Negli anni sessanta Pratt disegnò su commissione del Corriere dei Piccoli dei racconti del mito, non fumetti ma racconti molto illustrati, dove già lavorava su una grande sintesi poetica mediante un segno-scrittura. Perfetto per i viaggi di Simbad, dove il filiforme mercante-marinaio, quasi un burattino, si infila in guai più incredibili uscendone sempre, dalle tombe a stretti tunnel. Come per Ulisse, oggetto del primo volume, Paladini e Steiner per questa seconda rivisitazione dei testi riescono a sorprendere e a mantenere l’incanto. Come in Ulisse sono interrogati la dualità e il tema del doppio, fondanti nell’intera opera di Pratt a cominciare da Corto Maltese. Ma se in Ulisse gli autori riavvicinavano le temporalità dei racconti di Ulisse e di suo figlio Telemaco alternandole, qui si alterna l’epica di Simbad, che riflette poco, fatto salvo alla fine, con l’inazione della bella Sherazade che cerca di sopravvivere alla decapitazione suscitando con i suoi racconti delle mille e una notte l’incanto ma anche la riflessione nell’egocentrico e crudele sultano. Sherazade vuole far riflettere il sultano, quindi l’uomo, sull’oppressione delle donne. Quasi un’esegesi sia dell’archetipo avventuroso sia del ruolo maschile incarnato da Simbad come dal suo doppio: il sultano. Nel divenire sedentario, Simbad/sultano impara ad amare la mutevolezza e l’instabilità delle forme. Cioè la spiritualità dell’animo femminile. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1584 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati