Lola Lafon ha voluto chiudersi in un piccolo appartamento vuoto ad Amsterdam. Una sorta di prigione, dietro al numero 263 di Prinsengracht. Fu qui, nelle stanze anguste di un edificio vicino, che Anne Frank visse nascosta con la sua famiglia e quattro amici dal luglio del 1942. Qui scrisse il suo diario. Qui fu arrestata il 4 agosto del 1944, prima di essere deportata ad Auschwitz e poi a Bergen-Belsen. Niente da vedere, o ben poco, in questo appartamento segreto. Un rettangolo di carta da parati, qualche ritratto sul muro, tutto qui. Otto Frank, al suo ritorno da Auschwitz nel 1945, trovò il nascondiglio devastato dai nazisti. E quando si parlò di trasformarlo in un museo, nel 1960, il padre di Anne e Margot Frank pretese che l’appartamento rimanesse in quello stato. “Siamo testimoni del vuoto, senza potergli sfuggire; affrontiamolo”, dice Lola Lafon. “Quindi, uscendo da lì, non potremo dire: in quella piccola depandance non ho visto nulla. Diremo: non c’è nulla e io ho visto questo nulla”. Quando ascolterai questa canzone è la storia inquietante e avvincente di questo formidabile confronto. Dieci ore trascorse da sola dall’autrice, il 18 agosto 2021, in quei 40 metri quadrati, il più vuoto di tutti i musei. Le regole fissate all’ingresso sono rigide: niente foto, niente bere o mangiare, ma nemmeno appendere la borsa alla maniglia della porta. Come un’eco dei vincoli imposti alla famiglia Frank. Per venticinque mesi gli otto abitanti nascosti nel cuore della città che li perseguitava rimasero in silenzio. E l’autrice, nella solitudine glaciale di quell’appartamento ritrova la sua stessa storia familiare.
Denis Cosnard, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1548 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati