L’immagine può essere quadrata, ma anche rettangolare o panoramica. Dipende. Dal momento, dall’ispirazione, dal desiderio, da qualcosa che il fotografo ha visto e inserito armoniosamente nel formato scelto. Il formato quindi può essere diverso, ma la foto sarà sempre in bianco e nero. E a stamparla sarà lo stesso Pentti Sammallahti. Questo grande viaggiatore finlandese ha girato il mondo dall’India alla Russia, ha detto di sé: “Forse il momento in cui mi sento più felice è quando mi ritiro nella mia minuscola grotta spoglia, piena dell’odore dei prodotti chimici, e sotto la luce rossa agito una bacinella in cui si intravedono le immagini, mentre ascolto la musica dell’acqua che scorre”.

Da sapere
Il libro

Me kaksi (Noi due) raccoglie 106 fotografie iconiche o inedite di Pentti Sammallahti, scattate in più di quarant’anni di viaggi in tutto il mondo. Che si tratti di amanti, amici, bambini, passanti, viaggiatori, ma anche di uccelli, il libro celebra l’incontro fortuito e a volte bizzarro di due esseri nel mondo. Testo in inglese o in francese di Marie Lundquist, con una poesia di Aaro Hellaakoski. Editions Xavier Barral, 42 euro.


Lo si avverte nella delicatezza delle sue piccole stampe, di una varietà infinita di grigi, dolci, che si strutturano attorno a dei neri e dei bianchi veri, in armonia e perfetta coerenza con il genere di composizione che guida lo scatto. Perché se è vero che non ubbidiscono ad alcun formalismo, tutte le sue fotografie sono piccoli miracoli di equilibrio e composizione.

Forse c’è stata una forte tempesta e un grosso ramo si è spezzato ma, cadendo, si è incastrato fra il tronco e un altro ramo. Resta lì, immobile, assumendo la forma di una croce mentre due uccelli, come per gioco, si posano sulle due estremità, dando l’illusione di essere loro a mantenere il tutto in equilibrio. Anche in un’altra storia due uccelli (sono elementi così ricorrenti che viene da pensare che Sammallahti li addomestichi). In questo caso sono indubbiamente dei corvi, che si sono dati appuntamento ai due lati di un triangolo di un bianco immacolato, in cui si staglia perfettamente il nero del loro piumaggio. Una costruzione dello spazio ritmata da un sorriso lieve, un’immagine leggera e musicale, che allo stesso tempo meraviglia e si meraviglia.

Storia di incontri

Potremmo citare decine di foto di questo autore inclassificabile. Nato a Helsinki nel 1950, all’età di nove anni, con il padre visitò la grande mostra The family of man, ideata da Edward Steichen per il Moma di New York, e in seguito esposta in tutto il mondo. Fu allora che decise che da grande avrebbe fatto il fotografo. Come racconta lui stesso, però, le immagini gli erano familiari: “Da bambino ero circondato da immagini. Mio padre aveva avuto una formazione artistica, anche se si guadagnava da vivere facendo l’orafo, e ha continuato a dipingere, disegnare e scolpire per tutta la vita. Mia madre aveva fatto la fotografa in Lapponia, ma purtroppo quando si è sposata ha dovuto smettere. Le sue stampe 18×24 di paesaggi e personaggi erano di una bellezza incredibile e mi hanno ispirato”.

Ciascuna delle miniature di Pentti Sammallahti, che detesta i grandi formati, è a suo modo una storia. Ma una storia misteriosa, di cui non si conosce né l’inizio né la fine, una storia di incontri, di corrispondenze, di combinazioni guidate e rese possibili dal caso. Le forme, il dialogo tra loro, il modo in cui modellano e modificano lo spazio sono il motore di questa poesia leggera e avvincente, che cattura subito perché è inafferrabile e governata solo da una specie di magia. E anche da un’immensa libertà, che consente di non usare un solo tipo di macchina fotografica e partire per un viaggio la cui unica destinazione è la scoperta, mantenendo semplicemente all’erta, nella speranza che il caso faccia le cose per bene e che il fotografo sia in grado di catturarle. Forse è così per via di un legame con studi eclettici di storia dell’arte, musicologia e matematica, abbandonati senza una laurea e senza rimpianti.

Il viaggiatore cerca di mantenere viva la sua meraviglia per condividere con noi le sue sorprese, ma nella sua relazione con il viaggio si è progressivamente staccato da qualsiasi metodo: “Comincio a fotografare appena arrivo in un luogo sconosciuto, poco importa quanto sono confuso. A mio parere, un fotografo non ha bisogno di conoscere il suo oggetto prima di immortalarlo. Da giovane provavo a documentarmi con attenzione su ogni nuova meta. Poi ho capito che l’immagine diventa molto più interessante se si familiarizza con l’oggetto mentre lo si guarda. I fatti sono secondari. Il mondo mi affascina e il mio spirito viaggia costantemente”.

“La fugacità della vita”, continua, “accresce spesso l’importanza e il valore di una foto: il mondo cambia ma l’immagine resta. Quasi mai rimpiango i tempi andati, ma da fotografo sono forse un po’ nostalgico. Un grande compositore finlandese moderno, Aarre Merikanto, ha detto una volta che tutta l’arte è nostalgia. È impossibile dire quali siano stati il viaggio o la destinazione più indimenticabili. La Siberia, con la sua sconfinata immensità, è stata memorabile tanto quanto guardare il gioco dei corvi nel mio giardino”.

Quest’uomo saggio è anche un grande amante dei libri, che compone con precisione e che pubblica da solo in tiratura limitata, un perfetto artigiano in questo come in tutto il resto. Senza alcuna pretesa, ma con un amore profondo per il lavoro fatto bene. Preferisce anche in questo caso il piccolo formato, come per le stampe che, nelle mostre, ama accumulare, facendole dialogare tra loro e tessendo delle piccole note.

In questa leggerezza, in questa capacità di fare collegamenti che non ignora l’umorismo, c’è qualcosa che ricorda l’haiku. Un modo di andare al dunque mantenendo il mistero, di essere poeta senza mai appesantire né esplicitare nulla.

È sicuramente questo ad aver sedotto Henri Cartier-Bresson che, pur non essendo affatto un collezionista, una volta ha comprato una stampa di Pentti Sammallahti senza sapere chi fosse. Condividono la stessa ammirazione per alcuni artisti: “Paul Strand, André Kertész e Josef Koudelka hanno lavorato in modo molto diverso, ma mi sembra che abbiano capito la fotografia e la vita. Le più grandi esperienze sono poi state la pittura italiana del quindicesimo secolo, soprattutto quella di Beato Angelico. Anche il lavoro di Pieter Bruegel e naturalmente le prime acqueforti di Rembrandt”, dice Sammallahti.

Per questo Cartier-Bresson nel 2003, al momento di inaugurare la sua fondazione e mettere bene in chiaro che non era un monumento alla sua gloria, ha organizzato una mostra presentata come il frutto di una sua selezione.

Fra le ottantatré immagini scelte c’era una foto panoramica di Pentti Sammallahti, un formato mai utilizzato dall’autore di Images à la sauvette, incurabile sostenitore della Leica. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1448 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati