L’11 novembre si è aperta a Baku, in Azerbaigian, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop29), che potrebbe essere condizionata dalla vittoria di Donald Trump nelle presidenziali statunitensi.

“La crisi climatica può essere affrontata solo con la cooperazione internazionale”, ha avvertito Ralph Regenvanu, il rappresentante di Vanuatu.

Ma a Trump basterà mettere la firma su un documento, quando s’insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio, per unirsi all’Iran, allo Yemen e alla Libia tra i paesi che respingono l’accordo di Parigi del 2015, alla base delle misure adottate negli ultimi anni per contenere il riscaldamento globale.

I governi europei si sono impegnati a raddoppiare gli sforzi per compensare il ritiro degli Stati Uniti, ma pochi leader andranno a Baku. Né il presidente francese Emmanuel Macron né il cancelliere tedesco Olaf Scholz saranno presenti alle sessioni riservate ai leader del 12 e del 13 novembre.

Sarà assente anche il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, che nel 2025 ospiterà la Cop30.

I paesi firmatari dell’accordo di Parigi si sono impegnati a limitare il riscaldamento globale al di sotto della soglia dei due gradi in più rispetto all’era preindustriale (1850-1900), e possibilmente al di sotto della soglia degli 1,5 gradi, per evitare conseguenze catastrofiche per il pianeta.

Il 7 novembre il Servizio europeo sul cambiamento climatico di Copernicus (C3s) ha affermato che il 2024 sarà quasi sicuramente l’anno più caldo mai registrato e il primo a superare la soglia degli 1,5 gradi.

Secondo le Nazioni Unite, i partecipanti accreditati alla Cop29 sono circa 51mila, un numero inferiore rispetto alla Cop28 che si è svolta nel 2023 a Dubai. Alcune ong contestano il fatto che la conferenza si svolga in un paese produttore di petrolio dove molti attivisti ambientali sono stati arrestati.

La Cop29 si occuperà principalmente dei finanziamenti ai paesi in via di sviluppo per la riduzione delle emissioni di gas serra.

L’ugandese Adonia Ayebare, presidente di un blocco negoziale chiamato G77+Cina, si è detto consapevole del fatto che i negoziati saranno difficili per quanto riguarda la principale questione in gioco: quale cifra saranno disposti a stanziare i paesi ricchi?

“Non appena si parla di soldi, tutti mostrano la loro vera natura”, ha dichiarato all’Afp.

L’aria che tira nei paesi ricchi è di austerità in Europa e di disimpegno negli Stati Uniti. Molti vorrebbero quindi che la Cina e gli stati del Golfo contribuissero maggiormente.

Ma il negoziatore cinese ha ricordato che in base ai testi adottati dalle Nazioni Unite solo i paesi sviluppati sono chiamati a pagare.

Consapevole della situazione, Simon Stiell, a capo della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc), ha sottolineato che è nell’interesse di tutti i paesi aumentare i finanziamenti: “Nessuna economia, neanche quelle del G20, potrà sopravvivere a un riscaldamento globale fuori controllo”.