Il 6 settembre l’ex presidente brasiliana Dilma Rousseff ha lasciato il palazzo presidenziale di Brasilia e si è imbarcata su un volo diretto a Porto Alegre, la sua città d’adozione. Al suo posto c’è un successore che rischia di essere condannato per reati molto più gravi di quelli che l’hanno costretta a lasciare il potere, e un paese che ha perso il diritto di fare parte dei Brics.

La sigla Bric era stata introdotta nel 2001 da Jim O’Neill della Goldman Sachs per designare un gruppo di paesi a rapida crescita economica che aspiravano al ruolo di potenze globali emergenti: il Brasile, la Russia, l’India e la Cina. La lettera esse era stata aggiunta nel 2010 per indicare il Sudafrica. I Brics hanno perfino cominciato a tenere vertici annuali, anche se quasi sempre si trattava di eventi autocelebrativi.

Nessuno teneva a questo status più dei brasiliani. Non c’è dubbio che la Cina e l’India, ciascuna dotata di 1,3 miliardi di abitanti, fossero grandi potenze. La Russia era una grande potenza in fase di recupero, non una nuova. Ma il Brasile, come il Sudafrica, non aveva diritto a stare in quel gruppo, perché non aveva la combinazione di popolazione, risorse e tessuto economico che fa di un paese una potenza mondiale.

La vittoria con il paese a rotoli
Il Brasile era un impostore piuttosto credibile durante gli anni del boom dei prezzi delle materie prime, ma negli ultimi due anni ha vissuto gravi problemi economici. La sfortuna di Rousseff è stata vincere le elezioni presidenziali proprio quando il “miracolo” economico del paese ha cominciato ad andare a rotoli.

Il suo predecessore, Luiz Inácio “Lula” da Silva, ha sfruttato il boom per creare un modesto stato sociale che ha fatto uscire 50 milioni di brasiliani dalla povertà. Rousseff ha faticato a conservare queste conquiste, dovendo fare i conti con la peggiore recessione del Brasile dagli anni trenta (l’economia si è ridotta di quasi il 4 per cento nell’ultimo anno), ed è diventata la presidente meno amata della storia del paese.

La sua impopolarità, oltre a un enorme scandalo di corruzione che ha coinvolto alcuni esponenti del suo Partito dei lavoratori (anche se non lei direttamente), ha creato l’atmosfera nella quale il parlamento brasiliano ha potuto metterla in stato d’accusa. Rousseff lo ha definito un “colpo di stato costituzionale” volto a rovesciare un governo di sinistra regolarmente eletto. Non ha tutti i torti.

Il Brasile aveva davvero usato il suo boom per salvare una generazione di persone indigenti dalla povertà

L’impeachment di Dilma non ha niente a che fare con la corruzione. È stata ritenuta colpevole di aver truccato i conti del governo prima delle ultime elezioni, al fine di minimizzare l’impatto del crollo delle esportazioni brasiliane sulla spesa pubblica. Si è trattato di un reato minore per il quale ha ricevuto una punizione eccessiva, inflitta da un congresso pieno di persone che hanno commesso crimini ben più gravi.

È universalmente riconosciuto che quello brasiliano sia uno dei parlamenti più corrotti del pianeta. Il 58 per cento dei suoi membri sono sotto inchiesta per il coinvolgimento nello scandalo Lava jato (autolavaggio): avrebbero ricevuto tangenti nell’ambito di contratti firmati con l’azienda petrolifera statale Petrobras.

Insabbiare l’indagine
Poche di queste persone sono legate a Rousseff, poiché il Partito dei lavoratori controlla meno di un decimo dei seggi al congresso e la sua maggioranza dipende da una coalizione. Un cinico potrebbe dire che è per questo che Rousseff ha sostenuto i pubblici ministeri federali che stanno conducendo le indagini su Lava jato. Ma lo stesso cinico dovrebbe ammettere che uno degli obiettivi dell’impeachment è proprio quello d’insabbiare l’indagine.

In realtà esistono delle registrazioni in cui il leader della maggioranza al senato, Romero Juca, parla proprio di come ottenere questo risultato. Juca è un alleato stretto di Michel Temer, l’ex vicepresidente che ha guidato la campagna contro Rousseff e ha preso il suo posto. Lo stesso Temer è accusato di aver intascato trecentomila dollari da un contratto d’energia nucleare, quindi non dovrebbe volerci molto prima che sia approvata una qualche forma d’amnistia per tutte le persone coinvolte nel caso Lava jato.

Presto il conservatore Temer potrebbe anche adottare misure di austerità per tagliare gli investimenti nell’istruzione e nello stato sociale che negli ultimi anni hanno migliorato le condizioni di molti brasiliani poveri. Ovviamente oggi le entrate sono minori, ma ci sarebbero altri modi di affrontare la questione invece di imporre sacrifici ai meno abbienti.

Che tipo di Brasile emergerà da questa triste storia? Un paese molto indebolito in termini di ricchezza, reputazione e influenza internazionale, dove il divario tra ricchi e poveri ricomincerà a crescere. A parte l’India, al momento nessuno dei Brics se la sta passando bene: le entrate petrolifere della Russia sono crollate, ci sono forti dubbi sui dati ufficiali sulla crescita in Cina, e in Sudafrica il pil è cresciuto di appena lo 0,5 per cento lo scorso anno. Come ha detto Warren Buffet, solo quando le onde si ritirano scopri chi stava nuotando nudo. Tutti, a quanto pare.

Quel che è particolarmente triste a proposito del Brasile è che ha davvero usato il suo boom per salvare una generazione di persone indigenti dalla povertà, e che stava anche cominciando ad affrontare l’estrema corruzione del suo sistema politico. Adesso quasi tutti questi progressi saranno cancellati. I corrotti sono di nuovo al potere.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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