18 marzo 2014 12:15

Tra tutte le domande (moltissime delle quali fondate, interessanti e doverose) che ci si potrebbero fare a proposito di Matteo Renzi, ce n’è una particolarmente stucchevole che negli ultimi giorni mi sono sentita proporre con sproporzionata frequenza e poche variazioni: “Matteo Renzi è, come Berlusconi, un televenditore?”.

Intanto, segnalo che in realtà non si tratta proprio di una domanda, ma di un’affermazione a cui è stato appiccicato un punto interrogativo. Una domanda vera, per esempio, potrebbe essere: “Quali sono, secondo lei, le caratteristiche peculiari della comunicazione di Renzi?”.

Ma, me ne rendo conto, messo così il quesito rischia di risultare troppo poco pepato. E, oltretutto, la risposta allontanerebbe dall’ambito berlusconiano, perché a Renzi appartengono, per esempio, velocità, autoironia e sdrammatizzazione: tre categorie che l’altro, il Gran Seduttore, frequenta poco.

Invece sul Renzi televenditore-come-Berlusconi, o addirittura imbonitore nello stile di Cetto Laqualunque, si sono scatenati proprio tutti.

Per visualizzare questo contenuto, accetta i cookie di tipo marketing.

Già che ci siamo, vi ricordo che con un accurato montaggio video si può far dire qualsiasi cosa a chiunque (qui un divertente montaggio costringe Obama a “cantare” Jingle bells).

Ma torniamo allo stile da televendita: perfino l’acuto, brillante Gian Antonio Stella scrive sul Corriere della Sera che su questo lo stesso Renzi, che pure ha mostrato di soffrire un po’ i paragoni, deve convenire: nel saper “vendere la merce” (buona o cattiva che sia) è difficile non vedere un parallelo. L’uno e l’altro, che siano intervistati da un giornale, ospiti in tv o chiamati a intervenire in aula, non parlano ai giornalisti o ai colleghi: parlano direttamente ai loro elettori. Al popolo.

Sarò ingenua, ma mi sembra che un bravo politico debba porsi l’obiettivo di parlare agli elettori, e non ai giornalisti o ai colleghi. Se all’ingenuità aggiungo un po’ di malizia, mi viene perfino il sospetto che qualche giornalista possa percepire per sé, in questo filo diretto tra politico ed elettori, il rischio di una perdita di ruolo e di centralità: ohibò, se il discorso è troppo chiaro, non restano più contenuti da spiegare o da interpretare. E allora via!, in assenza dei fatti, che sono di là da venire, tocca lambiccare sulla forma.

E sarò doppiamente ingenua, ma non vedo nemmeno tutto questo scandalo nella scelta di usare una presentazione in Powerpoint (peraltro assai migliorabile, nel caso di Renzi). Supporti infografici si adoperano ormai correntemente nei telegiornali e nei talk show e appaiono sui maggiori quotidiani italiani e internazionali. Usano Powerpoint la Banca d’Italia e il Censis nei convegni. Si mostrano correntemente le slide nelle università (e gli studenti – questo sì è un problema – tralasciano di prendere appunti). Il motivo è evidente: specie se un discorso è complesso, una lista aiuta a mettere a fuoco i punti salienti.

Tutto ciò non significa che la forma e lo stile di Renzi non siano meritevoli di nota e commento. Mi spiego: la comunicazione dei partiti politici italiani ha subìto un’evoluzione, a volte lenta a volte rapida, a partire dal secondo dopoguerra, ma solo in tempi più recenti si sono registrate le tre maggiori discontinuità: la prima alla fine degli anni ottanta, con la Lega e il “celodurismo” di Bossi. La seconda nel 1994, con la “discesa in campo” di Berlusconi. La terza in anni più recenti, con Grillo.

Sono tre diverse rotture nel linguaggio, tutte e tre coincidenti con l’apparizione di formazioni politiche nuove, e tutte e tre lontane dall’area del centrosinistra. Con Renzi abbiamo un salto di linguaggio (ritmi, toni, riti, espressioni, contesti, esempi, metafore, comportamenti) altrettanto rilevante, ma nato all’interno di una formazione politica di centrosinistra, che già esiste e che ha una lunghissima storia. È normale che molti si sentano un po’ spaesati. E che alcuni non riescano proprio a crederci.

Ma, proprio perché siamo di fronte a qualcosa di nuovo, ho la sensazione che sospendere il giudizio per un po’ potrebbe non essere una cattiva idea. E, per esempio, mi sentirei di rispondere alla domanda “Matteo Renzi è un televenditore?” non prima che siano passati un paio di mesi. L’appropriatezza della definizione è appesa non allo stile, ma ai contenuti della comunicazione: se i cambiamenti annunciati non ci saranno, allora sapremo di aver assistito a una televendita, l’ennesima.

Intanto, e ancora a proposito di scelte di stile, per ora sono abbastanza contenta che Renzi abbia abbandonato il brutale frame della rottamazione. Era divisivo, offensivo e fuorviante. Era, come ho provato a raccontare, contrario a qualsiasi logica di cambiamento creativo. E, per dirla tutta, mi auguro di potermelo dimenticare.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it