Fin dall’inizio del suo mandato il presidente statunitense Donald Trump ha mostrato precisamente la linea che vuole seguire. Con le espulsioni di massa di stranieri, i tagli agli aiuti all’estero, la chiusura di programmi per il reinsediamento di richiedenti asilo, ha messo in chiaro che non c’è spazio per l’accoglienza e lo spirito umanitario nei suoi Stati Uniti. Ma c’è un gruppo di persone verso cui si mostra sorprendentemente generoso: gli afrikaner del Sudafrica. Abbiamo già parlato dei legami di alcuni suoi stretti collaboratori, primo tra tutti Elon Musk, con il Sudafrica, e in particolare con quello dei tempi dell’apartheid. E anche di come il paese africano sia finito nel mirino di Washington dopo l’approvazione di una legge sugli espropri di terre.
Lo scorso 7 febbraio Trump ha firmato un ordine esecutivo che ferma gli aiuti al paese africano e che rende prioritario il reinsediamento negli Stati Uniti degli afrikaner che vorranno lasciare il loro paese proprio a causa di quella legge. Gli afrikaner sono una delle tante comunità che compongono la nazione arcobaleno, e sono i discendenti dei coloni olandesi che si insediarono nel Capo di Buona speranza dalla metà del seicento. La loro identità di gruppo è legata alla lingua afrikaans, simile all’olandese.
Come abbiamo visto negli ultimi mesi, non sempre alle parole di Trump seguono i fatti. Ma, in questo caso, l’amministrazione statunitense sembra fare sul serio. Come racconta il New York Times, “ha creato un programma chiamato ‘Mission South Africa’ per aiutare i bianchi afrikaner a trasferirsi negli Stati Uniti come rifugiati. La prima fase ha visto gli inviati di Washington alla ricerca di spazi commerciali nella capitale sudafricana Pretoria per convertirli in centri d’accoglienza.
Questi funzionari si sono messi poi a studiare più di 8.200 richieste di trasferimento negli Stati Uniti e hanno individuato 100 afrikaner che potrebbero ottenere lo status di rifugiati. Tra le raccomandazioni ai funzionari, c’è quella di concentrarsi sui contadini”. Entro la metà di aprile, i funzionari statunitensi in Sudafrica dovranno “proporre soluzioni a lungo termine per garantire la realizzazione del progetto del presidente per il reinsediamento dignitoso dei richiedenti afrikaner idonei”, si legge in un recente promemoria inviato dall’ambasciata di Pretoria al dipartimento di stato a Washington.
Sul sito sudafricano Daily Maverick, Rebecca Davis cerca di aggiungere contesto e dettagli alla notizia. Per esempio, si chiede se l’offerta sia valida per tutti i bianchi afrikaner o solo per i contadini visto che in un post sul suo social media, Truth Social, Trump aveva parlato esplicitamente di “contadini (con le loro famiglie!) del Sudafrica”. Questo, secondo Davis, fa sorgere un’ulteriore domanda: i contadini bianchi che parlano inglese, e non afrikaans, posso aspirare al trasferimento negli Stati Uniti? La risposta non è chiara.
Interesse limitato
Non è chiaro neanche quanto sia ampio l’interesse per il programma. Sui giornali internazionali è circolata la cifra di circa 70mila persone disposte a partire per il Nordamerica, ma Davis sottolinea che il dato è stato diffuso dalla Camera di commercio sudafricana negli Stati Uniti, un’organizzazione privata. Secondo questa, 67.042 sudafricani avrebbero “espresso interesse” (una formulazione vaga, che non implica necessariamente l’intenzione di partire) per l’opportunità di reinsediamento.
In gran parte erano persone di età compresa tra i 25 e i 45 anni, con due o tre familiari a carico. In totale, secondo i dati dell’istituto di statistica nazionale, in Sudafrica ci sono 41.122 fattorie e aziende agricole, non tutte gestite da afrikaner o bianchi. Per questo, ha dichiarato la ministra alla presidenza sudafricana Khumbudzo Ntshavheni, gli imprenditori agricoli bianchi che vogliono lasciare il paese non possono essere così tanti, nell’ordine dei 72mila, come viene indicato dalle organizzazioni afrikaner Afriforum e Solidarity movement.
In generale i rappresentanti di questa minoranza – i sudafricani bianchi, tra cui si calcolano anche quelli di lingua inglese, sono il 7 per cento della popolazione – non hanno espresso particolare interesse per l’idea di partire.
Al New York Times Ernst Roets, uno dei leader dell’influente gruppo di lobby Afriforum, ha dichiarato che “molti non vogliono lasciare il paese, ma vorrebbero che gli Stati Uniti sostenessero la loro aspirazione all’autogoverno in Sudafrica”. Lo stesso vale per gli abitanti di Orania, un paesino di tremila abitanti, tutti afrikaner, nel centro del Sudafrica. Di Orania si parla spesso sui giornali internazionali perché lì la segregazione razziale è ancora intatta.
Un giornalista del quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung ci è andato a metà marzo per capire le reazioni degli abitanti alle proposte di Trump. Ma anche lì, nonostante la gratitudine per aver acceso i riflettori su di loro, nessuno sembra interessato a diventare un “rifugiato”. Come ricorda il giornale, “nel 2019 un sondaggio condotto tra cinque milioni di afrikaner, aveva rilevato che solo il 12 per cento si sentiva discriminato. Nel complesso, sono relativamente benestanti. In media hanno un reddito diverse volte superiore a quello dei neri. Hanno significativamente meno probabilità di essere disoccupati e possiedono ancora circa il 70 per cento dei terreni agricoli di tutto il paese”.
Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.
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