Per più di mezzo secolo l’Europa ha garantito agli stati e ai popoli che ne fanno parte la pace, la democrazia, la prosperità economica, il rispetto delle minoranze e un benessere sociale senza paragoni nel mondo. Oggi questo patrimonio rischia di esplodere.

Per la prima volta dal 1945 si mettono in moto dei meccanismi che fanno intravedere ai cittadini una catena di reazioni, paure e nazionalismi simile a quella che i paesi europei avevano conosciuto negli anni trenta. La storia non accade due volte nello stesso modo. È però utile ricordare che è proprio per scongiurare questi fantasmi, per superare i nazionalismi e i totalitarismi, che si era costruito uno spazio europeo democratico basato su un’economia sociale di mercato.

Di fronte alla globalizzazione, alla corsa frenetica della finanza, alla trasformazione radicale del mondo, l’Europa, pur essendo la maggiore economia mondiale, non ha saputo fare un passo ulteriore verso l’integrazione per difendere questo patrimonio, superare la crisi e affrontare da subito il caso greco. Sull’orlo del precipizio, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha finalmente proposto qualche settimana fa di fare questo passo e avanzare verso l’unione politica, senza tuttavia spiegare in dettaglio la sua iniziativa (che però sembra limitata a un controllo europeo sui bilanci, le banche e le finanze dei singoli paesi dell’Unione).

Occorre ricordare che i padri dell’Europa non avevano come solo orizzonte l’integrazione economica. Quest’aspetto era solo un mezzo per raggiungere il fine di un’Europa politica unita. Con le ferite della guerra ancora aperte non era possibile fare diversamente. La cooperazione economica avrebbe dovuto avvicinare i popoli e ridurre il rischio di nuovi conflitti. “L’Europa avanza mascherata”, disse un giorno l’allora presidente della Commissione europea Jacques Delors. Per decenni questa strategia ha funzionato. Ma oggi, in pieno caos economico e monetario, quest’atteggiamento elitario, che non coinvolge direttamente i cittadini nei processi decisionali, mostra tutti i suoi limiti. A tal punto che molti elettori danno la colpa della crisi a un eccesso di Europa e non ai pochi strumenti delle istituzioni dell’Unione. E con l’avanzare dei movimenti estremisti contrari all’Europa, il rischio di una disintegrazione sembra concreto.

Al bivio

Siamo dunque a un bivio decisivo. Per dimensione, nessun singolo paese europeo è in grado di contare davvero nella sfida globale. Neanche la Germania. L’Europa è dunque la condizione della politica, intesa come capacità di scegliere il proprio destino. Però non si può rafforzare l’Europa contro la volontà dei popoli o di nascosto dai popoli. L’unica via praticabile è il trasferimento di sovranità verso un potere europeo legittimato democraticamente. Ecco perché i tanti vertici europei a cui assistiamo da mesi possono essere solo, nel migliore dei casi, una soluzione provvisoria.

Da questo punto di vista, la gestione della crisi greca è emblematica. È ormai chiaro che Atene non potrà rimborsare il suo debito, nonostante i suoi enormi sacrifici. La strada possibile è la cancellazione o la mutualizzazione del debito greco in cambio di un controllo sulla gestione futura dei conti pubblici di Atene. E solo l’Unione europea può fare una cosa del genere. Ma allo stesso tempo il popolo greco, come gli altri cittadini dell’Unione, non potrà accettare la perdita di sovranità (in realtà già molto indebolita dai mercati) senza una maggiore legittimazione democratica dell’autorità europea incaricata di controllare i suoi conti pubblici. Per questo bisogna riaprire subito il cantiere istituzionale e trasformare l’Unione in uno spazio di democrazia diretta.

Alcuni sostengono che bisogna prima risolvere i problemi economici, bancari, finanziari dell’Unione e poi aprire il cantiere istituzionale. In realtà vogliono impedire il trasferimento di fette importanti di sovranità con la scusa che i cittadini che non sono pronti al grande salto. Tocca dunque ai cittadini europei rivendicare uno spazio politico comune e federale. E tocca ai politici dimostrare che sono davvero disposti a far nascere un’Europa forte, sovrana, unita e democratica.

Ecco alcune proposte non esaustive per fondare quest’unione politica, su cui i leader politici e anche i cittadini dovrebbero esprimersi in modo chiaro: 1) elezione diretta del presidente dell’Unione europea a suffragio universale; 2) un solo leader dell’Unione attraverso la fusione delle funzioni di presidente dell’Ue e di presidente della Commissione europea; 3) decisioni prese in Europa a doppia maggioranza semplice: 51 per cento dei 27 stati, all’interno del consiglio dei ministri europei, e 51 per cento della popolazione, attraverso la rappresentanza al parlamento europeo; 4) liste europee per le elezioni al parlamento di Strasburgo (con una quota sostanziale di candidati europei ma non nazionali); 5) istituzione del referendum d’iniziativa popolare al livello europeo.

Con la crisi, ormai l’Europa deve scegliere: il coraggio o il declino.

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