06 giugno 2015 18:00

Sarà stato un ritardo amministrativo. Un funzionario in ferie, un guasto tecnico. Oppure un rinvio, per non farsi coprire dal clamore di altre notizie più importanti. Sta di fatto che venerdì 5 giugno il ministero del lavoro doveva dare i dati “consolidati” dei contratti di lavoro nei primi tre mesi dell’anno. E che questi dati non sono arrivati. Un problema statistico, o degli statistici?

No. È un problema più generale. Sulle cifre del lavoro si combatte da qualche mese una guerra di propaganda. Siamo in una fase di grandi cambiamenti – ci sono gli incentivi alle assunzioni, validi da gennaio e per tutto il 2015; e c’è il nuovo regime dei contratti del Jobs act, valido dalla seconda settimana di marzo. Ovvio l’interesse sui dati, che dovrebbero mostrare l’effetto degli incentivi e del Jobs act.

Infatti solo pochi giorni fa i dati ufficiali dell’Istat sull’occupazione sono stati salutati con grande enfasi dal governo. Che a sua volta da gennaio ha cominciato a tirar fuori numeri prima sconosciuti al grande pubblico: i dati sulle “comunicazioni obbligatorie”, cioè quelle che le imprese che assumono mandano agli uffici del lavoro.

Sono dati amministrativi, che dicono mese per mese quante “assunzioni” ci sono, intendendo con questa parola tutti i contratti di lavoro a tempo indeterminato, determinato e le collaborazioni (nelle varie sigle che si sono succedute o hanno convissuto dalle nostre parti: cococo, cocopro, mini-cococo).

Da gennaio il ministro del lavoro Giuliano Poletti ha cominciato a comunicare ai mezzi d’informazione alcuni dati, evidenziando la crescita dei contratti, e in particolare di quelli a tempo indeterminato. Ora, il problema con i numeri è che, se hanno un gran successo tra titolisti e propagandisti, richiamano l’attenzione anche degli addetti ai lavori. Che sanno che per leggere bene un dato vanno fatti confronti con serie storiche rilevate con lo stesso metodo. E poi c’è un altro dettaglio: non è che uno i numeri li può tirare fuori quando gli servono, e magari nasconderli quando sono brutti. Sono dati di pubblico interesse e utilità, si deve sapere quando sono disponibili.

Previsioni del tempo

Il ministero di Poletti ha recepito questi malumori. E così, a un certo punto – ad aprile, con i dati di marzo – ha cominciato a pubblicare in forma dettagliata i comunicati con i numeri delle assunzioni e delle cessazioni (non facendo mai il saldo: operazione che si fa fare ai giornalisti, ma che per motivi tecnici non è statisticamente corretta).

E ha reso noto anche quale sarà il calendario dei comunicati, insomma quando le famose “comunicazioni obbligatorie” sulle assunzioni e le cessazioni che risultano al ministero saranno pubblicate. Il tutto, per fugare tremendi sospetti: che Poletti tirasse fuori i numeri quando gli servivano, per dire. Magari a ridosso di altri numeri Istat meno brillanti – non perché il lavoro sia una cosa relativa, che c’è o non c’è a seconda di chi lo misura, ma semplicemente perché è diverso misurare le tendenze dell’occupazione con indagine statistica e contare i contratti regolari con pratiche amministrative.

Si è svolto perfino un incontro a quattro tra il ministro del lavoro e i presidenti di Istat, Inps, Inail (i massimi detentori dei numeri sul lavoro) per suggellare la pax numerica. Del resto, se alle elementari ci hanno insegnato che non si sommano le mele con le pere, disporre di informazioni sia su mele che su pere è importante per tutti: basta sapere di cosa si sta parlando, e non affidarsi ai rispettivi fruttivendoli.

Poi sono arrivati – seguendo un calendario rigido e fissato dall’anno prima – i dati sulle forze di lavoro dell’Istat, che hanno dato le tendenze tiepidamente positive del primo trimestre e soprattutto una dinamica ancor più positiva in aprile.

Per venerdì, appunto, si aspettava il bilancio del ministero sui contratti da gennaio a marzo: importante, perché basato su dati consolidati e non più anticipati. Senonché: non pervenuto. Ripetiamo: sarà un errore tecnico, dovuto al fatto che il ministero del lavoro non è abituato a rispettare certi criteri – minimali, per chi diffonde statistiche pubbliche.

Ma sorge il sospetto che, in quel giorno particolare, quei numeri non servissero. L’attenzione di tutti era su ben altro: Mafia capitale, gli arresti, le coop sociali (che qualcosa col ministero del lavoro hanno a che vedere, peraltro), la tempesta nel Partito democratico. Né sarebbe stato clamoroso, un annuncio di dati positivi, visto che ci aveva pensato già l’Istat. Meglio attendere, dunque. Ma speriamo che il sospetto sia infondato: a metterli nelle mani degli spin doctor, i numeri diventano inattendibili. Come le previsioni del tempo date solo quando c’è il sole e un week end lungo alle porte.

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