Babylon, esordio di Alejandro Varela, è ambientato in un sobborgo immaginario di quella che potrebbe essere New York, Filadelfia o un’altra grande città. Professore universitario in città, il protagonista Andrés è tornato a Babilonia per aiutare il padre malato e la madre badante. I suoi genitori, immigrati da El Salvador e dalla Colombia, si sono stabiliti in città per crescere Andrés e suo fratello maggiore, Henry. Il disprezzo di Andrés per la vita suburbana è evidente fin dall’inizio. Controvoglia, decide di partecipare alla riunione dei compagni di liceo. È in questi primi capitoli che Varela analizza l’esperienza suburbana come un macellaio esperto che smonta una carcassa. I ritratti dei genitori e del fratello di Andrés danno a Varela la possibilità di esplorare il peso psicologico e fisico della vita di periferia. Le crepe nelle fondamenta del romanzo cominciano a manifestarsi quando ci allontaniamo dalla riunione con la famiglia. Andrés è freneticamente nevrotico, uno stato che si riflette nella struttura del libro. Ci sono numerose sottotrame: un ex compagno di classe è sospettato di un omicidio a sfondo omofobico e un’altra, Simone, è ricoverata in un ospedale psichiatrico. È come se ci fossero troppi libri infilati in uno zaino.
Carr Harkrader, Washington Independent

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Questo articolo è uscito sul numero 1514 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati