Incisivo, carismatico, energico. Sono questi gli aggettivi che vengono in mente a chi cerca di descrivere il giudice Andreas Müller. Ma lui, un uomo magro di circa sessant’anni, non ha affatto un’aria imponente, anzi. Sorride volentieri, è molto mite e premuroso. La forza e l’energia gli vengono da dentro: sono le sue idee che, evidentemente, vogliono venire fuori a tutti i costi. Giudice del tribunale per i iminorenni di Bernau bei Berlin, una città del Brandeburgo, in Germania, è a favore della legalizzazione della cannabis. Vorrebbe renderla accessibile a tutti. Una posizione poco comune tra i suoi colleghi, in particolare tra quelli che si occupano di ragazze e ragazzi.

Da anni Müller lotta per la sua causa nei dibattiti, sui social network e nei talk show televisivi. La passione e la capacità di argomentare non gli mancano. Così domina le discussioni, come mostrano gli spezzoni delle trasmissioni televisive che si vedono su YouTube. Negli anni ha affinato alla perfezione le sue argomentazioni. “Il proibizionismo non ha mai avuto successo, ha solo favorito la criminalità”, ripete spesso. Questo è uno dei suoi cavalli di battaglia. Quando rinvia a giudizio i fumatori arrestati con una quantità di cannabis superiore a quella consentita, secondo lui, lo stato in realtà crea delle vittime, dei criminali e forse anche dei futuri poveri. In Germania mezzo milione di persone è stato condannato a pene detentive senza la possibilità di accedere alla sospensione della pena. Intere famiglie sono andate in pezzi. Alcune madri si sono ritrovate a denunciare i figli. Nonostante si occupi di minorenni, fa notare Müller, non ha nemmeno la possibilità di parlare apertamente con quelli sotto accusa. Non può chiedergli quanta cannabis consumano e che problemi personali hanno. Perché un ragazzo che confessa e parla francamente in aula rischia di peggiorare la sua situazione.

Müller ha alle spalle molti processi e sa quello che dice. Anche lui da adolescente fumava erba a Meppen, la cittadina della Bassa Sassonia in cui è cresciuto. Suo padre, racconta, era alcolizzato. Il fratello maggiore si drogava, era stato in carcere ed è morto a causa della sua dipendenza. Müller lo aveva aiutato tante volte, come racconta nel suo libro Kiffen und kriminalität. Der jugendrichter zieht bilanz (“Fumo e criminalità. L’opinione di un giudice del tribunale minorile”, Verlag Herder 2015).

In Germania, come in altri paesi, le leggi sulle droghe permettono il consumo privato e il possesso di piccole quantità di cannabis, ma ne vietano il commercio. Questo crea dubbi sulla provenienza e sulla qualità delle sostanze. Müller spera che il governo federale cambi le cose. Oggi spesso finiscono in tribunale gli spacciatori che si trovano in fondo alla piramide criminale, cioè i pesci piccoli che, oltre a vendere la marijuana ne sono dei consumatori. Per questo Müller è a favore dei progetti attuali del governo tedesco, che il 14 aprile ha presentato una proposta per legalizzare la cannabis, consentendo ai cittadini di coltivarla, possederla e consumarla a scopo ricreativo.

Contro il proibizionismo

Siamo a casa del giudice. Un sorso del frullato che gli ha preparato la moglie, un’altra sigaretta e Müller è pronto a confutare qualsiasi argomento dei proibizionisti. La cannabis crea dipendenza? “Questa teoria non è supportata da nessuno scienziato al mondo”, dice. Poi si avvicina a uno scaffale pieno di libri e afferra una copia malconcia di Chasing the scream. The first and last days of the war on drugs (Blooms­bury Usa 2016) del giornalista britannico Johann Hari. Secondo lui quel libro è quasi una bibbia sugli errori commessi dalla politica proibizionista.

In generale, Müller non vede alcuna connessione diretta tra il consumo di cannabis e la dipendenza da cocaina o eroina: probabilmente, se non esistesse la cannabis, i consumatori di droghe pesanti comincerebbero subito con le sostanze più pericolose, spiega. Quello di cui è sicuro è che nelle cliniche per chi ha una dipendenza sono ricoverati in pianta stabile circa 3.700 consumatori di cannabis. Come giudice, per lui sarebbe più facile avvicinarsi a queste persone “senza la spada di Damocle dell’azione penale”.

Müller ovviamente non nega che ci siano ragazzi con “un grosso problema con l’erba”. Se la mattina ci si fa un giro nei pressi delle scuole di Berlino, non si può fare a meno di notare gruppi di due, tre o quattro adolescenti che fumano in cerchio la prima canna del giorno. Il proibizionismo, però, afferma il giudice, impedisce di “trattare apertamente e onestamente la questione con i più giovani”. E aggiunge: “In fondo è per loro che mi batto”. È favorevole a parlare di droga con gli studenti, ma anche di tante altre cose che creano dipendenza, dall’alcol ai video­giochi, fino ai medicinali e allo zucchero. Quindi che si fa? Si affianca all’alcol un’altra droga a prezzi popolari, così che anche chi non beve può regolarmente sballarsi? “Il numero di chi fuma erba non aumenterebbe. Già oggi la cannabis è dappertutto. Però milioni di persone potrebbero scegliere liberamente”, risponde. Müller conosce le teorie di alcuni neurologi che mettono in guardia sugli effetti dannosi della marijuana sul cervello degli adolescenti, che non finisce di svilupparsi all’età di diciotto anni ma a quella di ventuno. “Il consumo prolungato di una sostanza non è mai una cosa buona”, afferma il giudice. “Tuttavia, sono favorevole a liberalizzare la cannabis dai diciotto anni in su, perché i consumatori più giovani sono una minoranza”.

Müller sospetta perfino che nel medio termine la cannabis perderebbe parte del suo fascino sugli adolescenti, perché quello che lui definisce “il gusto del proibito” scomparirebbe. Per questo considera irrilevanti le preoccupazioni dell’Unione europea su un’eventuale depenalizzazione della cannabis, un tema che è attualmente in discussione.

Anche il mercato nero potrebbe perdere attrattiva, una volta diventato meno interessante per ampi gruppi di consumatori. Müller ne è convinto e immagina che in quel caso i minorenni si procurerebbero la cannabis attraverso amici o familiari. A quel punto gli inquirenti riuscirebbero a intraprendere azioni davvero efficaci contro gli spacciatori che vendono droga a ragazzi e ragazze di quindici o sedici anni. Nel perseguire questi criminali “lo stato avrebbe una giustificazione diversa” rispetto a oggi. “Anch’io sarei molto duro con loro”, dice Müller.

Punizioni esemplari

Il suo coraggio e la sua fermezza l’hanno reso famoso. Da giudice del tribunale per i minorenni di Bernau bei Berlin ha preso di mira i gruppi di giovani neonazisti. Le sue punizioni esemplari hanno contribuito a ridimensionare il fenomeno. Per esempio ha condannato ai lavori sociali un quindicenne che aveva fatto il saluto nazista, imponendogli di visitare una moschea e di mangiare con dei ragazzi turchi. Nel 2010 in un’intervista ha dichiarato: “Accarezzare le teste rasate degli skinhead non serve a nulla”. Invece, sempre in quell’intervista, ha raccontato che una volta ha spedito dei neonazisti dall’aula del tribunale direttamente in carcere, e così ha impressionato gli esponenti della destra radicale di Bernau. Ma ne ha pagato le conseguenze. Per giorni è stato sotto la protezione della polizia.

Müller è stato al fianco della giudice del tribunale per i minorenni di Berlino, Kirsten Heisig, morta nel 2010: come lei, pensava che servissero princìpi stabili per trattare con le persone, soprattutto con i criminali. I delinquenti minorenni hanno bisogno di coerenza e devono capire che chi infrange la legge sarà punito. Era una sua convinzione in passato e lo è ancora oggi. Quando Heisig promosse il cosiddetto modello Neukölln, un nuovo approccio ai procedimenti penali che permetteva di consegnare più velocemente alla giustizia i minorenni che infrangevano la legge, Müller era dalla sua parte.

A differenza di Heisig, Müller ha provato anche a scendere in politica: nel 2002 si è presentato come candidato indipendente nella circoscrizione di Barnim al fianco della sinistra per impedire l’elezione a cancelliere del conservatore Edmund Stoiber. Stoiber non è stato eletto. ◆ nv

Biografia

1961 Nasce a Meppen, in Germania, figlio di panettieri. Suo padre soffre di alcolismo.
1981 Prende la maturità presso il Marianum gymnasium di Meppen.
2000 Proibisce ad alcuni neonazisti minorenni d’indossare stivali da combattimento, che classifica come armi, come condizione per ottenere la libertà vigilata.
2015 Pubblica il libro Kiffen und Kriminalität. Der Jugendrichter zieht Bilanz, “Fumo e criminalità. Il bilancio di un giudice del tribunale per i minorenni”.


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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 72. Compra questo numero | Abbonati