Quando un leader politico smette di suscitare rabbia e diventa bersaglio di scherno e quando, specialmente nei paesi piccoli, i suoi problemi cominciano ad attirare l’attenzione della stampa estera, di solito vuol dire che è in corso una grave crisi. A giudicare da questi due campanelli d’allarme, si può concludere che Boris Johnson non rimarrà alla guida del governo del Regno Unito ancora a lungo. Accusato di aver organizzato delle feste con i suoi collaboratori durante il lockdown di due anni fa (il cosiddetto partygate), alla camera dei comuni Johnson si è difeso dicendo che il 20 maggio 2020, entrando nel giardino di Downing street e trovando un gruppo di persone che si godevano la bella giornata mangiando e bevendo alcolici, aveva pensato che si trattasse di “una riunione di lavoro”. Il leader dell’opposizione laburista, Keir Starmer, non si è lasciato sfuggire l’occasione per infierire, ironizzando sull’assurdità di un primo ministro che ha fama di essere un viveur, ma non sa riconoscere una festa.

Un tempo Johnson era un personaggio divertente nel senso buono del termine, ma oggi i suoi atteggiamenti da buffone creano solo imbarazzo. I suoi discorsi assurdi e campati in aria non hanno accresciuto la sua autorità morale e non hanno certo dato l’impressione che il primo ministro sia un leader serio, adatto ai tempi difficili che viviamo. Molte famiglie britanniche sentono che da troppo tempo Johnson non capisce le loro sofferenze.

Le perplessità nei suoi confronti hanno varcato anche i confini nazionali. Il settimanale New Yorker, per citare un esempio, ha pubblicato un articolo in cui accusa Johnson di aver trasformato la residenza di Downing street in un moderno speak­easy (i bar illegali diffusi negli anni del proibizionismo) durante la pandemia: “Il primo ministro è stato investito da uno scandalo che ha coinvolto alcuni funzionari del governo, accusati di essersela spassata mentre imponevano al resto della popolazione pesanti misure restrittive”.

In questa situazione non ci si deve lasciar ingannare dalle scontate attestazioni di lealtà da parte della maggioranza dei ministri. In politica non c’è spazio per la sincerità. Piuttosto va sottolineato che queste dichiarazioni sono subito apparse insincere e forzate. Il ministro dell’economia Rishi Sunak, per esempio, non ha partecipato alla sessione di domande al primo ministro del 13 gennaio, in cui si è discusso del partygate, e il suo impegno a sostenere l’esecutivo è stato decisamente poco convincente.

I politici che hanno difeso Johnson in modo più esplicito sono quelli che hanno più da perdere da un cambiamento al vertice, a cominciare dalla ministra dell’interno Priti Patel e dal ministro per i rapporti con il parlamento Jacob Rees-Mogg. Quest’ultimo ha anche criticato il leader dei conservatori scozzesi, Douglas Ross, per aver chiesto le dimissioni di Johnson e per aver apertamente detto quello che molti nel partito pensano ma preferiscono non dichiarare pubblicamente. Tra i sostenitori della Brexit ci sono stati altri silenzi molto eloquenti.

Da sapere
Strategie di sopravvivenza

◆ Riuscirà Boris Johnson a salvare il suo posto da primo ministro? Il governo è fiducioso: la strategia prevede l’impegno ad abolire il canone della Bbc, l’affidamento ai militari del controllo del canale della Manica per evitare l’ingresso dei migranti e l’accusa al leader laburista Keir Starmer di aver mangiato e bevuto birra nel suo ufficio durante il lockdown. Tolte le accuse a Starmer (più o meno a tutti è capitato di fare quello che ha fatto lui), le prime due promesse sono particolarmente rischiose. Sulla questione della Manica il governo sta riproponendo un metodo vecchio e sbagliato: gestione dei migranti fuori dai confini nazionali e controlli muscolari ma disorganizzati. Per quanto riguarda invece la Bbc, esporsi alle critiche dei suoi giornalisti, considerati glorie nazionali e senza affiliazione politica, servirà davvero a rivitalizzare il governo? O aprirà un nuovo fronte di scontro per un premier già molto indebolito? The New Statesman


La debolezza degli avversari

A Johnson non mancano amici e alleati, ma in questo momento nessuno si sta mobilitando per difenderlo. Molti dei parlamentari di secondo piano che sostengono il primo ministro sembrano intenzionati ad aspettare le conclusioni dell’inchiesta sul partygate condotta da Sue Gray o di concedere a Johnson altri sei mesi di tempo. Non è certo la situazione ideale per guidare il Partito conservatore e il paese. Insomma, oggi nel Regno Unito si respira odore di marcio, e il tanfo era già presente prima della vicenda delle feste.

Da quando, nell’estate del 2020, il suo consigliere Dominic Cummings è stato travolto dallo scandalo per una serie di violazioni del lockdown, Johnson è passato da una crisi all’altra. La sua credibilità e quella del Partito conservatore sono state intaccate dall’aumento del costo del vita, da nuovi scandali, dalla crisi dei rifugiati e da altri incidenti come il cosiddetto discorso di Peppa Pig, la sconclusionata e bizzarra orazione pronunciata a fine novembre 2021 davanti agli imprenditori britannici. Nel governo non mancano le voci critiche, preoccupate per la deriva presa dal premier, per i problemi legati alla Brexit (soprattutto le questioni della pesca e del confine commerciale con l’Irlanda del Nord), per il cosiddetto piano b della lotta al covid, per l’aumento delle tasse e per la realizzazione del programma di azzeramento delle emissioni di anidride carbonica.

Più di ogni altra cosa, però, i conservatori temono la crescita dell’opposizione. La sconfitta alle ultime elezioni suppletive e il crollo del 10 per cento nei sondaggi fanno capire a parlamentari e ministri tory quanto oggi siano fosche le prospettive sotto la guida di Johnson.

Com’è già successo in passato ad altri politici in difficoltà, Johnson ha ancora un vantaggio: i suoi nemici sono divisi e non è emerso chiaramente un possibile sostituto. A differenza del 2019, quando l’allora premier Theresa May fu destituita dallo stesso Johnson, oggi non c’è un favorito alla successione. Se il primo ministro fosse oggetto di una mozione di sfiducia, i conservatori dovrebbero affrontare una battaglia per la leadership caotica e forse controproducente, per di più senza elezioni in vista. E alla fine rischierebbero di scegliere un leader con molti dei difetti di Johnson, ma senza il suo talento politico. La verità è che Johnson è uno dei punti deboli del partito, ma non è l’unico. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1444 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati