L’isola della nostalgia parla di lutti complicati e di conseguenze irrisolte: come si fa a raccogliere i pezzi dopo che è successo il peggio? Nelle pagine iniziali incontriamo Rosie Driscoll, “madre affranta di una bambina scomparsa, Saoirse, la sua primogenita, sparita davanti alla loro casa di Dublino otto anni prima”. L’isola della nostalgia non è però un romanzo giallo. Nella prima metà del libro, Griffin si concentra sulla storia di Rosie, nativa dell’isola immaginaria di Roaring Bay, sulla sua infanzia con un padre che guida il traghetto e su come, dopo aver studiato per ottenere il brevetto di capitana, Rosie lavori su quel traghetto, fino a quando non incontra suo marito Hugh e si trasferisce a Dublino. Scopriamo il lavoro di Rosie al porto di Dun Laoghaire, la sua vita coniugale come madre di due bambini e il suo recente ritorno a Roaring Bay. E tra la vita e la morte, come nel mito greco, perché a bordo dell’Aoibhneas Rosie si sente più vicina alla figlia. Griffin ritarda a rivelare le circostanze della scomparsa di Saoirse e, per gran parte del romanzo, vi fa riferimento solo attraverso degli accenni. Circa a metà finalmente conosciamo i dettagli importanti dal punto di vista di Rosie. Tempi. Luoghi. Testimoni. Le ricerche inutili. Il quotidiano della paura. La convinzione delirante che Saoirse possa essere ancora viva. Griffin naviga abilmente oltre l’intorpidimento di Rosie verso un granello di speranza all’orizzonte.
Catherine Kirwan, Irish Examiner

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Questo articolo è uscito sul numero 1514 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati