Nel mondo c’è una faglia spazio-temporale al riparo dai sussulti dell’attualità, un posto dove si possono ancora sognare avventure e cose smisurate. Basta andare a Montecarlo alla fine di settembre, in occasione del Monaco yacht show (Mys), pagare il biglietto (500 euro per l’intera giornata) e togliersi le scarpe. In questo modo si possono visitare i più belli, i più grandi, i più costosi superyacht del mondo. Ammirare le innumerevoli piscine, i giardini e addirittura la foresta a bordo di Ahpo, un palazzo galleggiante lungo 115 metri, venduto a 300 milioni di dollari; guardare un film nella sala cinema del Victorious, 85 metri; prendere l’ascensore per salire ai piani alti del Triumph, 65 metri, dotato di sauna, idromassaggio, palestra e sala per i massaggi.

Poi, una volta rimesse le scarpe – preferibilmente mocassini o scarpe con il tacco – passeggiare tra le centinaia di stand del salone dedicati alle imbarcazioni di lusso. Qui si potrà scegliere il colore della moquette di seta, comprare un piccolo elicottero per andare a fare la spesa anche quando si è in mare aperto, o una Fiat con i sedili in vimini, “ideale per la spiaggia”. Si sentirà parlare inglese, arabo, russo: la guerra in Ucraina non è entrata nella baia di Montecarlo, e nemmeno la crisi energetica. “Ai nostri clienti non importa niente dell’aumento dei prezzi, sono troppo ricchi”, spiega il direttore commerciale di un’azienda specializzata in sistemi di illuminazione sottomarina.

Nonostante la crisi ecologica e l’inflazione, all’ultima edizione del Mys il mercato dimostrava una salute sfacciata. Tra il 28 settembre e il 1 ottobre 2022 sono stati esposti 118 superyacht, per un valore complessivo di 3,8 miliardi dollari. “I ricchi hanno continuato ad arricchirsi durante la pandemia e hanno avuto ancora più voglia di godersi la vita”, osserva Sam Tucker della società di consulenza VesselsValue. “I superyacht hanno sfidato i lockdown. Nel 2021 ne sono stati venduti novecento, rispetto ai cinquecento degli anni precedenti. I produttori non riescono a evadere gli ordini”. Le liste d’attesa per ottenere una barca si allungano, come le loro dimensioni: mentre negli anni novanta si sfoggiavano imbarcazioni da cinquanta metri, ormai per stupire la folla bisogna superare i cento metri, come un campo da rugby. In questo mondo tutto sembra possibile, anche l’impossibile, cioè conciliare emergenza climatica, navi faraoniche e transizione ecologica. Per la prima volta nella sua storia, il Mys ha dedicato uno spazio alla sostenibilità. Così al “Sustainability Hub” i visitatori possono comprare shampo all’olio d’argan o di cocco, provare dei vestiti da barca ecologici tagliati su misura o investire in un rivestimento eco-friendly per lo scafo.

Gli espositori sono stati selezionati con cura dalla Water revolution foundation, che promuove la sostenibilità del settore: “Siamo stati molto attenti al green­washing (ambientalismo di facciata) e abbiamo accettato solo il 50 per cento dei candidati”, assicura Robert van Tol, direttore generale della fondazione, finanziata dai leader dell’industria dei superyacht. Il suo budget? Cinquecentomila euro nel 2022, cioè il prezzo di un accessorio venduto davanti al Sustainability Hub, un piccolo sottomarino con il quale i proprietari degli yacht si possono divertire a esplorare i fondali marini durante le loro spedizioni.

Una passeggiata al Mys è un’esperienza contrastante: unisce fasto e sobrietà, lusso e moderazione. I catamarani a energia solare affiancano gli yacht giganteschi che consumano quantità enormi di gasolio. “La nostra clientela cambia, prima apprezzava le grosse macchine rumorose, ora invece si sposta in Tesla, e non si ferma alla Costa azzurra ma preferisce le riserve protette”, dice Steve Baillet, direttore marketing di Camper&Nicholson. “Certo, è ancora in cerca di qualcosa di eccezionale, ma è più consapevole. Sulle nostre barche abbiamo sostituito le bottiglie di plastica con il vetro, è più elegante ed è riciclabile”.

I cantieri navali di La Ciotat, in Francia, 30 maggio 2022 (Léonor Lumineau, Hans Lucas)

Marco Valle osserva la fiera dal solarium di un grande yacht. Il responsabile della Benetti, un’azienda che produce imbarcazioni di lusso, è scettico sulla svolta sostenibile del settore: “I carburanti alternativi sono un’ottima cosa. Il problema è che è difficile trovarli nei porti. E poi produrli è davvero ecologico? Inoltre bisogna analizzare tutto il ciclo di vita dello yacht. La fibra di vetro impiegata nella costruzione delle barche è molto inquinante. Stiamo studiando soluzioni riciclabili e materiali alternativi, ma siamo solo all’inizio”.

Duecento automobili

Nel suo libro Superyachts: luxe, calme et écocide, il sociologo francese Grégory Salle documenta la portata dei problemi legati a queste imbarcazioni: “Prima di tutto c’è l’inquinamento prodotto dalle stesse barche, dai gas di scarico – un pieno equivale a decine o centinaia di migliaia di litri di gasolio – all’uso di vernici contenenti sostanze nocive. Poi c’è l’inquinamento prodotto dalle persone a bordo: scarico in mare di acqua sporca, rifiuti, detergenti”. Salle ricorda che un superyacht produce in media “più anidride carbonica di duecento automobili statunitensi. I trecento superyacht più grandi al mondo emettono quasi 285mila tonnellate di anidride carbonica, quanto un intero paese”. Oltre all’inquinamento legato all’uso diretto, il sociologo cita anche i danni provocati dall’estrazione dei materiali usati per le imbarcazioni.

“Uno yacht costruito in Germania o in Italia finirà la sua vita in Florida o chissà dove”, continua Salle. “Tra settembre e novembre sono coperti con teloni a Palma di Mallorca, in attesa di essere imbarcati su grandi navi container che li porteranno ai Caraibi per l’alta stagione. Spesso i proprietari li raggiungono a bordo di jet privati. Per soddisfare i loro bisogni gastronomici viene importato cibo da ogni angolo del mondo”.

Nelle zone più frequentate il continuo passaggio dei superyacht provoca un inquinamento sonoro che disturba la fauna marina, ricordano Arnau Carreño e Josep Lloret, ricercatori dell’Istituto di ecologia marina dell’università di Girona, aggiungendo che le luci sottomarine sempre più potenti possono turbare i comportamenti degli animali.

Una nave che trasporta yacht tra le Baleari e i Caraibi, 6 giugno 2022 (Léonor Lumineau, Hans Lucas)

Popolato da grandi nomi del petrolio, del settore immobiliare e delle criptovalute, il piccolo mondo dei superyacht è sempre più criticato. Nell’estate del 2022 l’imbarcazione commissionata dal fondatore di Amazon Jeff Bezos ha rischiato di essere bersagliata di uova marce nei Paesi Bassi, perché il suo costruttore voleva smontare un antico ponte per farla uscire dal suo cantiere. Di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica, si è poi scelto un itinerario meno controverso. Nel frattempo un marinaio ucraino aveva cercato di affondare il superyacht del suo padrone, un oligarca a capo di una delle più grandi aziende russe di armamenti.

Lanciato nel luglio 2022, l’account Twitter Yacht CO2 tracker, che traccia le emissioni di diversi yacht di lusso, ha più di 17mila follower. Per calcolarle ricostruisce ogni giorno il percorso e la velocità di ogni yacht e la incrocia con i dati di consumo pubblicati dai costruttori. “Calcoliamo solo le emissioni dovute allo spostamento delle imbarcazioni, senza tenere conto delle piscine, delle saune, delle palestre, dei macchinari e di eventuali giri in elicottero, perché sarebbe troppo complicato”, spiega uno dei gestori dell’account. “Mentre a noi chiedono di abbassare l’aria condizionata o il riscaldamento, loro possono continuare a inquinare indisturbati”.

Maria, che fa la hostess su vari superyacht, racconta che le lenzuola si cambiano ogni due giorni e le cabine delle docce sono pulite dopo ogni utilizzo: “Di solito più la barca è grande, più si spreca. Ho lavorato su un 124 metri, durante una festa abbiamo dovuto rifornire il buffet ogni due ore, anche di notte, nel caso qualcuno avesse avuto voglia di fare uno spuntino alle tre del mattino. I proprietari non hanno alcun rispetto per il personale o per l’ambiente”.

Il settore respinge queste accuse e sottolinea le ricadute economiche del settore. “I politici hanno bisogno di capri espiatori, è facile sparare a zero contro di noi. Tuttavia diamo da vivere a molta gente. Non bisogna uccidere la gallina dalle uova d’oro”, afferma il mediatore finanziario Matthieu Gredin.

“Questi yacht giganti sono la causa principale del declino della posidonia”

Patrick Ghigonetto è il presidente di La Ciotat shipyards, un cantiere navale dove passa ogni anno un settimo della flotta mondiale di superyacht, e assicura che il settore sta diventando più attento agli aspetti ambientali: “Abbiamo installato un moderno sistema di trattamento delle acque, che riduce al minimo lo scarico in mare. Inoltre i nostri impianti di alimentazione evitano alle imbarcazioni di usare i generatori durante le soste tecniche”. In passato specializzato nella costruzione di grandi unità industriali, il cantiere si è salvato dalla chiusura riconvertendosi alla ristrutturazione dei grandi yacht. “Avremmo potuto puntare tutto sul turismo, invece abbiamo preferito modernizzarci, e ne siamo molto orgogliosi”, racconta Ghigonetto. “Lo yacht è un oggetto di lusso che dà lavoro. Un quadro di un grande maestro rimane attaccato al muro e non frutta nulla. Il cantiere della Ciotat ospita 45 aziende e impiega direttamente 1.200 persone”.

Alcuni superyacht privati si presentano addirittura come salvatori del pianeta. Il Rev Ocean, ideato da un miliardario norvegese, ambisce a pulire, studiare e preservare i mari. L’Earth 300, un progetto di superyacht a propulsione nucleare, aspira a ospitare scienziati di tutto il mondo per condurre esperimenti e “ampliare le nostre conoscenze e la nostra comprensione dell’universo sopra e sotto la superficie dell’oceano”. Secondo Salle questi progetti non fanno che confermare il cinismo di un’industria votata al greenwashing: “La prossima volta che vedrete una festa su uno yacht di lusso non pensate che si stiano solo divertendo, probabilmente stanno partecipando a uno studio scientifico”.

Praterie in pericolo

Negli ultimi anni le preoccupazioni per l’impatto ambientale degli yacht si sono concentrate sott’acqua. Soprattutto sulla posidonia, una pianta acquatica di fondamentale importanza nella lotta contro il riscaldamento climatico e la preservazione della biodiversità, osservata con grande attenzione tanto dalle aziende quanto dagli scienziati. Le praterie sottomarine di posidonia sono i polmoni del mare: possono produrre più ossigeno per metro quadrato della foresta amazzonica e immagazzinano l’anidride carbonica. Le loro lunghe foglie ospitano moltissime specie di pesci e rappresentano una fonte di cibo fondamentale. Inoltre la posidonia preserva le coste dall’erosione, contribuendo a rompere il moto ondoso. Le foglie morte si depositano sulle spiagge e le proteggono.

Il problema è che questo ecosistema di estrema importanza per il Mediterraneo è minacciato. Negli ultimi cinquant’anni le praterie di posidonia sono diminuite del 34 per cento a causa dell’inquinamento, della cementificazione della costa e soprattutto delle navi. I superyacht rappresentano “la prima causa del loro declino”, spiega il biologo marino Charles-François Boudouresque. Più l’ancora della nave è grande, più i danni sono gravi: “Uno yacht di cento metri ha un impatto mille volte superiore rispetto a un piccolo gommone di dieci metri”.

La prova di un minisottomarino al Monaco yacht show, 30 settembre 2022 (Léonor Lumineau, Hans Lucas)

Il fenomeno riguarda tutto il Mediterraneo. In diversi paesi gli scienziati studiano il modo per ripristinare la posidonia. Ma c’è un problema di fondo: queste piante marine crescono molto lentamente, al massimo qualche centimetro all’anno. Nel 2018 le isole Baleari, in Spagna, hanno deciso di vietare l’ancoraggio in alcune zone per proteggere la posidonia. Un’iniziativa pionieristica, ma che non va abbastanza lontano, si rammaricano Natalia Petit e Olivier Valles: “Per infliggere una multa è necessario dimostrare che la barca ha effettivamente danneggiato la posidonia, quindi gli agenti devono andare a controllare. Ma il personale non è sufficiente”. I fondatori dell’associazione Sos posidonia dedicano gran parte del tempo libero a pattugliare le coste, chiedendo alle imbarcazioni ormeggiate sopra le praterie di spostarsi sui banchi di sabbia. Silvio, che lavora in una delle diciotto pattuglie marittime create dal governo delle Baleari nel 2022, conferma la difficoltà del suo lavoro: “Di solito più la barca è grande, meno si preoccupa delle regole. In un anno abbiamo fatto solo una ventina di multe”.

In Francia nel 2000 sono stati imposti i primi divieti di ancoraggio per le imbarcazioni di più di 24 metri su questi preziosi ecosistemi. Le località frequentate dal jet-set sono state dotate di sistemi di attracco alternativi. “Le grandi barche da turismo rappresentano il 60 per cento dei redditi del porto”, sottolinea Michel Mallaroni, il direttore del porto di Bonifacio. Ha installato 14 boe nella baia di Sant’Amanza, che permettono alle barche di ormeggiare senza rischiare di rovinare la posidonia con le ancore e le catene che pesano diversi quintali. “Il costo di attracco è proporzionale alla dimensione della barca. Bisogna contare 800 euro al giorno per uno yacht di cinquanta metri”, precisa. Finanziato per l’80 per cento dallo stato francese, il progetto è costato quasi due milioni di euro, ed è stato accolto favorevolmente dai ricchi naviganti, contenti di non essere più obbligati a spostarsi in zone di attracco “scomode”. Ma la decisione ha comunque suscitato le proteste delle associazioni ambientaliste locali, che nel giugno 2022 hanno scritto al governo: “Si chiede ai cittadini di viaggiare meno e più lentamente, mentre questi progetti incoraggiano le grandi imbarcazioni a viaggiare ancora di più e a venire in Corsica quando l’isola è già sovraffollata”.

“La baia tra Cannes e Antibes ha perso dal 15 al 20 per cento della posidonia in dieci anni. Dobbiamo agire ma al tempo stesso preservare il grande turismo marittimo, perché si tratta di un’attività vitale per la regione. Il problema è che ogni estate nel Mediterraneo circolano 3.500 yacht. Non possiamo installare tante boe, dato che ognuna costa centomila euro”, sintetizza Amélie Chardin, responsabile della pianificazione sostenibile per la prefettura marittima del Mediterraneo. Chardin è favorevole a un divieto di ancoraggio a livello internazionale: “Alcuni paesi come la Grecia, la Croazia o la Tunisia non hanno neanche cartografato i loro banchi di posidonie”.

A bordo di un gommone, Jean-Philippe Morin e Frédéric Thiebaut pattugliano regolarmente il golfo di Saint-Tropez per sensibilizzare i naviganti sull’importanza della posidonia; gli parlano di un’app, Donia, che permette d’individuare le praterie sottomarine e ormeggiare altrove, e li mettono in guardia rispetto a possibili multe. “Quando sono stati pubblicati i decreti che vietano l’ormeggio dei superyacht, i capitani hanno fatto suonare le sirene per manifestare il loro malcontento. Oggi sono loro a chiedere le boe d’ormeggio perché hanno capito che è l’unica soluzione”, osserva Morin.

Il responsabile dell’Osservatorio marino dei comuni del golfo di Saint-Tropez indica una barca lunga più di cento metri: è il Symphony, lo yacht del miliardario francese Bernard Arnault, dotato di eliporto, bar, sauna, cinema all’aperto, pista da ballo, salone di bellezza, palestra, sala concerti con pianoforte a coda, biblioteca, ascensore e piscina con cascata. Secondo Yacht CO2 tracker, tra il 6 e il 13 agosto 2022 questo yacht, navigando fra l’Italia e la Grecia, ha emesso circa 123,8 tonnellate di anidride carbonica bruciando 47.629,9 litri di carburante, 1.400 volte più di quanto ne consumi un francese medio in un anno. Per poter continuare a ormeggiare nella baia di Saint-Tropez, Arnault ha messo mano al portafoglio. “Ha comprato una boa che gli è costata 600mila euro, più qualche decina di migliaia di euro di affitto all’anno”, spiega Morin. “Il problema è che se tutti facessero la stessa cosa il mare verrebbe privatizzato, perché c’è il divieto di ancoraggio nel raggio di duecento metri da ogni boa”.

Da sapere
Il boom dopo il covid
Spesa complessiva per i superyacht nel mondo, milioni di dollari (Fonte: Vesselsvalue)

Concorrenza sleale

Secondo Thiebaut è necessario un coordinamento europeo, altrimenti “gli yacht andranno altrove, per esempio in Montenegro, che offre buone infrastrutture e negozi di lusso e ha norme meno severe”.

Thierry Voisin, presidente del comitato europeo per lo yachting professionale (Ecpy), racconta che quando in Francia è stata adottata la nuova regolamentazione sull’ormeggio “molte barche sono andate in Italia e in Croazia. È non è detto che torneranno”. La navigazione è per definizione un’attività internazionale, sottolinea Eric Mabo, vicedelegato generale della Federazione delle industrie nautiche (Fin): “Senza una regolamentazione a livello europeo, si crea una concorrenza tra paesi”. Fino al 2016, in particolare in Francia, gli yacht hanno avuto sgravi fiscali sul carburante. “In Italia questo vantaggio è rimasto e per anni gli yacht hanno preferito andare a rifornirsi lì. Alla fine l’Europa ha obbligato l’Italia ad adeguarsi, ma il paese ne ha comunque approfittato per anni, con un impatto non trascurabile sull’economia francese”, osserva Mabo.

L’eurodeputata verde Caroline Roose è appassionata di immersioni e ha potuto osservare di persona il degrado dei fondali marini: “Le cosiddette boe ecologiche servono solo per mettersi a posto la coscienza, perché le barche non le usano. Bisogna prenotarsi in anticipo, ma spesso i capitani arrivano all’ultimo momento seguendo i capricci dei proprietari”. Roose si batte per una normativa europea che limiti le emissioni dei superyacht. Gli scandali ambientali sono anche economici e sociali, sottolinea: “Per evitare le tasse, alcune barche sono sempre in giro. Molte sono immatricolate in paradisi fiscali e non rispettano il diritto sociale. Parte del personale francese è assunta con contratti maltesi per approfittare delle norme meno rigide. Si parla spesso delle ricadute economiche dei superyacht, ma i lavoratori non ne traggono nessun beneficio”.

Spreco ostentato, frode fiscale, criminalità ambientale, greenwashing, illegalità. “Se si tira il sottile filo dei superyacht, si dipana tutto il gomitolo del capitalismo basato sulle energie fossili”, conclude Grégory Salle. Gli yacht di lusso non sono solo una lente che mette in evidenza una mania di grandezza, ma condensa gli aspetti essenziali della nostra epoca: l’aumento delle disuguaglianze economiche, l’ingiustizia e l’accelerazione della crisi ecologica. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1530 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati