10 ottobre 2013 14:00

Eyal Weizman, Il minore dei mali possibili

Nottetempo, 310 pagine, 18 euro

Per costringere i bambini a fare qualcosa che non vorrebbero, certi genitori propongono una finta alternativa. Quando il piccolo non vuole mangiare le verdure, gli chiedono “preferisci mangiarle con l’olio o con il ketchup?”. Se il bambino accetta di scegliere, perché non conosce il trucco o non è abbastanza smaliziato, manderà giù qualche boccone. In questo modo, facendo selezionare quello che può apparire come il male minore, si toglie la possibilità di decidere veramente in merito a qualcosa.

Secondo Eyal Weizman, oggi gli stati giustificano l’uso della violenza con la stessa strategia. L’architetto e attivista israeliano, che in un libretto di alcuni anni fa aveva indagato la storia di questa idea, oggi ritorna sull’argomento raccontando nel dettaglio alcuni casi (la carestia in Etiopia del 1984, la costruzione del muro in Israe­le nel 2004 e soprattutto la distruzione delle case a Gaza nel 2008-2009), in cui, grazie al principio del male minore, si è invocata la riduzione della violenza per legittimare la violenza stessa.

La stessa logica, spiega, è alla base delle azioni di molte associazioni umanitarie, che accettando di quantificare i danni possibili al fine di ridurli contribuiscono a far accettare che quei danni siano compiuti. L’affermazione di questa logica nei tribunali, negli organismi internazionali e nel dibattito pubblico sta cambiando il nostro modo di considerare la guerra.

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