Quest’estate i concerti in Italia non mancano. Se diamo un occhio al calendario, passato e presente, però ci rendiamo conto di una cosa: più che i festival, come succede all’estero, a farla da padrone sono soprattutto gli eventi singoli o le rassegne. Programmi ricchi, spesso anche molto ricchi, spalmati su un periodo mediamente lungo. I festival veri e propri sono pochi e più di nicchia.

Qualche eccezione c’è, in realtà. Per esempio il [Vasto siren festival][1], organizzato dalla Dna concerti nella città abruzzese in provincia di Chieti.

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La manifestazione si svolgerà dal 24 al 27 luglio. Nel programma ci sono artisti come The National, Mogwai, John Grant, Fuck Buttons, Giardini di Mirò e The Soft Moon. Ho raggiunto al telefono Pietro Fuccio, direttore della Dna, per chiedergli com’è nata la manifestazione.

Perché Vasto?

Bella domanda. Me lo sono chiesto anche io, all’inizio. L’idea di Vasto è arrivata da un americano che si chiama Louis Avrami, che vive nel New Jersey e fa il tecnico informatico. Lui va da vent’anni in vacanza a Vasto e gli sarebbe piaciuto fare un festival lì. Per questo un anno fa ha contattato gli organizzatori dei festival [All Tomorrow’s Parties][2], che gli hanno detto di chiamare me. Non ero convintissimo dell’idea, ma quando mi ha portato a visitare la città ho capito che è perfetta: piccola, ben collegata, sul mare, con gli spazi giusti per fare concerti su palchi diversi. E soprattutto con un’amministrazione locale disponibile che, a differenza di quello che succede di solito in Italia, non mette i bastoni tra le ruote agli organizzatori. Ricordiamoci di quello che è successo con il Rototom, il festival reggae che ha lasciato il Friuli e si è trasferito in Spagna.

Quale sarà il rapporto tra il festival e la città?

Noi cerchiamo di fare un festival vero e per questo tenteremo di sfruttare tutti i luoghi di Vasto. Fare un festival a Roma, Milano o Bologna per me ha poco senso perché molta gente va a un evento del genere per staccare un po’ la spina. Andare a un festival è come farsi una vacanza. Per questo ci siamo sforzati di organizzarlo nel fine settimana, una scelta che comporta parecchia fatica in più.

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Che criterio avete usato per scegliere le band?

L’idea di fondo è quella di mettere sul piatto più generi possibile. I nomi più grossi sono chiaramente i National, una band davvero intensa dal vivo, i Mogwai e John Grant. Ma abbiamo diversi artisti emergenti, anche italiani, che suoneranno nei palchi più piccoli e in altri posti particolari. Il 24 faremo una piccola anteprima del festival con i Giardini di Mirò e altri. Tra gli italiani ci saranno i Jennifer Gentle, Thony, Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion e altri. Le band di musica elettronica che ci sono, tipo i Fuck Buttons, suoneranno sullo stesso palco di quelle rock. Non ha più senso mettere degli steccati tra l’elettronica e gli altri generi, il confine è stato abbattuto ormai. Quando l’agente dei Mogwai ha saputo che i Fuck Buttons suonavano a Vasto è stato contentissimo. Anni fa gruppi del genere non potevano neanche stare nella stessa stanza.

Come organizzerete i palchi?

Sfrutteremo tutta la città, dalle piazze alle chiese. Il palco principale sarà piazza del Popolo. A fianco ci sarà il palco nel cortile interno del Palazzo d’Avalos, che ospiterà sei artisti al giorno. Il terzo invece sarà l’Arena delle Grazie, che è il posto dove di solito si fanno i concerti a Vasto. Altre cose le faremo in spiaggia.

Il Vasto siren festival è una bella scommessa. Siete ottimisti?

Ovviamente sì. Quando si tratta di musica, spesso il pubblico ragiona molto in modo schematico. Magari ti senti chiedere: “Perché non avete fatto il festival al Circolo degli Artisti a Roma, o Milano?”. Ma mi sembra che piano piano la nostra scelta stia pagando, che le persone comincino a capirla e apprezzarla.

Giovanni Ansaldo lavora a Internazionale. Si occupa di tecnologia, musica, social media. Su Twitter: @giovakarma

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