Se siamo fortunati e viviamo abbastanza a lungo, creiamo bellissimi ricordi che si deformano e, alla fine, svaniscono completamente. Con Vėjula i Merope, il progetto folk sperimentale lituano-belga guidato dai polistrumentisti Indrė Jurgelevičiūtė e Bert Cools, fanno leva su questa bella devastazione. Il duo si avvicina a ogni suono con curiosità, arrangiando le canzoni con la cura di chi progetta una scatola d’ombre. Vėjula è il quinto album dei Merope, ma il primo ad abbracciare pienamente le loro inclinazioni new age. Jurgelevičiūtė e Cools hanno realizzato la gran parte di Vėjula da soli, ma hanno invitato collaboratori come Shahzad Ismaily, Laraaji e Bill Frisell. Gli elementi costitutivi di ogni composizione dei Merope sono la voce di Jurgelevičiūtė e il kanklės, uno strumento a corde lituano tradizionalmente associato alla protezione dalla morte e dagli spiriti maligni. Si è tentati di etichettare l’eleganza di Vėjula come musica ambient, ma sarebbe un cattivo servizio al modo in cui queste canzoni si sviluppano. L’album non è pensato per rimanere sullo sfondo, c’è troppo movimento e gli arrangiamenti sono troppo irrequieti. Namopi, in cui spicca la cetra elettronica di Laraaji, si apre lentamente in una scintillante cascata di suoni. Quando dopo circa tre minuti tutti gli elementi si spengono, è come quando s’incontra il primo semaforo dopo un lungo viaggio in auto. Ogni brano di Vėjula offre una possibilità di trascendenza, anche se solo per un momento. Perfino gli scorci più rapidi sull’aldilà sono rivelatori. Questo è un disco denso, ma gradito e necessario.
Dash Lewis, Pitchfork

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Questo articolo è uscito sul numero 1593 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati