05 maggio 2010 00:00

L’amministrazione Obama ha fatto sapere che potrebbe presentare un piano di pace per israeliani e palestinesi, se le due parti non si accorderanno sull’avvio di negoziati indiretti sotto la supervisione statunitense. Il piano potrebbe essere utile, ma va preparato con più attenzione rispetto alle passate iniziative di questo tipo organizzate da Washington.

Uno dei lati ironici della vicenda è che gli Stati Uniti sembrano gli unici in grado di fare da mediatori, ma al tempo stesso, visto quello che hanno fatto in passato, ne sono tragicamente incapaci. A parte gli accordi di Camp David raggiunti nel 1978 con la mediazione di Jimmy Carter, le principali iniziative di pace promosse dagli americani sono state dei buchi nell’acqua. Ecco un consiglio per Washington: se vuole davvero presentare un suo piano di pace, passi in rassegna i tentativi di mediazione falliti negli ultimi trent’anni ed elabori una strategia nuova, che eviti gli errori del passato. La nuova strategia potrebbe basarsi su questi princìpi.

  1. Non presentare un “piano di pace americano”, ma attingere alla grande esperienza statunitense per dar vita a una posizione internazionale unitaria, che avrebbe molte più probabilità di essere accettata e negoziata. Una delle grandi lezioni di questa generazione è che sia gli arabi sia gli israeliani (e non solo loro) assumono puntualmente un atteggiamento ostile quando gli Stati Uniti agiscono in modo unilaterale.

  2. È il momento di seppellire il Quartetto, il gruppo formato da Stati Uniti, Russia, Unione europea e Nazioni Unite per favorire la pace in Medio Oriente. Bisogna trovare un meccanismo nuovo che riunisca tutti i protagonisti internazionali necessari per spingere le parti in causa verso un accordo di pace risolutivo. I

paesi che andrebbero coinvolti fin dall’inizio sono Russia, Unione europea, Cina, Turchia, Svizzera, Norvegia, Canada, Giappone e India.

  1. L’Onu dev’essere un’istituzione neutrale al servizio della diplomazia internazionale, e non uno strumento della politica estera statunitense. Le risoluzioni delle Nazioni Unite rimangono gli unici punti di riferimento comuni per un accordo di pace legittimo. Ma per far sentire le parti a loro agio in vista di una trattativa seria si possono coinvolgere anche l’Organizzazione della conferenza islamica, l’Ocse e la Nato.

  2. Tutti i negoziati recenti in cui c’è stata una mediazione americana sono falliti soprattutto per due motivi. Il primo è che Washington di solito, invece di essere un mediatore imparziale, su certe questioni era molto sbilanciata verso le posizioni israeliane. Il secondo è che con l’obiettivo di una pace permanente si è cercato di realizzare “misure per creare fiducia” e compiere progressi graduali. Perciò oggi, per avere qualche probabilità di riuscita, gli Stati Uniti devono assumere una posizione più imparziale. E servono proposte di pace che affrontino in modo diretto, sostanziale e rapido le richieste irrinunciabili di entrambe le parti.

  3. Le richieste irrinunciabili dei palestinesi sono queste: il riconoscimento delle responsabilità di Israele e dei gruppi sionisti attivi prima della fondazione dello stato nelle operazioni che hanno trasformato i palestinesi in esuli e poi in rifugiati nel 1947-1948. La soluzione di questo problema attraverso l’applicazione del diritto internazionale e delle risoluzioni dell’Onu sul risarcimento dei rifugiati, il ritorno, il reinsediamento e altre eventuali opzioni, secondo modalità negoziate che siano accettabili per entrambe le parti. La fine dell’occupazione e il ritorno ai confini del 1967, con la creazione di uno stato palestinese autenticamente sovrano e in grado di governarsi.

Le richieste irrinunciabili degli israeliani sono: il riconoscimento formale e senza ambiguità dell’esistenza d’Israele come stato a maggioranza ebraica pienamente accettato da tutti gli altri stati della regione. La proclamazione formale della fine del conflitto e del ritiro di tutte le rivendicazioni arabe contro Israele. Una serie di garanzie di sicurezza per Israele come per tutti gli altri stati e relazioni normali e aperte con tutti i paesi della regione.

Buona parte delle iniziative di pace mediate dagli Stati Uniti hanno considerato queste richieste come obiettivi dei negoziati. È tempo di trasformarle nel punto di partenza di un processo diplomatico, chiarendo bene cosa offrirebbe un eventuale accordo.

Sono condizioni difficili da soddisfare. Ma fare la pace è un lavoro duro, che esige l’impegno di uomini e donne seri, animati da una combinazione di realismo politico, tenacia, imparzialità, indipendenza e legittimazione morale e giuridica. Tutte qualità che sono spesso mancate ai mediatori statunitensi dell’ultima generazione. Washington deve tentare di riacquistarle, prima di tornare ad avventurarsi nell’attività diplomatica tra arabi e israeliani. In questo terreno insidioso in cui l’opera dei diplomatici statunitensi, invece di uscirne valorizzata, si ritrova spesso nell’occhio del ciclone.

*Traduzione di Marina Astrologo.

Internazionale, numero 845, 7 maggio 2010*

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