La jeep percorre una strada che un tempo era asfaltata, procedendo a zigzag tra cemento, terra battuta e buche in cui cresce l’erba. Il tramonto ha appena creato un fantastico spettacolo naturale tipicamente africano. La palla di fuoco è sparita all’orizzonte incendiando il cielo e la terra, il rosso ha cambiato tonalità a ovest, mentre l’oscurità minacciosa arriva da est ad avvolgere tutto.

Da queste parti non conviene viaggiare di notte, soprattutto in una strada piena di buche. L’autista è l’unico a non poter apprezzare la grandiosità della natura perché deve stare molto attento al percorso accidentato, senza barriere, circondato dalla foresta e su cui a volte spuntano capre, galline, maiali o cani affamati.

Le cascate di Calandula, 11 marzo 2017  (Frederico Santa Martha, Alamy)

È facile capire come mai la destinazione finale, anche se è una delle sette meraviglie dell’Angola, non sia un luogo molto visitato. “Avevano promesso di asfaltare la strada per l’inaugurazione dell’albergo, ma sono passati tre anni ed è ancora nelle stesse condizioni”, ci racconterà qualche giorno dopo, a Luanda, Francisco Faísca, imprenditore luso-angolano che è riuscito nell’impresa di recuperare la Pousada de Calandula in quattro mesi (quando tutte le imprese edili sostenevano che ci sarebbero voluti due anni) in modo da poterla inaugurare prima delle elezioni. Ma di questa storia ci occuperemo dopo.

Rombo costante

Arriviamo all’albergo, di cui fatichiamo a riconoscere i contorni a causa dell’oscurità. La struttura ci accoglie nel rombo della cascata, un suono onnipresente che tra poche ore toglierà il sonno a qualcuno e aiuterà altri a dormire, perché l’acqua che scorre – anche da un’altezza di cento metri e in milioni di litri – è comunque rilassante. Gran parte delle stanze della Pousada de Calandula ha la vista sulla cascata, così come il ristorante e il salone. Ma per ora riusciamo appena a distinguere una massa biancastra immersa nella notte che invade tutto. C’è una specie di pioggerella, un’umidità viscosa che lascia tracce nelle verande delle stanze, per fortuna asciutte e confortevoli.

La mattina presto la situazione non migliora, ma i sensi non restano indifferenti all’enorme muro d’acqua che s’intravede attraverso la foschia. Quando la nebbia si dirada e il cielo azzurro comincia a contrastare con il verde della foresta, le cascate di Calandula emergono in tutto il loro splendore. Il torrente d’acqua che precipita è impressionante, come la sua forza, il rombo costante e il contrasto del bianco con la vegetazione intorno. In fondo al precipizio c’è uno spaventoso turbinio di acqua e schiuma che forma le rapide tra le rocce, per poi raggiungere, poche centinaia di metri più avanti, la forza tranquilla del grande corso d’acqua.

Questa meraviglia si trova a 420 chilometri da Luanda e a 80 da Malanje, la città più vicina. A crearla è il fiume Lucala, che in questo punto, in piena foresta tropicale, precipita da un’altezza di 105 metri prima di proseguire il suo viaggio verso est, dove incontrerà il Cuanza, il fiume più grande dell’Angola, di cui è il principale affluente.

Molti portoghesi che hanno vissuto in Angola conoscono le cascate di Calandula con il nome di Duque de Bragança, e così fu chiamato anche l’albergo inaugurato nel 1956 sull’altra sponda del fiume. Nel 1975, quando l’Angola conquistò l’indipendenza, sia le cascate sia l’albergo cambiarono nome.

Di giorno si può ammirare l’edificio di tre piani in stile portoghese, tipicamente modernista e perfettamente integrato nel paesaggio. La struttura è stata progettata per consentire un’ampia vista delle cascate, su cui si affaccia a forma di ferro di cavallo. Dall’albergo si può scendere alla base della cascata, tra una vegetazione lussureggiante e percorsi fangosi. Nella stagione delle piogge l’umidità è permanente. In basso, ai piedi della montagna d’acqua, si è travolti dall’emozione. Niente a che vedere con quello che si prova osservando la cascata dall’albergo durante la colazione in veranda o dal letto, attraverso la zanzariera. In fondo alla cascata c’è la natura allo stato puro, con una vegetazione fitta che s’interrompe davanti alle rocce affacciate sulle rapide. Una guardia armata di kalashnikov è l’unica presenza umana. L’uomo ci invita a fare attenzione: le pietre sono scivolose e cadere nel fiume può essere fatale.

Un’altra buona prospettiva si ha dalla riva destra del Lucala, in cima, vicino alle cascate. Per arrivarci bisogna percorrere quaranta chilometri fino all’insediamento di Calandula e al punto panoramico situato in una delle estremità del “ferro di cavallo”. Alcuni giovani con indosso gilet catarifrangenti si presentano come guide turistiche e conducono i visitatori tra le pietre arrotondate attraverso cui scorre il fiume prima di precipitare nell’abisso. Non esistono percorsi predefiniti né strutture protettive. I bambini fanno il bagno in cima alla cascata, a pochi metri dal precipizio. Niente impedisce che un visitatore rischi la vita saltellando tra le rocce o scattando un selfie sul ciglio della scarpata. Probabilmente queste sono le cascate meno turistiche e più autentiche e selvagge del mondo. “Nel 2014 un cinese è caduto da quella pietra. Stava scattando una foto e non si è accorto che la roccia era scivolosa”, racconta Manuel, una delle guide. Il corpo non è mai stato ritrovato. Si dice che nel corso di milioni di anni la cascata abbia scavato un pozzo profondo alla base, su cui si abbattono tonnellate d’acqua che impediscono a qualunque cosa di uscire.

Faísca era la persona ideale per lasciarsi convincere a investire in un piano ambizioso

A mezz’ora di distanza si possono visitare le cascate di Musselenge, a cui si accede attraverso un sentiero circondato dalla vegetazione e puntellato da alcuni kimbos (villaggi). Conviene portarsi una guida, perché la zona non è segnalata. Qui si può fare il bagno alla base delle piccole cascate, che non superano i venti metri di altezza. Musselenge è la figlia di Calandula, una versione ristretta e più amichevole in cui si può scendere per dei gradini naturali e fare una violenta doccia ad affusione in versione angolana, per poi regalarsi un bagno di sole sulle grandi pietre della base, rinfrescate dalle goccioline della cascata. A pochi passi dalla foresta, è facile addormentarsi. Le guide assicurano: “Qui non ci sono caimani”.

Il giro della provincia di Malanje non sarebbe completo senza un passaggio alle Pietre nere (in realtà sono grigie) di Pungo Andongo, a novanta chilometri da Calandula. Queste formazioni rocciose monolitiche emergono dalla savana e sono una meta turistica interessante per la loro particolarità, per il panorama (sempre che abbiate il coraggio di arrampicarvi su per la scalinata che porta in cima) e perché secondo la leggenda questo era il territorio del regno di Ndongo. Scolpite nella roccia, si possono ammirare le impronte della famosa regina Ginga, attrazione adeguatamente segnalata e protetta.

Rovina e riscatto

La Pousada de Calandula ha tredici camere. All’ingresso, una targa ricorda che la struttura è stata inaugurata dal ministro del turismo dell’Angola il 12 agosto 2017. Ma quella non è stata la prima inaugurazione di questo albergo affascinante, incastonato nella foresta davanti alle cascate. Più avanti, infatti, un’altra targa datata 1972 segnala la visita del governatore generale dell’Angola, dimostrando che l’hotel ha avuto una vita prima di cadere in rovina ed essere riscattato dall’imprenditore luso-angolano Francisco Faísca.

La Pousada de Calandula risale al 1956, ma si sa poco della sua storia. Non è difficile immaginare che nel periodo coloniale abbia accolto dignitari del regime e funzionari pubblici, oltre a commercianti, militari e qualche avventuriero. Dopo l’indipendenza, la provincia di Malanje fu tra quelle più colpite dai combattimenti della guerra civile. L’albergo fu abbandonato e rapidamente invaso dalla foresta.

Nel 2016 Faísca ha visitato le cascate per la prima volta, e si è fatto strada a fatica tra la vegetazione fino all’edificio, dove crescevano alberi anche tra le pareti. L’imprenditore era stato invitato dal governatore della provincia, che aveva conosciuto pochi giorni prima a un congresso sul turismo organizzato alle cascate Vittoria, in Zambia. In quell’occasione il politico gli aveva lanciato una strana sfida: recuperare la Pousada de Calandula e rimetterla al servizio del turismo, dato che non esisteva più una struttura per accogliere i visitatori delle cascate. “Ho scattato foto, ho fatto alcune valutazioni, ho scritto un po’ di appunti e sono tornato a Luanda”, racconta Faísca. Non è stato difficile capire che il progetto era praticamente impossibile. La cifra necessaria per ristrutturare i tre piani dell’edificio superava i 3,5 milioni di euro. Solo per recuperare l’investimento ci sarebbero voluti cinquant’anni. “Il governatore era contrariato, perché in molti gli avevano già detto di no. Ma con me ha insistito”, continua.

Faísca era la persona ideale per lasciarsi convincere da un politico angolano a investire in un progetto ambizioso. Nato a Luena (all’epoca Vila do Luso) nel 1956 da padre portoghese, questo figlio dell’impero studiò ingegneria agricola a Lubango (Sá da Bandeira) e nel 1975 tornò in Portogallo insieme a migliaia di persone in fuga dalla guerra civile. A 21 anni si guadagnava da vivere come professore ma restava legato all’Angola, che visitava appena poteva. Nel frattempo si era anche appassionato al golf. Durante una visita a Terceira, nelle Azzorre, lavorò nel campo da golf della base aerea di Lajes, prima di ritrovarsi a fare lezione a Loulé. In seguito fu nominato greenskeeper (responsabile della manutenzione del campo da golf) nel villaggio turistico Vale do Lobo, dove acquisì le conoscenze necessarie per creare un’impresa di costruzione di campi da golf. “Ho fatto campi in Portogallo e anche a Dubai, Addis Abeba e Il Cairo. Ma sono sempre tornato in Angola. A un certo punto ho pensato: ‘Perché non costruire un campo da golf nella mia terra’?”.

Gli amici pensavano che fosse impazzito. Nel 1986, in un paese in guerra, un investimento di quel tipo era l’ultima delle priorità. Ma Faísca portò avanti il progetto e creò il Mangais golf resort, sulle rive del fiume Cuanza. “Fu un’idea poco brillante. Non c’erano soldi. C’era la guerra. L’Unita era dall’altro lato del fiume e occupava il settanta per cento del territorio”, dice riferendosi all’Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola, un’organizzazione attiva nella guerra civile poi diventata un partito. “Ma ho cominciato con nove buche, poi ci siamo allargati a diciotto”. Oggi il Mangais golf resort ospita l’unico campo da golf regolamentare del paese.

Progetto agricolo

E così torniamo all’incontro con il governatore che aveva convinto Faísca a recuperare l’albergo. “Gli ho detto che ci volevano due anni. Mi ha risposto che avremmo dovuto farcela in quattro mesi. Ho accettato la sfida. Ho contattato tre imprese, abbiamo trasportato container, macchinari e materiali. Sono andato a vivere lì e siamo riusciti a ricostruire l’albergo. Della struttura originaria restavano solo le targhe e i pilastri, ma abbiamo sfruttato tutto quello che potevamo”.

È stato un miracolo anche dal punto di vista dei conti. Inizialmente l’investimento era di 1,8 milioni di euro, ma le sei stanze dell’albergo non bastavano per renderlo redditizio. Per questo l’imprenditore ha ingrandito la struttura a est, creando altre sette stanze. Sono previsti anche venti nuovi bungalow, ognuno composto da due stanze. La Pousada de Calandula si trasformerà in un piccolo complesso turistico con 53 stanze. Naturalmente il golf sarà il passo successivo, con la costruzione di un campo da diciotto buche. L’acqua e il verde di sicuro non mancano.

Ma in Angola il turismo non è un’attività trainante. L’albergo è frequentato soprattutto da espatriati europei che apprezzano più degli angolani il turismo naturalistico e accettano di affrontare le quattro ore e mezza di strade dissestate per riposarsi davanti alle cascate, lontano dallo stress di Luanda. Questo flusso di persone non basta per recuperare il denaro investito. Per questo Faísca ha deciso di sfruttare un progetto agricolo per finanziare l’attività turistica: nella zona vicina saranno disboscati cinquecento ettari di terreno per fare posto a una coltivazione di mais, fagioli, manioca e arachidi. “Sarà l’agricoltura a pagare per l’albergo”, conclude l’imprenditore. ◆ as

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1459 di Internazionale, a pagina 74. Compra questo numero | Abbonati