In un piccolo cortile di Bucarest, attraversato da una vigna con i suoi grappoli maturi, Alex Fifea era indaffarato nei preparativi della serata. Il volto tirato dalla fatica e dallo stress, ha fatto avanti e indietro tra il cortile e la galleria Art Hub, dove alcuni colleghi avevano sistemato delle sedie. In serata sarebbe andata in scena la prima proiezione del film-spettacolo Bibi Sara Kali di Simonida Selimović.

Attrice, regista e produttrice rom, Selimović è arrivata in Romania da Vienna insieme alla sorella Sandra, anche lei attrice e regista, per assistere al festival internazionale del teatro rom Kathe, Akana! (“Qui e ora!”, in lingua romaní), che si è svolto all’inizio di settembre.

“È la prima edizione e il lavoro di organizzazione è enorme”, spiega il direttore artistico del festival, anche lui attore e drammaturgo di origini rom. Il progetto è ambizioso: Kathe, Akana! è durato otto giorni e ha presentato dieci produzioni, con artisti provenienti da sei paesi (Romania, Ungheria, Ucraina, Slovacchia, Austria e Germania). Il modello è il festival internazionale Roma heroes di Budapest, organizzato a partire dal 2017 dall’Independent Theater Hungary.

Fifea spera di fare del suo festival un appuntamento fisso, ma “in Romania è difficile sapere quello che succederà l’anno successivo e quindi è complicato fare programmi”, dice. “Dopo questa prima edizione speriamo di avere degli aiuti economici più stabili per andare avanti”. Il festival ha avuto finanziamenti dal Centro culturale del comune di Bucarest (Arcub) e dall’Amministrazione del fondo culturale nazionale (Afen).

Passato e presente

Le produzioni presenti al festival hanno affrontato tanti argomenti: Bibi Sara Kali parla d’identità e migrazione; il femminismo e la figura della strega sono al centro di Corp urban e Romacen della compagnia femminista Giuvlipen; Bambina, regina florilor (Bambina, regina dei fiori) esplora invece le tradizioni e la storia dei rom. E altri ancora. Per Fifea l’obiettivo del festival è attirare l’attenzione: “Ci sono degli attori e un teatro rom. Esistono i rom ed esiste anche una realtà rom che si riflette nelle produzioni teatrali”.

Romacen. The age of the witch (GIUVLIPEN & Teatrul Andrei Mureșanu Sf. Gheorghe Romania)

Convinto sostenitore del teatro politico e del teatro documentario, Fifea vede nell’arte teatrale un importante strumento in grado di educare, cambiare le mentalità e stimolare il dialogo. “Bisogna chiedersi cosa c’è dietro i titoli dei giornali, ‘I rom hanno fatto questo, hanno fatto quello’. Bisognerebbe approfondire. Dobbiamo chiederci come e dove vivono, da dove vengono, cosa vogliono. Il teatro permette di mostrare tutto questo”.

Nel corso del dibattito dopo la proiezione di Bibi Sara Kali, anche le sorelle Simonida e Sandra Selimović sono andate in questa direzione. Da giovani si erano spesso trovate a rivestire ruoli che riproponevano immagini stereotipate dei rom e dei migranti. Hanno deciso di creare la loro compagnia Romano Svato dopo il 2010 “per dare una rappresentazione diversa dei rom, che non è quella dei gadje, i non rom”. Da questa idea sono nate opere diverse e talvolta personali, come Bibi Sara Kali, dove tre sorelle tornano in Serbia per i funerali della madre. Qui le donne si confrontano con il passato e con l’identità rom in un territorio isolato, che sogna l’Unione europea.

Fifea e gli altri attori sperano che queste rappresentazioni possano attirare interesse e permettere la creazione di un teatro nazionale rom in Romania, simili a quelli che già ci sono per la minoranze ebrea, magiara e tedesca. Proprio il Teatro nazionale ebreo di Bucarest ha accolto alcune opere del festival. “In questo paese, secondo le stime delle ong ci sono quasi due milioni di rom”, sottolinea Filea. “Ci sono diversi argomenti e realtà da evidenziare. Vorrei che il festival fosse un ulteriore passo in questo processo di creazione di un teatro nazionale rom”.

Tra gli altri momenti importanti del festival vale la pena di ricordare le due rappresentazioni nel quartiere di Ferentari, uno dei più poveri di Bucarest, dove vive la maggioranza dei rom. Il 30 agosto, giorno di apertura del festival, è andata in scena l’opera punk Frog tales dell’Independent Theater Hungary, seguito dal concerto di Niko G., una giovane rapper del quartiere, e di Mihaela Drăgan aka Kali, fondatrice della compagnia Giuvlipen. La presenza della tv ha dato maggiore visibilità al festival, ma anche al quartiere, spesso rappresentato in modo negativo. “È una zona in cui la gente è emarginata. Alle rappresentazioni c’erano persone che non avevano mai visto uno spettacolo teatrale!”, dice Fifea. Un prato circondato da lunghe file di palazzi ha accolto le due serate. “Sapete quello che farà il comune di questo posto? Un parcheggio. A dimostrazione di quanto si tengano in considerazione le esigenze degli abitanti, che chiedono eventi culturali e sportivi”.

Realtà transnazionale

Per il direttore del festival è fondamentale che le opere teatrali che affrontano le realtà rom siano viste dai diretti interessati. “Purtroppo è complicato portare in modo stabile la cultura in posti dove mancano i servizi essenziali”. Rodrigó Balogh, direttore artistico dell’Independent Theater Hungary, era “orgoglioso” di aver recitato nel quartiere, dove “abbiamo avuto molti spettatori, davanti a noi ma anche affacciati alle finestre delle case lì intorno”. A Budapest hanno l’abitudine di recitare nelle comunità emarginate. “E quando rappresentiamo le opere in altri posti cerchiamo di riempire almeno metà della sala con spettatori rom che non sono mai andati a teatro”.

Portare artisti provenienti da altri paesi, che recitano personaggi ed eroi di questa cultura, significa anche “costruire una realtà transnazionale rom”, sottolinea Fifea. “È qualcosa di specifico dei rom, che hanno lasciato il nord dell’India mille anni fa per raggiungere l’Europa e poi l’America. Per me i rom danno un senso di unità all’Europa di oggi”.

Sandra e Simonida Selimović hanno partecipato ad alcuni progetti transnazionali, come la pièce Roma Armee del teatro Maxim Gorki a Berlino, prodotta nel 2017 con attori e attrici rom da tutta Europa, tra cui Mihaela Drăgan. Una grande produzione, la prima nel suo genere. E le due sorelle stanno pensando di organizzare un festival simile a Vienna. “I rom sono sparsi in tutto il mondo, e questo contribuisce a creare un forte sentimento di unità”, dice Sandra. Simonida però si rammarica che “durante questi incontri non tutti parlino la lingua romaní”. “Mio padre mi diceva che non avevo bisogno di imparare l’inglese: ‘Tu sei rom, e con il romaní puoi viaggiare ovunque!’”. Anche se la realtà si è rivelata diversa, Simonida scrive i suoi testi in romaní, e spera di vedere sempre più spesso produzioni nella sua lingua materna. ◆ adr

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Questo articolo è uscito sul numero 1428 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati