Mentre al Cairo si trascinano i colloqui per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas in vista dell’inizio del Ramadan (10 marzo) – che potrebbe prevedere una pausa dei combattimenti di sei settimane e il rilascio di ostaggi israeliani in cambio di detenuti palestinesi – continuano a moltiplicarsi le manifestazioni di protesta contro la campagna militare israeliana nella Striscia di Gaza. Dal 7 ottobre 2023, giorno degli attacchi coordinati del gruppo palestinese Hamas in Israele, i bombardamenti e gli attacchi israeliani sulla Striscia hanno causato più di 30.700 morti e 72mila feriti, secondo il bilancio del ministero della salute di Gaza. I morti israeliani sono stati 1.410.

“Il 2 marzo milioni di persone in tutto il mondo, in molti casi sotto la pioggia battente, sono scese in piazza per dimostrare il loro sostegno agli abitanti di Gaza, mentre si avvicina la scadenza dell’ultimatum lanciato da Israele per l’invasione della città di Rafah, nel sud dell’enclave”, scrive The New Arab. “A quella che gli organizzatori hanno chiamato Giornata d’azione globale o, per la precisione, ‘Giù le mani da Rafah’ hanno partecipato gli abitanti di centinaia di città, da Seattle a Seoul”. Tra i manifestanti intervistati dal quotidiano panarabo, alcuni hanno criticato gli Stati Uniti, da sempre stretti alleati del governo di Tel Aviv, definendoli “parte del problema”.

Le recenti visite a Washington e a Londra di Benny Gantz – il principale oppositore del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, componente del gabinetto di guerra israeliano e possibile prossimo primo ministro – sono un possibile segno della frustrazione dei governi occidentali nei confronti di Netanyahu e del suo governo di estrema destra, scrive Al Jazeera. Gantz, considerato più moderato di Netanyahu, ha comunque ricevuto dai rappresentanti dell’amministrazione statunitense “messaggi duri e molto critici sulla situazione umanitaria a Gaza”.

Secondo l’opinionista Said al Shaabi, del quotidiano panarabo Al Quds al Arabi, è importante osservare che “la causa palestinese ha conquistato l’opinione pubblica dei paesi occidentali, mettendo in imbarazzo i rispettivi governi”. “Gli occidentali sono sempre stati orgogliosi della libertà di espressione”, scrive Al Shaabi. “Tuttavia, questa libertà è stata messa a dura prova dalla guerra a Gaza, dal momento che i principali mezzi d’informazione sono stati restii a mostrare le sofferenze dei palestinesi. Invece sui social network, gli attivisti di Gaza hanno svolto un ruolo molto importante nel diffondere le immagini dell’aggressione israeliana, contribuendo a creare una nuova consapevolezza, che è sfociata nelle grandi manifestazioni degli ultimi mesi”. Queste reazioni stanno mettendo in imbarazzo i governi, che da decenni cercano d’ignorare le pratiche dell’occupazione, conclude Al Shaabi.

A colpire molto l’opinione pubblica dei paesi arabi è stato, invece, il gesto del pilota militare statunitense Aaron Bushnell, 25 anni, che il 25 febbraio si è ucciso dandosi fuoco davanti all’ambasciata israeliana a Washington, al grido di “Palestina libera”. “La morte di un soldato statunitense nel suo paese è sufficiente a raccontare la follia del mondo in cui viviamo”, scrive Basel Amin su Daraj. Bushnell, scrive il commentatore libanese, avrebbe potuto vivere tranquillamente la sua vita, a patto di sopportare il senso di colpa per quello che definiva un “genocidio dei palestinesi”. Ma ha scelto di compiere un gesto drammatico. “Doveva essere un vero pazzo per rifiutare quello che fanno gli Stati Uniti. Ma cos’è veramente la follia?”, si chiede Amin. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 21. Compra questo numero | Abbonati