Durante la campagna elettorale del 2019, il presidente dello Sri Lanka Gotabaya Rajapaksa aveva promesso stabilità politica e progresso economico dopo anni di caos e di declino. Nel 2022 l’economia del paese ha raggiunto i minimi storici e la gente protesta per le interruzioni di elettricità, la carenza di farmaci e i prezzi alle stelle. La scarsità di beni essenziali è così grave che si teme una crisi umanitaria.

La Ceylon Petroleum, l’azienda statale di raffinazione del petrolio, pare abbia chiesto alla popolazione di non mettersi in coda per il gasolio il 30 e 31 marzo perché non è riuscita a consegnare un carico di 37.500 tonnellate di carburante. Medici e operatori sanitari hanno denunciato alla stampa gravi carenze di farmaci salvavita e reagenti diagnostici importati. Il deficit commerciale dello Sri Lanka è raddoppiato arrivando a dicembre a 1,1 miliardi di dollari. A marzo il paese dichiarava di avere circa 2,3 miliardi di dollari in riserve di valuta estera e a luglio scadranno i rimborsi dei titoli di stato per un valore di un miliardo di dollari.

Le autorità hanno svalutato la moneta locale, imposto un limite alle importazioni e aumentato i prezzi del carburante e i tassi d’interesse nel tentativo di controllare la situazione, ma finora non ha funzionato. La crisi è stata in parte determinata dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, che tra le altre cose ha fatto alzare il prezzo del petrolio. Ma la vera storia della caduta nel caos dello Sri Lanka comincia con l’arrivo, nel 2019, del presidente Rajapaksa e del suo governo d’ispirazione populista improntato sul mito dell’uomo forte. L’ascesa del politico è stata facilitata dalle forze nazionaliste singalesi buddiste più oltranziste, comprese quelle dominate da ex militari, come il centro studi Viyathmaga. Queste organizzazioni sostenevano di voler promuovere il cambiamento e un modello centralizzato che, assicuravano, era ciò di cui il paese aveva bisogno dopo i tre anni disastrosi della coalizione tra il Partito nazionale unito (centrodestra) e il Partito della libertà dello Sri Lanka (centrosinistra).

A segnare drasticamente le sorti dello Sri Lanka è arrivato un progetto politico chiamato “Prospettive di prosperità e splendore”, elaborato in parte dal Viyathmaga. Tralasciando altri problemi che affliggono il paese, secondo questa idea “il sistema fiscale aveva contribuito al crollo dell’economia interna”. Così, subito dopo il suo insediamento, il governo di Rajapaksa ha introdotto pesanti tagli alle tasse, che hanno ridotto le entrate tributarie del 28 per cento. La misura era anche in contrasto con il rapporto sull’economia srilanchese del Fondo monetario internazionale (Fmi) del 2019, per cui erano necessari “sforzi sostenuti per proteggerla da eventuali shock”.

Il risultato è che Colombo è rimasta con quello che l’Fmi ha definito all’inizio del 2020 “una debole performance delle entrate e un eccesso di spese”, spingendo l’isola verso un percorso fiscale instabile. A questo è seguita la chiusura formale del programma dell’Fmi nel paese. All’inizio del 2020 la mancanza di entrate è stata ulteriormente aggravata dalla pandemia, che ha tolto allo Sri Lanka due fonti cruciale di valuta estera: il turismo e le rimesse, calate di quasi il 23 per cento.

Tra aprile e maggio del 2020 la valutazione del credito obbligazionario dello Sri Lanka è stata declassata a B negativo. Tra le ragioni c’era il taglio delle tasse. A dicembre del 2021 il rating è passato a CC. Mentre il suo accesso agli scambi di valuta estera diminuiva, Colombo ha continuato a ripagare le rate del suo debito usando per tutto il periodo le riserve di valuta estera che aveva. Anche se nei mesi successivi le riserve hanno continuato a diminuire, scendendo da 7,6 miliardi di dollari nel 2019 a 2,3 miliardi di dollari a ottobre del 2021, il governo non ha preso in considerazione l’ipotesi di rivolgersi all’Fmi per un salvataggio d’emergenza. Agli occhi degli ultranazionalisti, tra cui la stessa famiglia Rajapaksa, una scelta simile avrebbe compromesso la sovranità del paese.

Da sapere
La solitudine dei Rajapaksa

4 aprile 2022 Tutti i ministri si sono dimessi ma, nonostante le richieste dei manifestanti, il presidente Gotabaya Rajapaksa e il primo ministro, suo fratello Mahinda, resistono.

5 aprile Quaranta deputati della coalizione di governo hanno abbandonato Rajapaksa, dichiarandosi indipendenti, mentre l’opposizione ha rifiutato l’offerta del presidente di formare un governo di unità nazionale e ha chiesto le sue dimissioni. Ali Sabry, appena nominato ministro delle finanze al posto di Basil Rajapaksa, altro fratello del presidente, si è dimesso.


Lo Sri Lanka ha invece preferito degli accordi di scambio di valute con Cina e India che, a parte un temporaneo rafforzamento della posizione di riserva, non hanno fatto nulla per consolidare la fallimentare situazione fiscale di Colombo. Di conseguenza, all’inizio del 2022 le riserve effettivamente utilizzabili dello Sri Lanka sono scese sotto il miliardo di dollari e a quel punto il governo si è precipitato a chiedere un aiuto urgente all’India e all’Fmi.

Un’opportunità per l’India

Nella crisi economica dello Sri Lanka, New Delhi ha visto l’opportunità di consolidare la sua posizione geopolitica rispetto alla Cina e ha accettato di aprire una linea di credito da un miliardo di dollari per aiutare il paese ad acquistare beni essenziali, tra cui il petrolio e i farmaci. Colombo è inoltre già impegnata in un nuovo giro di colloqui con l’India per ottenere un altro prestito da 1,5 miliardi di dollari e con l’Fmi per negoziare un pacchetto di salvataggio. Tutto questo si è reso necessario perché non c’era altro modo per Colombo di evitare la bancarotta.

Nel frattempo Gotabaya Rajapaksa nega ogni responsabilità nella crisi. E sta provando a interpellare anche la Banca mondiale per un “sostegno di bilancio”.

Secondo gli analisti Colombo riuscirà ad assicurarsi il salvataggio da parte dell’Fmi, ma la strada per la ripresa sarà lunga e difficile, tanto più che dipenderà dalla capacità del governo di attuare le riforme strutturali raccomandate dal Fmi. Tra queste, un taglio alle spese e ai sussidi governativi, la privatizzazione delle aziende di stato, il blocco della stampa di valuta, la fluttuazione del tasso di cambio e il licenziamento di dipendenti pubblici. Anche se realizzate, queste riforme richiederebbero tempo per dare dei risultati. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1455 di Internazionale, a pagina 38. Compra questo numero | Abbonati