Ho scoperto i Måneskin nel 2021 mentre guardavo insieme a degli amici l’Eurovision. Nessuno intorno a me riusciva a capire perché una band vestita in pelle, che suonava un pezzo che ricordava i Rage Against the Machine adattati a una pubblicità della Chevrolet, avesse conquistato il primo premio. Chiaramente la band aveva acceso la passione di una parte del pubblico, il tipo di passione che converte gli ascoltatori in persone che fanno proseliti. Quel fuoco può essere fatto risalire al loro paese d’origine, l’Italia, dove nel 2017 questo ex quartetto di artisti di strada adolescenti è arrivato secondo a X Factor. Dopo la vittoria dell’Eurovision, la band è diventata un’attrazione mondiale. L’ascesa di una rock band con la r maiuscola in un’era dominata dall’hip hop e dal pop elettronico solleva una domanda: la popolarità dei Måneskin è un caso o è un segno di un cambiamento più profondo? Rush!, il primo album in gran parte in inglese dei Måneskin, conferma che il fascino della band non risiede nella musica. Le canzoni dei Måneskin sono così chiaramente riciclate, così sfacciatamente mediocri, che l’idea del gruppo che accende una guerra culturale tra rock e pop – e con essa, stereotipi su realtà e falsità – sembra nella migliore delle ipotesi tragica. Allora perché i Måne­skin sono esplosi? “Sono un fenomeno televisivo”, ha spiegato nel 2021 al New York Times il giornalista italiano Andrea Andrei, e la diagnosi sembra giusta.
Spencer Kornhaber, The Atlantic

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Questo articolo è uscito sul numero 1496 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati