Domenico Rea, Gesù, fate luce
Isbn, 238 pagine, 10,20 euro
Con l’ottima cura di Domenico Scarpa, torna il secondo libro (uscito nel 1950) di un grande scrittore. Sono racconti del dopoguerra, ambientati in un’immaginaria Nofi che era in realtà la città di Rea, Nocera Inferiore.
Il suo primo fu Spaccanapoli (1947), il terzo Quel che vide Cummeo (1955) che contiene il mio racconto preferito, La signora scende a Pompei, ma “la signora” è una vecchia contadina. In mezzo, nel 1953, ci fu uno dei pochi bei libri sulla scuola della nostra letteratura, Ritratto di maggio, quadro probante e corale di un’elementare in terra di miseria.
Le opere di Rea sono state raccolte in un volume dei Meridiani Mondadori, ma fa bene Isbn a riproporre separatamente le migliori, di anni irripetibili per la vivacità con cui vi si mescolarono dolori e speranze.
Scrittore barocco più vicino ai caravaggeschi e al Cunto de li cunti che al neorealismo in cui una critica ideologica volle arruolarlo, nei dodici racconti di Gesù, fate luce Rea allinea vicende tragiche e disperate, ma con una sorta di spavalda allegria, una carica di vita che nel cinema solo Due soldi di speranza di Castellani e il Decameron di Pasolini seppero cogliere.
Vi incrociamo personaggi pieni di colore e dolore e perfino un elogio indimenticabile del mercato nero, storie dove fame e desiderio, tenerezza e violenza si accavallano, in un contesto messo alla prova dalla guerra e più contadino che urbano.
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