23 aprile 2015 09:09

Ankara può prendersela solo con se stessa. Se avesse abbandonato il suo ostentato diniego e si fosse preparata al centenario del genocidio armeno riconoscendo la realtà dei fatti, non si troverebbe oggi in una posizione imbarazzante.

Invece ha denunciato senza ritegno chiunque abbia espresso solidarietà (a partire dal papa) con la tragedia degli armeni, infastidendo tutti i paesi, come gli Stati Uniti, che malgrado tutto non vorrebbero scontrarsi con il governo turco.

In questo modo la Turchia si è autoinflitta l’ennesima sconfitta sulla scena internazionale. Fino a poco tempo fa il paese era un modello politico, perché gli islamisti turchi avevano saputo stroncare ogni eccesso violento e qualsiasi manifestazione di fanatismo conquistando il potere attraverso elezioni regolari e confermandolo ininterrottamente dal 2002, rispettando la democrazia e alimentando un formidabile sviluppo economico.

Convertiti all’islam conservatore, versione islamica della democrazia cristiana, i turchi sono stati considerati a lungo come un modello portatore di speranza. Ora però il loro capo Recep Tayyip Erdoğan, presidente dopo essere stato primo ministro, non ha più nulla di esemplare. Anche se non è tornato alle sue convinzioni giovanili tentando di imporre una teocrazia, Erdoğan si è comunque lasciato tentare da un autoritarismo sempre più inquietante.

Il “Putin turco”, come lo chiamano nel suo paese, non è più il leader ammirato da tutti, e questa deriva personale danneggia profondamente la candidatura turca all’ingresso nell’Unione europea. Questa è la seconda sconfitta della Turchia, perché l’adesione all’Europa unita, già compromessa dalle difficoltà interne dell’Unione e dal rifiuto di gran parte della popolazione europea, è ormai rinviata alle calende greche.

La terza sconfitta nasce dal fatto che la Turchia, oltre a non avere più un orizzonte europeo, non può più nemmeno sognare di imporsi in Medio Oriente, l’ambizione che aveva sostituito quella di entrare nell’Unione. Forte del suo tasso di crescita di stampo asiatico e della competitività delle sue medie e grandi imprese, la Turchia aveva rimesso piede nel suo ex impero perduto ormai da un secolo, ricostituendo la sua influenza non più con la forza ma con il potere economico. Questo progetto era sembrato ancora più credibile quando le rivoluzioni arabe avevano portato al potere un gruppo di islamisti profondamente interessati all’evoluzione seguita dai loro cugini turchi.

La quarta sconfitta della Turchia è aver perso questa influenza, svanita nel caos attuale di un Medio Oriente in cui l’Iran si afferma sempre di più. Non è detto che la situazione rimanga invariata, ma per il momento le cose vanno male per Ankara, e il suo rifiuto di riconoscere il genocidio armeno non avrà certamente un effetto positivo.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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