Nel delicato panorama politico dello spazio ex sovietico rischia di aprirsi un nuovo fronte di crisi dopo quello ucraino. Il 28 febbraio la piccola repubblica separatista filorussa della Transnistria, formalmente parte della Moldova, ha chiesto a Mosca di proteggerla dalle “crescenti pressioni” del governo europeista della Moldova, paese in maggioranza romenofono. La risoluzione è stata approvata durante un incontro straordinario di tutti i deputati della repubblica filorussa, il cui presidente, Vadim Krasnoselskij, ha addirittura accusato Chișinău di “genocidio” contro i 220mila cittadini russi della Transnistria. Accuse che, scrive Meduza, ricordano le giustificazioni usate da Mosca per l’intervento in Donbass nel 2014 e per l’invasione dell’Ucraina nel 2022. La Moldova ha liquidato le dichiarazioni di Tiraspol come un “gesto di propaganda”, accusando Krasnoselskij di voler “alimentare l’isteria”. Il parlamento russo ha invece ribadito che “la difesa dei compatrioti della Transnistria” è tra le sue priorità, mentre nell’annuale discorso alla nazione del 29 febbraio, in cui non sono mancate le minacce all’occidente, il presidente Putin non ha fatto cenno alla vicenda. Come spiega Deutsche Welle, le pressioni di cui parlano i separatisti si riducono alla decisione di Chișinău d’imporre dazi doganali sulle merci importate dai loro territori.
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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati