“Perché c’innamoriamo di qualcuno? Quali sono le chiavi nascoste, quelle zone segrete e inaccessibili a noi stessi, i recettori che si accendono?”. Le pianure dell’argentino Federico Falco è un romanzo di bellezza sottile e potente. I ricordi di Ciro – l’amore perduto di Federico, protagonista che ha lo stesso nome dell’autore – lo assalgono all’improvviso, a volte cogliendolo alla sprovvista: sono lampi che piombano su di lui in mezzo alla solitudine, mentre cerca di sviscerare le ragioni della separazione e si chiede cosa ne sarà di lui. In questo viaggio doloroso, mentre coltiva l’orto di una casa di campagna nel paese di Zapiola – la storia comincia in estate e culmina in primavera –, il protagonista ripercorre la propria storia e quella della sua famiglia. A volte gli sembra di capire tutto quello che è successo, ma gli fa ancora male fisicamente: qualcosa si spezza o si secca, come nell’orto a cui ha deciso di dedicarsi, in cui la natura sembra ricordargli che la vita impone i propri cicli. Altre volte ciò che lo assale sono ricordi felici, che lo trasportano in un altro tempo: con Ciro sono anche cresciuti insieme, si sono tenuti compagnia. Cosa ne sarà delle loro vite, torneranno a com’erano prima, come se non si fossero mai incrociati? Il protagonista non lo sa. Intorno a lui crescono verdure e piante, anche se a volte la maturazione si ferma o ristagna, o è attaccata da parassiti, formiche, insetti. È il giardino che ha creato per tornare da qualche parte, anche se a volte non sembra avere un posto in cui tornare.
Verónica Abdala, Clarín

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Questo articolo è uscito sul numero 1452 di Internazionale, a pagina 82. Compra questo numero | Abbonati