In questo sontuoso romanzo Helen Humphreys offre una visione nuova di Henry David Thoreau, filosofo spesso considerato un solitario, descrivendo la sua casa di famiglia come luogo di comunione e compagnia: la sera, i suoi genitori e fratelli leggevano ad alta voce con piacere gli uni per gli altri; Thoreau e sua sorella Sophia seguivano insieme l’apparire di ogni uccello e fiore in primavera. “Il mondo sarebbe molto più solitario,” pensa, “senza Sophia con cui condividere il colibrì, il beccaccino, il salicone e le raganelle”. Le famose lunghe passeggiate di Thoreau nei dintorni della sua città natale, Concord nel Massachusetts, erano occasioni per parlare con i contadini della stagione del raccolto e scambiarsi aneddoti sugli animali del bosco. Anche durante i suoi noti giorni di solitudine, il Thoreau immaginato da Humphreys si ritrova a “stare in agguato” ogni mattina per sorprendere il boscaiolo Alek Therien, “così da potersi scambiare una parola all’inizio della giornata”. Humphreys basa il suo romanzo sul meticoloso diario del poeta e filosofo e ci offre un ritratto di Thoreau che è stato offuscato dalla sua stessa reputazione. Non visse un’esistenza claustrale da “eremita del Massachusetts”, anche se nessuno, nemmeno sua madre, voleva accettare questa realtà. La solitudine non era il suo fine ultimo; era un mezzo per attivare i suoi poteri di attenzione. Dopotutto, il dono più grande di Thoreau era la sua profonda capacità di osservazione.
Hillary Kelly, The Atlantic
Vent’anni fa i suoi reportage sull’Irlanda del Nord e sul processo a Klaus Barbie valsero a Sorj Chalandon il prestigioso premio Albert Londres. E ora l’ex grande reporter di Libération pubblica Il mio traditore, un libro che intreccia trent’anni di storia irlandese e di sensi di colpa. Un’opera in cui un giornalista cerca una lingua capace di trasformare il mondo reale in un romanzo. E quindi di metterlo in discussione. Sorj Chalandon scrive storie vere appena velate dalla finzione e in questo caso per la prima volta mette la propria voce a confronto con un fatto politico e collettivo: trent’anni di storia dell’impero britannico attraverso l’Ira (Irish republican army) e la lotta armata in Irlanda del Nord. Sorj Chalandon prende le distanze: cambia le date, modifica i nomi. Ma Il mio traditore resta profondamente autobiografico. Il romanzo riflette sull’apprendistato politico e umano dell’autore. E più che raccontare l’Ira, s’interroga sulla capacità di continuare ad amare nonostante il tradimento. Come molti giornalisti, Chalandon si traveste ma senza mascherarsi davvero. Avrebbe potuto scavare ancora di più nelle proprie debolezze, ma nella sua capacità di dare corpo al dolore c’è già tutto: cuore, tristezza e calore. Il mio traditore prosegue così l’opera di Chalandon romanziere, aggiungendo una nuova, potente dimensione politica. Ma, soprattutto, rivela la sua fiducia e il profondo desiderio di scrivere romanzi: è chiaro che in lui vive ormai un vero narratore.
Hubert Artus, Le Nouvel Obs
Nel 1998 il giornalista Nicholas Gage rivelò al mondo, nel suo libro Greek fire, che Maria Callas aveva partorito nel marzo del 1960 un bambino nato morto. La notizia fu ben presto confermata dalle poche persone a cui la diva aveva confidato il segreto. Omero, il figlio segreto, romanzo dello scrittore greco Christos Markogiannakis, usa tutti i meccanismi della finzione per immaginare che il padre del neonato, il miliardario Aristotele Onassis, avesse orchestrato un inganno per far credere alla madre che il bambino fosse morto alla nascita. Questo per non aggravare ulteriormente i già tesi rapporti familiari e per non complicare la spinosa questione dell’eredità. Omero quindi sarebbe cresciuto nei pressi di Milano da genitori adottivi, tenuto sotto controllo dai gestori dell’impero Onassis, viziato a distanza da un padre al contempo assente e onnipresente e pianto da una madre ignara. Il testo, presentato secondo una tradizione settecentesca come manoscritto autobiografico di Omero affidato all’autore dell’opera, suo unico e fedele amico, è un’incredibile saga familiare fatta di bugie, manipolazioni e inganni. Mescolando abilmente storia e finzione, tragedia greca e romanzo poliziesco, questo viaggio verso la verità si legge come un racconto mozzafiato.
Pierre Degott, ResMusica
In duecento pagine suddivise in sei capitoli, l’autrice colombiana María Ospina Pizano ci porta nell’universo invisibile dei cani, di una tangara, di un istrice, di una femmina di scarabeo e delle loro lotte per sopravvivere in un mondo inospitale, aggravato dall’indifferenza umana. Il titolo del libro, ispirato a un verso del poeta precolombiano Nezahualcóyotl, invita alla riflessione: nulla ci lega alla terra, non abbiamo radici e per questo la vita è effimera, anche se è di giada, si spezza; anche se è d’oro, si rompe; anche se è piumaggio di quetzal, si lacera. Partendo dal lirismo di quel re poeta precolombiano, la scrittrice descrive un habitat che si trasforma continuamente e che impone agli animali una metamorfosi dettata dai capricci degli esseri umani che invadono, abbattono, costruiscono e ostacolano, modificando il ciclo naturale degli esseri viventi. Con prosa elegante Pizano cambia con delicatezza prospettiva, portandoci a immaginare la quotidianità di specie la cui sopravvivenza richiede saggezza e grandi capacità di adattamento.
Aída López Sosa, Milenio
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