06 febbraio 2024 14:47

In un saggio del 1947, “The lost tools of learning” (Gli strumenti perduti dell’apprendimento), la scrittrice britannica Dorothy Sayers notava il paradosso di avere un’alfabetizzazione diffusa e allo stesso tempo assistere al trionfo della propaganda e della pubblicità, all’apparente incapacità del pubblico di distinguere la verità dalla disinformazione e a quello che lei identificava come il più grande fallimento della scuola moderna: “Anche se spesso riusciamo a insegnare ai nostri alunni le ‘materie’, purtroppo falliamo nell’insegnargli a pensare”.

Secondo lei gli educatori dovevano riscoprire l’organizzazione dello studio ispirata al mondo classico e onnipresente nell’Europa del medioevo: il trivium, vale a dire dialettica (cioè la filosofia), grammatica (la lingua latina) e retorica, tre delle sette arti liberali.

Il nome di Sayers ultimamente torna con una certa frequenza nel dibattito sulla scuola negli Stati Uniti, perché viene associato a un movimento in ascesa: l’educazione classica.

Il culto di Donald Trump
In questi anni è rimasto al centro della vita politica statunitense anche grazie al sostegno della destra cristiana, che lo considera un leader benedetto da Dio. La storia di un pastore e di suo figlio mostra come è nata quest’alleanza

La classical education, da non confondere con quello che in inglese è indicato con classics o classical humanities (lo studio dell’antichità greca e latina), insiste sul recupero dei “valori fondamentali” e della tradizione occidentale. Ha cominciato ad attirare interesse negli anni ottanta, ma con la pandemia è diventata una specie di mantra per la destra religiosa e i difensori delle alternative alla scuola pubblica. Programmi per l’istruzione parentale e istituti privati “classici” sono spuntati in tutto il paese.

Nonostante questa popolarità, però, non c’è una definizione univoca di cosa s’intenda con “classico”. In generale – e possiamo parlare solo in generale, perché non esiste un curriculum standard – l’istruzione classica promuove la lettura dei “grandi testi” del passato, l’approfondimento del latino e del greco, e la crescita morale degli studenti attraverso i valori di “verità”, “bellezza” e “bontà”.

Lo stato che ha abbracciato con più convinzione questo programma è forse la Florida. Il suo governatore Ron DeSantis, fino a poche settimane fa candidato alle primarie del Partito repubblicano in vista delle presidenziali, da tempo usa la scuola come terreno di scontro politico. È in prima linea nella crociata contro i libri. Nel 2022 ha firmato la legge conosciuta come Don’t say gay (Non dire gay), che vieta di parlare d’identità di genere e orientamento sessuale nelle classi prima della quarta elementare. Nel 2023 ha approvato una norma che cancella i fondi per corsi sulla diversità, l’uguaglianza e l’inclusione nei college. E poco dopo ha autorizzato l’uso del Classical learning test (Clt) come test alternativo per essere ammessi nelle università pubbliche del paese, una misura che il sito Inside Higher Ed ha definito “controversa”. Quando DeSantis e altri politici repubblicani cercano di spiegare come dev’essere per loro l’istruzione classica, non hanno dubbi: dev’essere come Hillsdale.

Il modello

L’Hillsdale college, una scuola del Michigan con circa 1.600 iscritti, è stato fondato nel 1844 da predicatori evangelici battisti. La sua idea di apprendimento si basa su poche regole ma precise: la devozione al canone occidentale, l’enfasi sulle fonti più che sulla riflessione accademica e l’impegno a preparare gli studenti a essere cittadini “che amano le cose giuste”, ovvero “il vero, il buono e il bello”.

Il principale artefice del successo di questa scuola è il suo rettore, Larry Arnn. In un intervento pubblico alla fine del 2022, Arnn ha descritto l’istruzione come un campo di battaglia culturale, sostenendo che le scuole pubbliche avevano ormai “come scopo quello di soppiantare la famiglia e controllare i genitori”.

Il college rifiuta qualsiasi finanziamento pubblico, compresi gli aiuti federali agli studenti, per non dover rispettare leggi come il Titolo IX, che vieta la discriminazione sessuale nell’istruzione superiore. Ma i soldi non gli mancano. Il New Yorker scrive che tra il 2000, quando Arnn è entrato in carica, e il 2021, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati finanziari, le entrate annuali di Hillsdale sono aumentate di sette volte, eguagliando quelle di alcune università d’élite. Un aiuto importante arriva dai corsi online e dalla rivista mensile del college, Imprimis, che conta più di sei milioni di abbonati, cioè circa il doppio di quelli del Washington Post, uno dei quotidiani più importanti del paese. Diversi ex alunni pensano che negli ultimi anni Hillsdale abbia esaltato la sua identità religiosa per attirare altri donatori.

La parola “conservatore” non compare nella brochure della scuola, che si descrive semplicemente come un “piccolo istituto, cristiano, classico, di arti liberali”. Eppure i legami con la politica repubblicana sono innegabili. Da cinquant’anni il college ha una sede anche nella capitale, Washington, dove tengono le loro lezioni Michael Anton, ex funzionario della Casa Bianca noto per un saggio in cui sosteneva che votare per Donald Trump era l’unico modo per salvare l’America dalla rovina, e David Azerrad, per cui gli Stati Uniti sono governati dal “privilegio nero”. Quando nel 2020 Trump ha costituito la Commissione 1776, in risposta alla teoria critica della razza e al progetto 1619 del New York Times, ha chiesto ad Arnn di presiederla.

Hillsdale fa proselitismo per la destra anche in altri modi. Da circa dieci anni rende disponibili online programmi e materiali educativi per le scuole primarie e secondarie, organizza corsi di formazione estivi per insegnanti e offre consulenze con il personale del college. Quasi tutte queste risorse sono gratuite.

Ai maestri delle elementari si consiglia, per esempio, di spiegare agli alunni che “l’America è ed è sempre stata una terra di immigrati”, compresi quelli “chiamati popoli indigeni o nativi’’, che “probabilmente arrivarono dall’Asia nordorientale’’. Nel materiale per le scuole secondarie il razzismo sistemico è ridotto a una serie di “atti volontari compiuti da singole persone”.

Ma, nonostante queste storture, è sbagliato credere che l’educazione classica sia appannaggio di famiglie bianche, agiate e nazionaliste, osserva Tablet, una rivista ebraica di orientamento conservatore. La presidente del test Clt, Angel Adams Parham, insegna sociologia all’università della Virginia, è afroamericana e ha contribuito a far nascere un’associazione che propone attività di doposcuola “classiche” in un quartiere di New Orleans a maggioranza nera dove circa un terzo dei residenti vive sotto la soglia di povertà. In Texas i nuovi iscritti a scuole d’ispirazione classica sono soprattutto ragazzi e ragazze di origine asiatica e ispanica. Nei centri Brilla a New York e nel New Jersey il 74 per cento degli alunni è di origine ispanica, il 24 per cento è afroamericano e il 91 per cento proviene da famiglie a basso reddito.

Per questo bisogna parlare di educazione classica anche a sinistra, scrive il giornale New Republic. “La prospettiva di un’istruzione religiosa finanziata con fondi pubblici non è il massimo, ed è comprensibile che i progressisti e i moderati siano tentati di respingere il movimento in toto. Nelle sue espressioni peggiori l’educazione classica esprime un progetto reazionario, razzista e chiuso. Ma bisogna ammettere che chi la difende identifica dei problemi reali. I conservatori hanno ragione a voler ripensare il rapporto tra scuola e cittadinanza, e tra istruzione secondaria e università”. Spesso, continua l’articolo, “gli insegnanti si muovono come se stessero salvando gli studenti dalla scuola, piuttosto che costruire a partire da quello che la scuola offre. L’‘educazione classica’ li aiuta ad allontanarsi da programmi sterili e poco stimolanti”. Naturalmente, “sostituire una forma di cieca adesione a un modello con un’altra – rimpiazzare cioè curricula poco interessanti con una lista circoscritta di libri benedetti dalla destra cristiana – non è la risposta. E ci sono organizzazioni come Diverse books e #DisruptTexts che sperimentano altre strade, promuovendo contenuti aggiornati e inclusivi. Ma rinunciando ai libri più vecchi in nome del progresso si rischia l’amnesia culturale”. In altre parole, si smette di pensare.

Questo testo è tratto dalla newsletter Doposcuola.

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