Non chiedere mai per chi suona la campana: suona per te. –John Donne

L’attacco sferrato dalla Russia di Putin contro l’Ucraina diventerà un nuovo, triste spartiacque della storia dei nostri tempi. L’offensiva è arrivata al termine di un processo graduale e di varie “prove generali”: l’annessione della Crimea nel 2014, gli otto anni di guerra a bassa intensità nel Donbass e, prima ancora, l’invasione e l’annessione di parti della Georgia e della Moldova, e la devastazione della Cecenia e della sua capitale Groznyj. Il tutto preceduto da secoli di espansione imperialista russa.

Difendendo l’Ucraina, il mondo democratico difenderà anche se stesso

Eppure, nelle vicende storiche dell’Europa postbellica, questa guerra si distingue per ampiezza e caratteristiche. Senza alcuna provocazione e con un’evidente aggressione, la Russia, un regime autoritario, ha attaccato con tutta la sua potenza militare un paese vicino, teoricamente “fratello” e per di più slavo, sostenendo di volersi solo difendere da una minaccia alla sua stessa esistenza. La giustificazione di Mosca contiene una parte di verità: per una dittatura la democrazia è sempre una minaccia.

Dal discorso del presidente Putin alla vigilia dell’attacco e dalle sue precedenti prese di posizione si capisce che la base ideologica per l’aggressione è costruita su menzogne imperialiste e distorsioni della storia. Queste menzogne suggeriscono che l’Ucraina non sia mai stata uno stato e non abbia mai avuto una sua cultura, e che dunque non abbia le caratteristiche necessarie per giustificare, di fatto e di diritto, la sua indipendenza. Secondo quest’ottica, l’Ucraina può essere una provincia o un’appendice della Russia, o al massimo uno stato vassallo nella sua orbita.

Nel nazionalismo aggressivo di Putin, nel suo desiderio di vendicare torti passati, riportando indietro le lancette della storia (a cominciare dalla caduta dell’Unione Sovietica), e nella sua convinzione di avere la missione di ripristinare la grandezza della Russia, c’è un atteggiamento che ricorda quello di Hitler alla vigilia e durante la seconda guerra mondiale.

Parte del tutto

Un aspetto caratteristico di queste tattiche da dittatore contemporaneo è la “zombificazione” dei propri concittadini, ottenuta proiettando sull’avversario delle categorie come “nazismo” e “militarismo”, che in realtà si adattano meglio a Putin e alla società che sta costruendo.

La sconfitta di “nazismo, estremismo e militarismo” dovrebbe avvenire imponendo a Kiev un regime fantoccio, limitando o distruggendo la società civile e i mezzi di comunicazione liberi e, come succede in Russia, arrestando tutti i “sovversivi” e i dissidenti, compresi i russi e i bielorussi che sono andati a vivere in Ucraina per sfuggire ai regimi di Putin e del dittatore bielorusso Aljaksandr Lukašenko. L’esistenza di una lista accuratamente compilata con i nomi degli oppositori ucraini che saranno arrestati e “neutralizzati” è stata rivelata dai servizi segreti statunitensi, la cui accuratezza per ora si è dimostrata impeccabile.

In questa guerra l’Ucraina è sola davanti a una Russia molto più potente, dotata di armi atomiche e sottomessa al volere di Putin. A prescindere dall’empatia con cui i mezzi d’informazione e i politici statunitensi ed europei tratteranno l’Ucraina, noi ucraini rimarremo soli. Le sanzioni sono importanti e le armi aiutano, ma in fondo il popolo ucraino è abbandonato al suo destino.

La giustificazione di questo abbandono è apparentemente semplice: l’Ucraina non fa parte della Nato e solo i paesi della Nato possono contare sulla difesa collettiva dell’alleanza. Il fatto che per vari motivi l’Ucraina non sia potuta entrare nella Nato quando c’è stata la possibilità è opportunamente dimenticato, anche se con il cosiddetto memorandum di Budapest del 1994 il paese ha ceduto il proprio arsenale nucleare in cambio di “garanzie di ferro”, da parte dell’occidente e della Russia, sulla sua sovranità, indipendenza e integrità territoriale.

Detto questo, la difesa dell’Ucraina è una questione morale ed esistenziale per l’occidente e il mondo democratico. Oggi questa considerazione prevale sui discorsi formali sulle scadenze e le opportunità mancate.

Difendendo l’Ucraina, il mondo democratico difenderà anche se stesso e il suo diritto morale a sopravvivere. Senza un intervento, invece, gli occidentali continueranno a demoralizzarsi e a dividersi, esponendosi a ulteriori invasioni da parte di un nemico che ne desidera la distruzione.

Davvero la storia e i fatti che si svolgono davanti ai nostri occhi non ci hanno insegnato nulla? Per parafrasare il poeta, nessun paese “è un’isola, completo in se stesso”, ma “è un pezzo del continente, una parte del tutto”. ◆ as

George G. Grabowicz è un critico letterario e studioso di letteratura ucraina, russa e polacca. Insegna ad Harvard e dirige la rivista culturale ucraina Krytyka. Quest’articolo è uscito anche su Eurozine.

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Questo articolo è uscito sul numero 1450 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati