Come insegno quello che insegno? La domanda se la fa spesso e con continui aggiustamenti chi insegna nelle scuole dell’infanzia ed elementari, è più rara nelle scuole medie, diventa rarissima nei licei, sparisce in generale quasi del tutto nelle università.

Ragioni ci sono: mentre è ragionevole confrontare come si insegna a scrivere, leggere, far di conto, l’enorme dispersione delle materie universitarie rende difficile fare confronti. Ma questo non dovrebbe comportare sordità alla didattica. Il problema c’è e, come ha segnalato Osecoweb, la Commissione europea ha fatto bene a porlo, anche se forse non ha imboccato la strada migliore per affrontarlo affidando la questione a un “gruppo di alto livello” di otto persone, prevalentemente politici, manager e burocrati.

Il fatto è che un po’ dappertutto i professori universitari sono scelti, bene o male, correttamente o no, in ragione del loro sapere e della qualità dei loro studi. E si ritiene una conseguenza banale che sappiano mettere questo sapere a disposizione degli studenti in modo che lo acquisiscano. Si accetta che si possano leggere e discutere anche aspramente le ricerche di colleghi, ma in genere si considera un’ingerenza indebita, perfino intollerabile, che si cerchi di capire in che modo un collega insegna e valuta. Nelle università la didattica effettiva è un affare tutelato dai garanti della privacy. Forse i mooc (

massive open online courses) e Iversity aiuteranno.

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