In un magazzino basso di cemento fuori dallo stadio nazionale di calcio di Conakry, la capitale della Guinea, gli artisti del circo Tinafan si allenano per perfezionare i loro numeri. Un contorsionista ciondola con grazia da un anello appeso al soffitto, mentre gli acrobati volano su un trapezio. Un giovane cammina su una corda tesa e un paio di giocolieri si esercitano facendo turbinare un gran numero di clavette.

Sono tra gli artisti circensi più esperti di tutta l’Africa. Alcuni sono già molto conosciuti nel mondo del circo e hanno incantato folle di persone da New York a Tokyo. Fino a poco tempo fa, molti di loro vivevano per strada e non sapevano come si sarebbero procurati da mangiare.

Gli artisti del circo Tinafan si esibiscono a una festa in strada, Conakry, febbraio 2019 (Tommy Trenchard)

“Quando sono arrivato qui la prima volta, non avevo un soldo”, racconta Foday Ahmed Sylla, un acrobata di 21 anni. “Ero sempre affamato. Venivo a esercitarmi senza aver fatto colazione. Per me però era importantissimo uscire dal mio quartiere. Non stavo combinando niente”. Il Tinafan è uno dei sempre più numerosi circhi sociali che vogliono non solo intrattenere, ma anche fare da motore di cambiamento e da trampolino di lancio per ragazzi emarginati in cerca di opportunità. Secondo una ricerca condotta dal Cirque du Soleil, un’organizzazione con sede in Canada che oggi è la più grande produttrice di spettacoli circensi a livello internazionale, il numero dei circhi sociali nel mondo è esploso: erano meno di dieci alla fine degli anni settanta, ora sono più di cinquecento. Questa tendenza è legata alla sempre maggiore consapevolezza che le abilità e l’ambiente offerti dal circo possono essere degli agenti di cambiamento: offrono un senso di appartenenza; creano una comunità che supera le barriere socioeconomiche e perfino quelle geografiche; e insegnano la disciplina, la concentrazione, la creatività, il lavoro di squadra e, soprattutto, ad avere fiducia negli altri. “Devi fidarti della tua base”, spiega Sylla, parlando degli altri componenti del gruppo che hanno il compito di afferrare al volo gli acrobati (Sylla è un “volatore”). “Quando sono in aria mi sento rilassato”, dice. “Devi avere fiducia, punto e basta”.

Sylla, rimasto orfano da adolescente, racconta che il circo gli ha dato un nuovo scopo nella vita. Inoltre, ha allargato notevolmente i suoi orizzonti, permettendogli di conoscere acrobati di tutto il mondo. Si è esibito anche a Hong Kong.

Risultati di cui andare fieri

“In questo momento quindici dei nostri lavorano negli Stati Uniti, dieci in Canada, due con il Cirque du Soleil, tre in Spagna, venti in Francia e altri in Germania”, racconta Ibrahima Bamba, un ex judoka che oggi allena e dirige il circo Tinafan. “Gli artisti guineani viaggiano dappertutto. Proprio stamattina quattro sono partiti per il Burkina Faso. Vederli andare in tutto il mondo mi rende davvero felice”.

Il circo Tinafan ha ricevuto finanziamenti da diverse organizzazioni, tra cui l’Unicef, ma deve sempre fare i conti con la scarsità di fondi. La maggior parte delle attrezzature è stata realizzata da Bamba con metalli riciclati. Tenuto conto degli ostacoli finanziari, è immensamente orgoglioso dei risultati ottenuti.

Prima del 1998, racconta Bamba, pochi guineani avevano sentito parlare del circo. Oggi i gruppi circensi spuntano come funghi nelle città grandi e piccole di tutto il paese. Molte organizzazioni, tra cui il Tinafan, gestiscono anche delle scuole in cui si sta formando una nuova generazione di artisti. Le feste di strada locali sono spesso l’occasione per raggiungere un nuovo pubblico e far conoscere ad altri giovani le arti performative. In questi eventi, chiamati dundunba, come i tamburi tipici dell’Africa occidentale che li accompagnano, gli acrobati si esibiscono in stile libero per la gioia della folla, spiega Bamba.

Dopo una mattinata di duro allenamento, Sylla e i suoi amici si fermano per il pranzo: un pasto a base di pollo piccante e riso che consumano da una grande ciotola comune collocata sul pavimento, dietro il magazzino. Poi si stringono in un taxi per raggiungere la spiaggia più vicina, dove continuano ad allenarsi finché il sole non s’inabissa all’orizzonte.

“Per diventare un professionista devi importi di allenarti e provare sempre nuovi numeri”, afferma Sylla, che vuole lavorare sodo e risparmiare abbastanza per sostenere il resto della sua famiglia. “Tutti i giorni cerco di imparare qualcosa di nuovo”.

Più di 5.600 chilometri a sud, a Città del Capo, in Sudafrica, dal 1992 lo Zip Zap circus aiuta i ragazzi a sfuggire a una vita di povertà e violenze nelle township della città. “E funziona”, dichiara il cofondatore Brent van Rensburg, che ha visto crescere l’organizzazione. Da un’iniziativa partita con poche risorse, che si esibiva su trapezi fatti in casa nei cortili delle scuole, oggi è diventata una fiorente associazione senza scopo di lucro, che propone un ampio programma di progetti sociali destinati a gruppi a rischio in tutta Città del Capo. “Il 90 per cento del nostro lavoro consiste nell’emancipare i ragazzi. È una specie di sistema educativo alternativo”.

Negli ultimi anni dell’apartheid in Sudafrica, van Rensburg sperava che il circo Zip Zap potesse essere un baluardo di uguaglianza razziale

Van Rensburg parla da un balcone che sovrasta l’area dedicata agli allenamenti della nuova Zip Zap academy, nel quartiere Salt River di Città del Capo. Come a Conakry, si respira un’atmosfera di collaborazione e creatività. Due acrobati guardano un video su un telefono per studiare un nuovo numero di danza aerea con i tessuti. Alcuni giocolieri chiacchierano cercando di mantenere in aria un numero crescente di palline e clavette. Al piano di sopra, in una palestra di danza, un coreografo fa lezione ai suoi studenti: la data dello spettacolo si avvicina e l’esibizione dev’essere impeccabile.

Il circo Zip Zap ha alle spalle trenta tournée internazionali e si è esibito per un gran numero di persone famose, dall’ex presidente sudafricano Nelson Mandela al tennista Roger Federer. Gli spettacoli sono i momenti salienti del calendario dell’organizzazione, ma l’attività sociale non si ferma mai: ci sono le lezioni settimanali di circo in un ospedale della township di Khayelitsha, per intrattenere i bambini che vanno a ritirare i farmaci per l’aids e fargli conoscere la magia del circo.

“Quando i bambini entrano all’ospedale all’inizio sono seri”, racconta Lizo James, un artista di lungo corso dello Zip Zap, che oggi organizza le lezioni all’ospedale. “Un paio di minuti dopo, li vedi sorridere interessati. E la cosa è reciproca, si condividono momenti speciali”. Oggi i circhi sociali sono diventati uno strumento usato in molti ambiti, dalle zone di guerra ai centri per la disintossicazione dagli stupefacenti. Nel Sudafrica del 1992, negli ultimi anni dell’apartheid, van Rensburg sperava che il circo Zip Zap potesse essere, tra le altre cose, un baluardo di uguaglianza razziale e aiutare il processo di guarigione del nuovo Sudafrica. Quasi trent’anni dopo, Città del Capo resta una delle città più disuguali del mondo. Ma la Zip Zap academy lascia intravedere un futuro con più integrazione. I suoi artisti provengono da ogni gruppo etnico e socioeconomico, da ogni parte della città, dai ricchi sobborghi alle township.

Nuove identità

I corsi sono molto richiesti e tanti studenti affrontano grandi difficoltà per seguirli. Per due anni Inathi Zungula, contorsionista e acrobata originaria di Worcester, ha fatto un viaggio di sette ore tra andata e ritorno due volte alla settimana per allenarsi con il circo, prima di trasferirsi definitivamente a Città del Capo.

Phelelani Nkakrokra, un altro artista di punta dello Zip Zap, racconta che se non fosse stato per il circo è probabile che oggi sarebbe morto o in carcere. Vedendolo esibirsi con sicurezza sul palco è difficile sovrapporre l’immagine della persona che racconta di essere stata in passato con quella di oggi.

Aviwe Mfundisi, cresciuto in una parte di Città del Capo martoriata da droga, disoccupazione e dal dominio delle bande criminali, ha trovato nello Zip Zap un nuovo senso di appartenenza e di comunità. I suoi colleghi artisti sono una “famiglia”. “Ho imparato moltissimo”, racconta durante una breve pausa dagli allenamenti. “Questo circo mi ha completamente cambiato la vita”.

Mfundisi, che si è tatuato con inchiostro blu le parole “Zip Zap” sull’avambraccio, spera di diventare un allenatore, per poter trasmettere il suo amore per il circo alla prossima generazione. Già passa molte domeniche a insegnare ai ragazzi di Khayelitsha.

“Quando abbandoni definitivamente la calzamaglia e le polsiere devi passarle a qualcun altro”, afferma van Rensburg, che prima di fondare lo Zip Zap era lui stesso un artista circense. “È bellissimo vedere questi ragazzi portare avanti il progetto. Sono loro il futuro”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1470 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati