11 novembre 2010 00:00

1. Paula Morelenbaum, O Samba e o tango

La macchina del tango e i meccanismi della samba, le mele e le pere mixate con gusto (e testardaggine) da una delle meglio sciure do Brasil. Non solo perché dotata di voce sopraffina, ma anche perché sembra molto sensibile al rischio insito in queste musiche poetiche sempre pronte a leccarsi le ferite e a trovarle dolcissime. E allora si fa passare il sale da Ryuichi Sakamoto, o dal remixer Bajofondo, e prova a sentire qualche sapore in più con un’amichevole Argentina-Brasile, sul campo del suo ultimo album Telecoteco.

2. Paolo Damiani, Escort Song

Il tema si presterebbe a chissà quali fangose macchinazioni: l’escort, veicolo sempre in mezzo al gossip e agli ingorghi istituzionali degli ultimi tempi. Qui invece ne esce una cosa molto garbata: uno slow jazz notturno per sciantosa, spazzole e sordine, con testi di uno Stefano Benni in vena malinconica per la voce di Ludovica Manzo che si cala nei panni dell’amante a gettone (“sei un uomo insignificante / come amante tu non vali niente”). Da Pane e tempesta, lavoro pieno di giovani strumentisti e di nobili sonorità fuori dal tempo.

3. Babaman, I’&’I

Per sottrarsi alla malinconia del fango si può sempre andare alle Antille a farsi dei gran cannoni, come suggeriva Roberto Benigni l’altra sera in tv. Mettendosi però in testa un parrucchino stile Monnezza, e vendendolo come capigliatura rasta: gag facile, roba da far storcere il naso ai rastafariani veri. Come il dancehall rapper Babaman, milanese con residenza a Negril, preferenza reggae, tendenza ganja che segue, con la sua agilità vocale e la chitarra di Stevie DeVille, il suo “cammino benedetto” nell’album Raggasonic. A ognuno il suo altrove di fiducia.

Internazionale, numero 872, 12 novembre 2010

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