A chiedersi se in Ucraina stia per scoppiare davvero un nuovo conflitto potenzialmente globale non sono solo i politici, i diplomatici e gli analisti, ma anche la gente comune di tutto il mondo. La valanga di notizie inquietanti – spesso poi smentite, almeno in parte – non si ferma.

Gli occidentali stanno trasferendo armi e addestratori militari in Ucraina. I diplomatici dell’ambasciata statunitense e le loro famiglie stanno per lasciare Kiev. “Non ci stiamo ancora preparando per passare all’attacco”, afferma Denis Pušilin, il capo della repubblica popolare di Donetsk, non riconosciuta dalla comunità internazionale. Ma il significato di quell’“ancora” non è chiaro. Alcuni esperti assicurano che da un punto di vista tecnico è meglio combattere in inverno.

Sembrerebbe delinearsi quella situazione che in letteratura è chiamata “pistola di Čechov”, ovvero un colpo di scena che si produce quando un elemento apparentemente marginale acquisisce, nel finale, un nuovo e importante significato. Nell’opera čechoviana si trattava appunto di una pistola appesa al muro, usata solo alla fine. Ma lo sparo è sempre inevitabile?

Niente affatto. Molti non comprendono appieno il significato di questo stratagemma. Čechov intendeva dire che non si dovrebbe lasciare una pistola carica sul palco come semplice elemento scenografico, se nessuno la userà per sparare. Il che, tradotto nel linguaggio della moderna geopolitica, significa che non si può mostrare una pistola solo a fini propagandistici o per intimidire un avversario, facendogli pressione per ottenere vantaggi o concessioni.

L’attuale situazione nel Donbass ricorda in un certo senso l’escalation che, anche se su scala minore, si era verificata nella primavera 2021. Gli ucraini avevano aperto il fuoco contro le repubbliche di Donetsk e Luhansk, e avevano mobilitato un contingente militare sulla linea di contatto. Secondo molti osservatori, la guerra era alle porte. Ma alla fine il punto di non ritorno non è stato oltrepassato e pochi mesi dopo, a giugno, i presidenti di Stati Uniti e Russia si sono incontrati a Ginevra.

La riservatezza necessaria

In seguito la retorica che dipinge la Russia come una costante minaccia alla sovranità dell’Ucraina si è trasformata in una parte integrante della narrazione ucraina delle relazioni tra Russia e occidente. C’è però anche un altro elemento nell’equazione, rappresentato dai tentativi della diplomazia di trovare il modo per evitare che nel Donbass le cose precipitino, ipotesi che non promette vantaggi né a Mosca né a Washington.

L’argomento più recente ed efficace a sostegno dell’idea che la battaglia per la pace non sia ancora persa può essere individuato nella fuga di notizie dal dipartimento di stato degli Stati Uniti dopo l’incontro del 21 gennaio a Ginevra tra i ministri degli esteri russo e statunitense, Sergej Lavrov e Antony Blinken. I diplomatici americani hanno chiesto alle loro controparti russe di non rendere pubblica la loro risposta scritta alle proposte di Mosca sulle garanzie di sicurezza per la Russia. Com’è noto, gli accordi internazionali richiedono riservatezza. La riluttanza di Washington a rivelare il testo della sua lettera a Mosca sembra quindi indicare che gli Stati Uniti stiano effettivamente cercando di trovare soluzioni accettabili per loro e per la Russia. ◆ ab

Sergej Strokan è uno dei pincipali analisti politici del quotidiano Kommersant, dal 2019 su posizioni vicine al Cremlino.

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Questo articolo è uscito sul numero 1445 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati