Il 13 gennaio i cittadini di Taiwan eleggeranno il presidente della repubblica e i membri del parlamento. La presidente in carica Tsai Ing-wen, del Partito democratico progressista (Dpp), non si candiderà per raggiunti limiti di mandato. Due partiti dell’opposizione hanno provato ad allearsi per scalzare il Dpp dal governo. Il piano, però, è fallito perché non c’era accordo su chi candidare alla presidenza. Poi, con il ritiro dalla competizione di Terry Gou, il miliardario fondatore del gigante tecnologico Foxconn, le elezioni sono di fatto una corsa a tre.

I candidati principali sono Lai Ching-te del Dpp, Hou Yu-ih del Kuomintang (Kmt, il partito del nazionalista Chiang Kai-shek, che nel 1949 si rifugiò a Taiwan con il suo esercito, sconfitto dai soldati di Mao Zedong) e Ko Wen-je, presidente e fondatore del piccolo partito Taiwan people’s party (Tpp).

Lai vanta solide credenziali di sostenitore dell’indipendenza, è attualmente vicepresidente di Taiwan e da luglio è in testa nei sondaggi.

Hou, sindaco di New Taipei, non è un candidato particolarmente dinamico o incisivo e ha poca esperienza a livello nazionale e internazionale. Ha appoggiato il cosiddetto Consenso del 1992, secondo cui Taiwan e la Cina continentale appartengono a un’unica Cina senza specificare cosa s’intenda per “Cina”. Il sostegno di Hou a questa linea nelle relazioni con Pechino, importante per i pesi massimi del Kmt come l’ex presidente Ma Ying-jeou, è tuttavia ritenuto troppo debole.

Ko è un medico che si è dato alla politica e ha da poco completato il suo secondo mandato da sindaco di Taipei. È considerato un outsider ostile alla classe dirigente, e con il suo modo di parlare schietto e le sue battute taglienti è ben visto dagli elettori più giovani, stanchi della tradizionale divisione in due schieramenti politici, uno conservatore guidato dal Kmt e uno progressista guidato dal Dpp. Per proporsi come alternativa, Ko sottolinea che la sua linea sulle relazioni con la Cina sarà guidata dai princìpi “della deterrenza e della comunicazione”.

Anche se il “fattore Cina” continua a rappresentare la principale spaccatura politica della società e potrebbe influenzare più di altri elementi la scelta degli elettori, nella campagna elettorale non è stato così centrale com’era successo in occasione delle elezioni del 2020. La linea politica espressa nel 2019 dal presidente cinese Xi Jinping sul “piano Taiwan” e la successiva repressione delle proteste a Hong Kong avevano permesso alla presidente Tsai Ing-wen di rafforzare la sua immagine di paladina della sovranità e della democrazia. All’epoca il “fattore Cina” la aiutò a rilanciare la sua candidatura e le garantì una vittoria schiacciante nel 2020.

Ora Tsai minimizza le minacce di Pechino, anche se nel frattempo le pressioni militari cinesi si sono intensificate. I dirigenti del Dpp sembrano temere che la retorica del Kmt, secondo cui alle prossime elezioni la scelta sarà tra guerra e pace, possa danneggiare Lai. Durante la sua campagna elettorale, il candidato democratico ha parlato poco delle minacce militari cinesi e, quando l’ha fatto, si è limitato a contestare la linea del Kmt secondo cui il voto è una scelta tra democrazia e autoritarismo. Per rispondere ai timori dei cittadini sul fatto che un altro governo del Dpp potrebbe provocare una reazione violenta di Pechino, Lai ha moderato le sue posizioni a favore dell’indipendenza e ha sottolineato che avrebbe mantenuto la cautela di Tsai nelle relazioni con la Cina.

In merito alle relazioni bilaterali da sempre il Kmt sostiene che si debba mantenere un buon rapporto con la Cina, nella convinzione che sia economicamente e politicamente vantaggioso per l’isola. Questo spiegherebbe perché Hou ha proposto di rilanciare l’Accordo di scambio di servizi tra le due sponde dello stretto, che aveva scatenato un’opposizione culminata nelle proteste del cosiddetto movimento dei girasoli nel 2014.

Ma potrebbe essere difficile far accettare ai cittadini l’idea di relazioni più strette con Pechino, tenuto conto del fatto che oggi meno del 40 per cento dei taiwanesi è a favore del Consenso del 1992, il 20 per cento in meno rispetto al 2019.

I taiwanesi vivono da decenni sotto una costante minaccia militare. Le continue incursioni cinesi nello spazio aereo e marittimo dell’isola sono ormai più un fastidio che sfocia nel risentimento. Quindi la retorica della scelta tra “guerra e pace” non ha grande presa sugli elettori. Questo non significa che i cittadini di Taiwan non si preoccupino della minaccia cinese. Ma i problemi economici – tra cui la stagnazione dei salari, la carenza di alloggi a prezzi accessibili e le scarse prospettive di lavoro – sembrano attirare di più l’attenzione, soprattutto tra i giovani.

Avvertimenti e notizie false

Anche se il “fattore Cina” appare in secondo piano rispetto all’economia, Pechino si è comunque inserita nella campagna elettorale, consapevole del fatto che la vittoria di Lai significherebbe il proseguimento delle rivendicazioni d’indipendenza dell’isola. Nel tentativo di influenzare i risultati del voto, i leader cinesi hanno continuato a esercitare pressioni militari su Taiwan e hanno amplificato l’importanza di scegliere tra “guerra e pace”. A quanto pare Pechino avrebbe diffuso notizie infondate per screditare i candidati del Dpp, e ha imposto nuove misure per mettere in difficoltà l’economia taiwanese. Dopo che Xi Jinping nel discorso di capodanno ha ribadito l’inevitabilità della “riunificazione”, un alto funzionario di Pechino ha avvertito gli elettori dell’isola di fare una “scelta corretta”.

Finora gli sforzi della Cina non sono riusciti a influenzare l’opinione pubblica. Una settimana prima del voto Lai continuava a essere in testa nei sondaggi, con molti punti di vantaggio sui due avversari. In passato le minacce e l’appoggio palese del governo cinese hanno quasi sempre portato a risultati opposti a quelli cercati.

La maggior parte dei taiwanesi non vuole far parte della Cina. La reazione repressiva di Pechino alla richiesta di democrazia dei cittadini di Hong Kong ha ulteriormente allarmato molti abitanti dell’isola. Tutto lascia pensare che i leader cinesi manterranno una linea intransigente nei confronti di Taiwan, e se Lai dovesse vincere il 13 gennaio la storia delle relazioni tese e fredde tra le due sponde dello stretto sotto la guida del Dpp potrebbe ripetersi. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1545 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati