse oggi siamo in grado di vedere meglio lo shock che provò.

In gran parte del suo lavoro la giornalista tedesca Judka Strittmatter si occupa del trauma della Germania postbellica. In Donne sui binari esamina uno dei crimini più conosciuti dell’epoca nazista. In quegli anni un uomo poteva uccidere ripetutamente e farla franca, mentre la polizia seguiva i suoi pregiudizi anziché le prove. Per gli agenti, infatti, era impossibile che il colpevole fosse un “buon tedesco” iscritto al Partito nazista. Di sicuro doveva essere uno straniero. Un ebreo? Un comunista? Fu così che si perse tempo prezioso e altre donne furono uccise. In questo caso il true crime illumina una parte della storia del terzo reich.

L’uso delle nuove tecnologie per scoprire il colpevole di vecchi omicidi è al centro di gran parte dei prodotti televisivi true crime, ma può avere riscontri anche nella realtà. Henry J. Cordes si è occupato approfonditamente della vicenda dell’adolescente statunitense William Leslie Arnold, che nel 1958 sparò ai genitori perché non volevano prestargli la macchina per andare al drive-in. Condannato all’ergastolo, nel 1967 evase e non fu mai più trovato. Almeno fino al 2020, quando un cittadino australiano, come molte altre persone nel mondo, ha fatto un test del suo dna per conoscere le sue origini. Il campione combaciava con quello di Arnold. E così la polizia del Nebraska ha risolto un vecchio caso, mentre un australiano ha scoperto su suo padre qualcosa che probabilmente non avrebbe voluto sapere. Il colpo di scena è stato un’avvincente e imprevista coda all’inchiesta di Cordes.

Non sempre le indagini sui crimini del passato producono soluzioni definitive. Srinath Rao ha seguito per più di dieci anni le orme di “Baby” Patankar, volubile boss di una banda di spacciatori di amfetamine a Mumbai. Dalle baraccopoli, Baby controllava la fornitura della droga più popolare della città e intanto corrompeva agenti di polizia e uccideva i rivali. Per Rao il caso non ha mai avuto fine: Baby è stata arrestata, rilasciata, incarcerata e liberata su cauzione, è scomparsa e poi riapparsa. La caccia continua.

I serial killer e i signori e le signore della droga hanno fornito infiniti spunti agli scrittori, ma il genere true crime ha ispirato anche persone alle prese con reati apparentemente più prosaici. Kit Chellel e Liam Vaughan sono diventati famosi studiando crimini finanziari che spesso gli hanno fatto scoprire episodi di violenza e omicidi. La loro inchiesta sugli scandali che circondavano un fornitore di ghiaia attivo nelle terre di confine irlandesi ha prodotto una serie di violente rappresaglie.

Molti scrittori usano la finzione narrativa per raccontare storie vere. L’argentino Javier Sinay ha ricreato l’orribile vendetta scaturita da un triangolo amoroso in un locale notturno di Buenos Aires.

Nella raccolta ho incluso anche due autori che scrivono solo opere di fantasia per mostrare le tendenze criminali nelle rispettive società. Una è ’Pemi Aguda, che usa il racconto breve per illustrare le dinamiche delle rapine di strada nella sua città, Lagos, in Nigeria. Nel suo Il ragazzo del coro, seguendo un personaggio di fantasia scopriamo il modo in cui la società si adatta e normalizza gli atti quotidiani di violenza.

L’altro è lo scrittore cinese Piao Fei (uno pseudonimo), che scrive direttamente sulle piattaforme online, dove è seguito da più di un milione e mezzo di lettori. Nella storia Bambola segreta, Piao descrive come i forum online cinesi sono terreno fertile per la violenza sulle donne e come le persone che usano la tecnologia possono aggirare il presunto controllo totale delle autorità di Pechino. Occuparsi di crimini reali in Cina può essere difficile. Il governo, infatti, non ama questo genere di attività, i tribunali si vantano di avere un tasso di condanna vicino al 100 per cento e non è consentito parlare d’incompetenza o corruzione della polizia. Per questo motivo Piao mantiene l’anonimato e resta nel campo della narrativa, ma avvicinandosi il più possibile ai fatti reali.

Gli argomenti di queste storie non sono piacevoli. Mostrano il lato oscuro dell’umanità e ci ricordano che non sempre è fatta giustizia. Persone innocenti sono ferite e uccise, mentre gli assassini e gli spacciatori restano a piede libero. Eppure continuiamo a subire il fascino del true crime. Leggere, ascoltare e vedere i racconti di crimini reali ci appassiona. Forse seguiamo queste storie per rafforzarci e imparare ad accettare il mondo per quello che è. O magari per capire meglio il nostro passato personale, sociale e nazionale. ◆as

I racconti e gli articoli di questo numero sono stati scelti dallo scrittore e giornalista britannico Paul French, che vive a Londra e ha lavorato in Cina per molti anni. Il suo libro Mezzanotte a Pechino (Einaudi 2013) è stato un best seller negli Stati Uniti. City of devils: a Shanghai noir (Quercus 2018), il suo libro di true crime più recente, ricostruisce le vite dei gangster più famosi nella città asiatica tra le due guerre mondiali. French è anche autore della rubrica quindicinale Crime and the city per crimereads.com

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Questo articolo è uscito sul numero 1543 di Internazionale, a pagina 11. Compra questo numero | Abbonati