In questo momento niente sembra avere un’evoluzione positiva: né la situazione sul terreno né il negoziato per un cessate il fuoco né la ricerca di un consenso internazionale che ponga fine all’inumana punizione militare imposta da Israele a Gaza da sei mesi né la trattativa per la liberazione degli ostaggi. L’annuncio dell’ingresso dell’esercito israeliano a Rafah, lo stallo nelle trattative tra Israele e Hamas e il veto imposto dagli Stati Uniti al riconoscimento della Palestina come membro a pieno titolo delle Nazioni Unite sono dimostrazioni del fatto che l’offensiva nella Striscia, dopo aver causato più di 34mila vittime, è ancora lontana dal finire.

Rafah, che si trova nel sud, vicino alla frontiera con l’Egitto, è l’unica città in cui l’esercito israeliano non è ancora entrato, anche se l’ha bombardata e ha fatto varie incursioni. Lì sono ammassati 1,4 milioni di persone, su 2,2 milioni di abitanti della Striscia. In gran parte sono rifugiati venuti dal nord, non hanno più una casa e devono affrontare la fame, la mancanza d’acqua e di medicine. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ritiene che la conquista di Rafah sia una tappa fondamentale della sua strategia per sconfiggere Hamas, ma nessuno può ignorare le dimensioni della tragedia che potrebbe causare. Netanyahu ha ricevuto vari avvertimenti contro l’operazione, anche dagli Stati Uniti, il suo principale alleato. Tuttavia i preparativi militari sono una prova inquietante della sua determinazione. Nella guerra di Gaza Netanyahu ha dimostrato tutto il suo disprezzo per la moderazione, per il dolore inflitto ai civili palestinesi e per le migliaia di israeliani che chiedono un cessate il fuoco in modo da ottenere la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

L’Unione europea ha inasprito i toni con Israele, spingendo per una tregua immediata e approvando le prime sanzioni contro i coloni ebrei della Cisgiordania che hanno commesso “gravi violazioni dei diritti umani nei confronti dei palestinesi”. Ma il veto statunitense al Consiglio di sicurezza complica le condizioni diplomatiche necessarie per negoziare la fine del conflitto. Washington si giustifica sostenendo di preferire un accordo preliminare tra israeliani e palestinesi, ma questa posizione non fa che dare ossigeno alla strategia distruttiva di Netanyahu. La situazione a Gaza è insostenibile. La comunità internazionale ha la responsabilità di mettere pressione perché, almeno, si cominci a mostrare un po’ di umanità. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1560 di Internazionale, a pagina 15. Compra questo numero | Abbonati